Scritto da Barbara Rosi
Nato a Zara, fu ucciso il 13 luglio 1979 dalle Brigate Rosse. Antonio Tonci Varisco: ricordo di «mulo» di un cittadino esemplare, di un eroe. «… ricordo con affètto un ragazzone biondo, alto, simpatico, spiritoso, compagnone, bravo negli studi e nello sport. Si chiamava Antonio Varisco.» Parla, dalle pagine di un suo opuscolo, Enrico Sierra. La modesta – ma solo dal punto di vista grafico – pubblicazione porta la data dell’11 maggio 2009, quella in cui è stata scoperta una targa in memoria del generale Antonio – Tonci, come lo chiamavano i più – Varisco, un militare, un carabiniere che ha dato la sua vita per la Patria, per gli Italiani, ucciso esattamente trent’anni – era il 13 luglio – fa dalle Brigate Rosse a Roma. E nella motivazione nel dispositivo di concessione della Medaglia d’oro al valor civile viene riportato: «Comandante del Reparto Carabinieri Servizi Magistratura, assolveva i suoi particolari e delicati compiti con assoluta dedizione, responsabile impegno ed ammirevole tenacia, pur consapevole del gravissimo rischio personale per il riacutizzarsi della violenza eversiva contro l’intero ordine giudiziario. Fatto segno a numerosi colpi d’arma da fuoco in un vile e proditorio agguato tesogli da un gruppo di terroristi, sublimava col supremo sacrificio una vita spesa a difesa della collettività e delle istituzioni democratiche. Roma, 13 luglio 1979» – Roma, 25 maggio 1982.
Enrico Sierra ha dato alle stampe un libro di memorie, intitolato semplicemente Nel ricordo di Tonci. Brindisino di Zara, una quarantina di pagine per rievocare la figura di un amico, di un comagno di banco, ma anche di espisodi e pagine nostalgiche di un passato che altrimenti rischia di sbiadire, un po’ come le fotografie ingiallite dal tempo, nelle quali i volti delle persone cominciano a perdere i contorni, i tratti. Vari-sco nacue a Zara, il 29 maggio 1927, esule, sarà stretto collaboratore del generale Dalla Chiesa. Quando fu assassinato, ormai prossimo al congedo, comandava il servizio scorte del Tribunale di Roma. Mentre si stava recando al lavoro – e sebbene conscio di essere uno dei primi nomi nelle liste dei terroristi viaggiava sempre senza scorta -, nella sua auto i terroristi fecero prima esplodere una bomba fumogena e poi gli spararono con un fucile a Erano gli anni di piombo, in Italia, in cui l’insoddisfazione per la situazione politico-istituzionale caotica (governi che duravano anche pochi giorni) si tradusse in violenza di piazza prima e, successivamente, in lotta armata, perpetrata da gruppi organizzati che usarono l’arma del terrorismo con l’obiettivo di creare le condizioni per influenzare o sovvertire gli assetti istituzionali e politici del Paese.
L’attentato di Varisco venne rivendicato dall BR con una telefonata, ma resta un omicidio che ad oggi non ha colpevoli certi né moventi, un omicidio avvolto nel più completo mistero per le modalità e per le circostanze avvenuto in un ben preciso periodo politico italiano. Il colonnello si era dimesso dall’Arma pochi mesi prima di essere assassinato, lo aveva fatto per dedicarsi con più attenzione alle indagini sulla morte del suo amico Mino Pecorelli, ucciso il 20 marzo. Pochi giorni prima di essere assassinato sembra abbia confidato ad un suo amico ed ex collaboratore di aver scoperto «una cosa terribilmente importante». Varisco e Giorgio Ambrosoli il liquidatore che si opponeva a tutti i piani di salvataggio di Sindona, furono ammazzati a meno di ventiquattro ore di distanza l’uno dall’altro: il primo a Roma, il 13 luglio, l’altro a Milano, il 12 luglio 1979. Se del primo omicidio si sa come sia andata la vicenda – Sindona è stato condannato all’ergastolo ed è poi morto con una tazzina di caffè al cianuro nel carcere di Voghera e anche Aricò, il presunto killer, è morto precipitando dal nono piano – del primo omicidio non si conosce granché: sebbene rivendicato dalle BR, l’attentato aveva modalità strane, inconsuete per le Brigate rosse.
Sul luogo del fatto, il lungotevere alle spalle di piazza del Popolo, dove ora svetta una bella stele in memoria del colonnello, furono lanciate bombe fumogene del tipo Energa che servirono a coprire la fuga dei killer. I brigatista Antonio Savasta, che pure era il capo della colonna romana, fu molto evasivo sulle modalità dell’attentato. Ma non è tutto. Una settimana dopo, il 21 luglio, fu assassinato a Palermo il capo della mobile Boris Giuliano. Tre delitti catalogati in modo diverso, ma che in realtà potevano avere un comune denominatore: il Grande ricatto. A indagare sull’omicidio Varisco, convinto per primo che avesse tutt’altra matrice, fu il capitano della Digos Antonio Strallo, che si occupava della destra eversiva.
Ora, da Enrico Sierra, da parte dei “suoi” brindisini, dei compagni di classe dell’Istituto commerciale “Guglielmo Marconi”, un omaggio dunque, a Varisco, … Ma anche pagine che riportano alla tragedia di queste terre, all’esodo, al difficile inserimento delle genti giuliane in un’Italia che ben poco conoscevano e che non sempre seppe accoglierli. «Nel 1947 arrivarono da Pola, Fiume, Zara tanti giovani che erano stati mandati via dalle loro case per accordi politici (sic). Venivano a Brinsidi per studiare ed erano alloggiati al Collegio Tommaseo al Casale. Ricordo il giorno che il Preside li accompagnò in classe, presentandoceli.
Si guardavano intorno incuriositi ed attoniti e nei loro occhi c’era tanta nostalgia e tanta tristezza. Era come se, guardando intorno, vedevano solo i loro cari, e poi il vuoto – scrive Sierra. – A casa ne parlai con mia madre e mio padre. Mia madre disse solo, con un velo negli occhi: chissà cosa dicono il cuore e gli occhi delle loro madri. Allora capii che noi eravamo fortunati e che dovevamo dare tutto il nostro affetto a Decio, Antonio, Ottavio, ed a tutti gli altri. Dovevamo far sentire il nostro calore e la nostra amicizia… Non fu facile, per essi, ambientarsi, adattarsi alle nostre usanze, ai nostri cibi, ma ci riuscirono ben presto Accettarono la ‘puddica’, ‘lupan cu lipunbitori’, la frisedda’, e, sienti sienti, li ‘pettuli, e come le gridavano si ‘strafu-cavunu’».