La commemorazione dell’eccidio delle foibe è il primo atto politico della nuova amministrazione di Ostia. Il più popoloso Quartiere-Municipio di Roma, con una giunta locale Cinquestelle appena eletta e con una consistente presenza di destra ed estrema destra (Fratelli d’Italia e Casa Pound), ha pensato di dedicare subito tempo ed energie alla commemorazione dei tragici fatti risalenti agli anni tra il 1943 e il 1947. Parliamo della strage di italiani nell’area triestina e più in generale della Venezia-Giulia. Fatti di una gravità inaudita, riconosciuti storicamente dopo decenni di silenzi e omissioni, che contribuirono alla diaspora dalmato-istriana e che portarono – anche sul litorale laziale – a un consistente insediamento di profughi giuliani.
Il 6 febbraio 2018, Ostia ricorderà quei fatti con una manifestazione pubblica e nel frattempo ha approvato l’apposizione di una targa al villaggio San Giorgio di Acilia che verrà scoperta proprio in occasione della commemorazione. La decisione – passata in consiglio all’unanimità – ha sollevato immediate reazioni negli ambienti della sinistra, con critiche da parte di esponenti della politica, della cultura e del giornalismo che hanno subito acceso la polemica. In pratica, si fa osservare, anziché concentrarsi sulle vere emergenze di un municipio che il 27 agosto 2015 fu sciolto per mafia, si preferisce dare fiato alla propaganda di estrema destra utilizzando la commemorazione di fatti risalenti a oltre settant’anni fa. Ed è chiaro il riferimento all’influenza di CasaPound sul clima politico che si respira nel quartiere-città della costa romana.
Ora, non bisogna essere dei raffinati analisti politici per intuire come – la decisione del Municipio – rischi di prefigurare chiaramente un atto di sfida. Cinico e dimostrativo insieme. Dove l’utilizzo della storia (perché di storia indubbiamente si tratta) potrebbe apparire, a un tempo, clava politica e leva elettorale: “Adesso che la sinistra è in difficoltà, facciamo quello che per molto tempo ci è stato impedito di fare. Insomma, facciamo vedere chi comanda davvero”. I toni e la pubblicità mediatica che circondano l’evento, un po’ lo restituiscono questo clima a metà tra il trionfalistico e il vendicativo.
A questo punto una domanda, del tutto legittima, potrebbe essere: ma quanto gliene importa davvero ai grillini, agli elettori di Fratelli d’Italia e perfino a CasaPound, della diaspora giuliano-dalmata e delle sofferenze patite dalle famiglie italiane in quegli anni terribili? Quanta sincera e genuina partecipazione c’è nella decisione di ricordare quei fatti? Rispondere a questi interrogativi, per qualsiasi cittadino di Ostia (e non solo) significa guardare alla realtà senza lenti distorsive e trarne, in piena autonomia, le dovute conseguenze.
Questo, naturalmente, senza nulla togliere alla Storia. Chiunque abbia visto le foibe, chiunque abbia letto e ascoltato le testimonianze di quel periodo, sa che quelle vicende – sul piano dell’orrore – non hanno niente in meno dei campi di concentramento nazisti e delle atrocità fasciste. Per molti, troppi anni, una larga parte della sinistra italiana – e segnatamente del Pci – ha negato quel pezzo di storia, nella convinzione (non sempre genuina) che si trattasse semplicemente di propaganda anticomunista. Ricordo ancora un dibattito in Emilia, fine anni Novanta: “Sì, vabbè, qualcosa sul Carso sarà pure successo, ma non vorrà mica paragonarlo con quello che fecero i fascisti in tutta Italia!”. Questo è ciò che mi disse, in modo tutt’altro che amichevole, un senatore del vecchio Pci quando dai campi del Reggiano cominciarono a tirar fuori i cadaveri di gente giustiziata sommariamente dai partigiani comunisti e alcuni di noi chiesero di fare i conti con la storia, magari evitando i paragoni.
Ecco il problema: i paragoni. Morti di destra e morti di sinistra: chi merita maggiormente un posto nella Storia? I nostri morti sono migliori dei vostri. Sono più sacre le mie croci di quelle stese dall’altra parte del fiume.Purtroppo, da oltre mezzo secolo l’Italia vive di questo: i miei morti contro i tuoi. E in nome di questo confronto,si sono compiute altre atrocità, si sono ammazzate altre persone, e ci si continua a scannare utilizzando i morti nella lotta politica. Che tutto dovrebbe essere, fuorché un’arena dove si calpesta la memoria fingendo di celebrarla.
Alla luce di tutto ciò, quelli che da sinistra si inalberano per la decisione del Municipio di Ostia, a mio parere sbagliano. Contestare una commemorazione, riconosciuta peraltro a livello nazionale, assegnandole la patente di “diversivo” rispetto ai problemi dell’attualità (certamente enormi) significa mettersi sullo stesso piano di quelli che usano la storia di settant’anni fa per dare addosso agli avversari di oggi. E’ sbagliato sul piano dell’etica, dell’immagine e della comunicazione, un vero harakiri politico, attività nella quale la sinistra – come sappiamo – vanta un discreto allenamento. Perché se la celebrazione delle foibe è un atto politico sincero e unitario, merita di essere condiviso in nome della verità storica e della riconciliazione. Se, viceversa, dovesse trattarsi di una commedia ad uso partitico, allora l’autogol politico per chi la mette in scena sarebbe evidente ed enorme.
Partecipare alla Giornata delle foibe non significa dimenticare che cos’è oggi Ostia a fronte di quello che potrebbe essere. Ostia potrebbe essere la perla romana del Tirreno e invece, purtroppo, oggi è (anche) un avamposto mafioso nel Lazio e dunque nella Capitale d’Italia. Quindi, commemorare, non significa dimenticare che l’ultimo episodio legato al clan Spada è solo la punta di un iceberg fatto di criminalità e di illegalità diffusa. Che chi governa, deve capire come la campagna elettorale sia finita da tempo e che Ostia ha su di sé gli occhi del Paese. Finite le celebrazioni, restano i problemi da affrontare e da risolvere. Una commemorazione storica non cambia certo l’attualità e, soprattutto, non ipoteca il futuro.
Luigi Carletti, Notizie Tiscali, 24 dicembre 2017