Scritto da Giorgio Federico Siboni
T. Piffer, Gli alleati e la Resistenza italiana, Bologna, Il Mulino, 2010.
Un utilizzo politico della storiografia è spesso il risultato più evidente, a livello culturale, dei rapporti di forza e di equilibrio presenti nella società e nella medesima struttura politica che la pervade. Quando nel 1953, Roberto Battaglia consegnò alle stampe – per i tipi di Einaudi – la sua Storia della Resistenza italiana, l’interpretazione che diede dei rapporti intercorsi tra gli Alleati e la Resistenza rimase autorevolmente predominante lungo tutto il corso dei decenni successivi. Secondo Battaglia, per esempio, la capillare disinformazione attuata dagli Alleati sull’ubicazione dei lanci aerei di materiali e mezzi destinati alla lotta al nazifascismo in Italia mirava a escludere precisamente le formazioni garibaldine dal supporto alleato. Come tuttavia notava in modo coerente Piero Craveri – in un suo editoriale per «Il Sole 24 Ore» di domenica 25 aprile 2010 – l’atteggiamento di Battaglia mirava invece propriamente a un’interpretazione «funzionale alle polemiche della Guerra fredda da parte dei comunisti». L’autore della Storia della Resistenza italiana, all’opposto, aveva di fatto goduto durante il conflitto dell’appoggio dell’OSS – il servizio di intelligence americano – e la disamina della documentazione archivistica smentirebbe per l’appunto, gradualmente, il paradigma interpretativo presentato oltre cinquant’anni fa da Battaglia e dai suoi continuatori.
Sulla scia degli studi divulgati da Gian Enrico Rusconi (1995) e da Santo Peli (2004) – tesi a sottrarre la riflessione storica sulla Resistenza alla sterile distorsione polemica che l’ha a lungo connotata – pare situarsi invece il nuovo volume di Tommaso Piffer: sintesi equilibrata, delineata da un giovane, capace storico che ha accuratamente approfondito la ricerca presentata tramite le fonti d’archivio, innanzitutto britanniche e statunitensi. La prospettiva aperta da Piffer consente di restituire la complessità del fenomeno resistenziale italiano a un contesto più ampio. In conformità con questo intento, il volume è diviso in due parti: la prima si concentra sulla disamina dei contatti tra i partigiani e le truppe inglesi in Grecia e nei Balcani, mentre la seconda approfondisce l’approccio degli angloamericani verso la Resistenza nel nostro Paese. Di particolare interesse il panorama che l’Autore traccia relativamente alle iniziative britanniche nella penisola balcanica. Se la scelta di appoggiare Tito si rivelò – nella primavera del ’45 – drammaticamente fallace, l’impegno in Grecia costrinse gli inglesi a fronteggiare l’insurrezione marxista sin dall’anno precedente. Anche da questo avvenimento deriverebbe la sostanziale politica di disimpegno attuata dagli americani nella questione dell’avanzata verso Trieste – come sottolineato già da Marina Cattaruzza (2009) e ora approfondito da Raoul Pupo nel recente Trieste ’45. La dirigenza politico-militare statunitense aveva del resto ben chiari pure gli intenti delle brigate Garibaldi, come mostrano compiutamente le pagine che Piffer dedica allo scontro delle formazioni comuniste partigiane contro la Brigata Osoppo e in merito al Confine orientale italiano.
Secondo la ricostruzione dell’Autore – nel nostro Paese – all’interno delle valutazioni espresse dagli Alleati, giocò soprattutto la volontà di sostenere l’unità delle forze politiche che componevano il Cln e il governo nazionale attraverso l’invio di mezzi, finanziamenti e agenti di collegamento dietro le linee nemiche, con un progressivo intensificarsi di tali strumenti nell’agosto del 1944 in vista dello sfondamento della Linea gotica. In tale contesto, con l’arresto delle operazioni in novembre, il generale Alexander non intese affatto invitare i partigiani a ritirarsi dall’impegno militare – come sin qui sostenuto dalla storiografia resistenziale – ma piuttosto a rinviare l’epilogo dell’offensiva decisiva. Più complesse sarebbero state, per contro, le trattative avviatesi poco più tardi fra Alleati e Cln e dirette al disarmo delle formazioni partigiane, all’indomani della liberazione.