Avevano la residenza in Slovenia ma provenivano da altre repubbliche. Trent’anni fa tutti i loro documenti vennero cancellati. Ed iniziò una vita di diritti violati. Solo ora le autorità slovene hanno chiesto scusa per quanto avvenuto
A trent’anni dalla cancellazione del registro dei residenti di 25.671 persone, il presidente della Repubblica, Borut Pahor ha chiesto scusa. Lo ha fatto ricevendo a palazzo i “cancellati”, dicendo senza mezzi termini che la Slovenia si assume la responsabilità morale per quel gesto e sottolineando che quel fatto è oramai parte della memoria collettiva del paese. Gli ha fatto eco il presidente dell’Associazione dei cancellati, Ifran Beširovi?, rimarcando che lo stato ha chiesto scusa dopo trent’anni di calvario, invisibilità ed umiliazioni, precisando che non si è ancora posto rimedio a tutti i torti subiti e che nel paese continuano ancora a vivere persone che non sono riuscite a regolarizzare il loro status giuridico.
Ma andiamo con ordine. La Slovenia ai tempi della Jugoslavia era la zona industrialmente più sviluppata della Federazione e negli anni Settanta ed Ottanta era diventata terra d’immigrazione. Centinaia di migliaia di lavoratori, provenienti dalle altre repubbliche, si erano trasferiti lì in cerca di fortuna. Erano andati a riempire le periferie cittadine e per tutti gli anni Ottanta erano stati visti, in maniera sempre più crescente, come un pericoloso strumento di jugoslavizzazione e di snazionalizzazione.
Al momento della proclamazione dell’indipendenza la Slovenia decise di non concedere automaticamente la cittadinanza a tutti i residenti. Fu una scelta ragionata, voluta dagli allora responsabili del ministero dell’Interno. La legislazione jugoslava, infatti assegnava anche delle cittadinanze “repubblicane” che venivano iscritte nei registri e che erano considerate, fino a quel momento, del tutto ininfluenti. In ogni modo ai residenti privi di cittadinanza slovena venne dato tempo sei mesi per richiederla. Quasi tutti coloro che fecero domanda la ottennero senza alcun problema. Chi preferì di non farlo, chi non riuscì a raccogliere tutti i documenti necessari o semplicemente chi non sapeva di non avercela, il 26 febbraio 1992 venne arbitrariamente cancellato dal registro dei residenti. Quel giorno nulla di eclatante accadde e nel paese e nessuno si accorse di nulla. I problemi per le persone cominciarono pian piano ed in genere iniziarono al momento in cui andavano a rinnovare un documento qualsiasi. A quel punto i “solerti” impiegati spesso chiedevano anche il resto dei documenti, per poi strapparli davanti al loro legittimo proprietario. Si scopriva così non solo di non essere cittadini sloveni, ma anche di aver perso tutti i diritti legati alla residenza. Nessuno aveva mai detto che sarebbe stato così. I cancellati da un giorno all’altro persero il lavoro, l’assistenza sanitaria, il diritto ai vari tipi di sussidio, la possibilità di acquistare l’appartamento in cui vivevano ed anche quello di studiare, mentre sulla loro testa pendeva la spada di Damocle dell’espulsione. Tra di loro c’erano anche 5360 bambini. Le loro storie ci misero anni ad affiorare in superfice. Del resto, non conveniva a nessuno. La Jugoslavia stava sempre più precipitando in una spirale di guerra e di pulizia etnica: e la storia che l’indipendenza slovena fosse stata un processo senza macchia suonava troppo bene sia in patria sia all’estero per rischiare di rovinarla.
In un clima di assoluta indifferenza nei loro confronti, la convinzione che girava era quella che i “cancellati” se l’erano cercata. Avevano avuto la possibilità di regolarizzare la loro posizione e non avevano saputo coglierla, pertanto ora ne pagavano le conseguenze. Dovettero passare sette anni prima che la Corte costituzionale si accorgesse dell’incostituzionalità di quel provvedimento. La politica, però scelse di non agire. C’era chi parlava di loro come profittatori di guerra e di nemici della Slovenia che ora tentavano di arricchirsi alle spalle dello Stato. Nel 2003 i giudici dovettero ribadire l’incostituzionalità di quell’atto e solo a quel punto il parlamento riuscì a legiferare per porre rimedio alla situazione. Finì in un nulla di fatto. La norma venne bocciata grazie ad un referendum. L’allora presidente della Camera, lo stesso Borut Pahor che in questi giorni ha chiesto scusa, “dimenticò” di mandare alla Corte costituzionale la domanda sull’ammissibilità di un quesito che andava a incidere sui diritti umani di una specifica categoria di persone. A quel punto il ministero dell’Interno cominciò a regolarizzare la posizione dei cancellati sulla base della sentenza dei giudici. Erano passati undici anni.
Alla fine, lo status dei “cancellati” venne regolarizzato nel 2010, grazie all’impegno di Katarina Kresal, che così si giocò la sua carriera politica. La leader di Democrazia Liberale, che occupava all’epoca lo scranno di ministro dell’Interno, ancora oggi è una delle figure più invise per il centrodestra sloveno. Per i suoi detrattori la Kresal sarebbe stata responsabile di quelli che sarebbero stati indennizzi milionari. Alla fine, i soldi che arrivarono in tasca ai “cancellati” furono molto meno di quanto paventato.
La Slovenia ci ha messo trent’anni a chiedere scusa. Lo ha fatto il presidente Pahor, che dopo aver stupito tutti con le sue foto pubblicate su Instagram, sta lasciando ai posteri una serie di gesti che sino a ieri sembravano impensabili. La tappa alla Foiba di Basovizza e davanti al Monumento quattro fucilati antifascisti, insieme al Capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella è stata vista in Slovenia con soddisfazione dai propugnatori del dialogo italo-sloveno e del superamento delle diatribe del passato, ma anche con rabbia ed ostilità da quelli che nel centrosinistra stentano ad ammettere che la resistenza ed il regime comunista possano aver torto anche un solo capello a degli innocenti. Allo stesso modo Pahor ha raccolto il plauso di coloro credono che la storia dei cancellati sia una grave macchia del processo di indipendenza del paese, mentre è stato accompagnato dall’assordante silenzio dei protagonisti di quella vicenda e del centrodestra in generale, dove l’epopea della nascita della Slovenia indipendente non è altro che una immacolata reliquia.
Stefano Lusa
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 03/03/2022