Sistema educativo pubblico e tutela della minoranza italiana in Croazia e Slovenia

venerdì 13 marzo 2009
Estratto da Coordinamento Adriatico, L’Autoctonia Divisa – La tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, a cura di Valeria Piergigli, Cedam, 2005, pagg 359 ss.

Sistema educativo pubblico e tutela della minoranza italian in Croazia e Slovenia
di Elena Ferioli

Sommario: 1.Considerazioni generali sulla rilevanza del settore educativo per la promozione delle minoranze linguistiche e sulle sue possibili forme organizzative. – 2. Le indicazioni provenienti dai documenti internazionali ed europei. – 3. La Repubblica croata: disciplina costituzionale e vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. – 3.1. Segue: la legislazione statale e locale di attuazione. 4. La Repubblica slovena: disciplina costituzionale e vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. – 4.1. Segue: la legislazione statale e locale di attuazione. – 5. considerazioni conclusive.

1.Considerazioni generali sulla rilevanza del settore educativo per la promozione delle minoranze linguistiche e sulle sue possibili forme organizzative
Nei sistemi sociali etnicamente e linguisticamente compositi, la concreta attuazione dei principi del pluralismo e della non discriminazione comporta precisi interventi pubblici in ambito educativo. Il settore dell’insegnamento e delle iniziative culturali, inoltre, sono quelli che meglio si prestano a forme di garanzia dell’uso dell’idioma minoritario tendenzialmente suscettibili di applicazione generalizzata.

Sono molteplici i fattori che fanno del servizio istruttivo un passaggio strategico imprescindibile delle politiche nazionali di supporto delle culture minoritarie. Innanzi tutto, occorre evidenziare che la corretta conoscenza della lingua materna è presupposto essenziale per l’esercizio dei singoli del più complesso diritto all’uso pubblico dell’idioma minoritario e che il nucleo familiare non è mediamente in grado di provvedere alla cura dei profili grammaticali, sintattici e letterari dell’abilità linguistica dei propri componenti. L’integrazione istituzionale delle comunità minoritarie nazionali implicherebbe, nella sua migliore espressione, autorità amministrative e giudiziarie capaci di comunicare con gli appartenenti alle comunità medesime. A ciò si aggiunga che valori quali la comunicazione, la collaborazione e la pacifica convivenza interculturale impegnano il sistema educativo alla realizzazione di una comprensione linguistica reciproca fra maggioranza e minoranze[1].

La conoscenza della lingua materna può essere sostanzialmente realizzata a fronte di tre atteggiamenti istituzionali. Gli ordinamenti maggiormente garantisti riconoscono alle minoranze linguistiche il diritto all’istruzione “nella” propria lingua e vi provvedono tramite strutture educative pubbliche; una soluzione intermedia è quella dell’insegnamento “della” lingua materna nell’ambito delle scuole pubbliche; esistono infine sistemi che si astengono dall’adozione di misure positive e che semplicemente consentono l’istituzione di scuole private dove impartire l’insegnamento nella lingua minoritaria.

Nell’ambito degli ordinamenti che assumono atteggiamenti del primo e del secondo tipo, la gamma dei modelli organizzativi utilizzabili è alquanto vasta. Per quanto riguarda lo spazio garantito alla lingua minoritaria nei programmi curricolari, essa può costituire mera materia di studio al pari di altre discipline, oppure essere impiegata come lingua veicolare per un numero limitato di materie, o ancora essere unica lingua di insegnamento in forma obbligatoria fino ad un certo grado degli studi o per la loro intera durata. Per quanto invece concerne la struttura delle istituzioni scolastiche, l’ordinamento può ispirarsi al principio del separatismo linguistico e predisporre apposite istituzioni per l’educazione in lingua minoritaria, ovvero a quello del bilinguismo impartendo gli insegnamenti ai differenti gruppi sociali nella stessa struttura. L’operatività dell’istruzione alloglotta può infine essere subordinata alla richiesta da parte di una percentuale minima di interessati, venire attivata in base alla concentrazione territoriale della popolazione minoritaria o dipendere dal ricorso congiunto di entrambe le suddette formule.

Il principio territoriale costituisce opzione assai diffusa, che chiaramente aspira al rafforzamento dell’omogeneità etnico-linguistica all’interno di singole aree geografiche per mezzo della corrispondenza fra circoscrizione istituzionale e confine linguistico. Se esso, da un lato, ha l’indubbio merito di prevenire fenomeni di conflittualità interetnica e di garantire localizzati livelli di tutela giuridica alti, dall’altro, qualora applicato in termini eccessivamente rigidi, può avere ripercussioni negative nei confronti delle lingue minoritarie più esposte al rischio della assimilazione[2].

2. Le indicazioni provenienti dai documenti internazionali ed europei
L’importanza della pubblica istruzione come strumento di efficace tutela delle minoranze linguistiche è senza equivoci confermata dall’attenzione ad essa rivolta da parte degli organismi internazionali ed europei, i quali risultano avere formulato, soprattutto negli ultimi anni, indicazioni specifiche benché non immediatamente precettive per gli stati.

Nel corso del ventesimo secolo, il trattamento delle minoranze è stato oggetto di numerosi accordi di diritto internazionale promossi a livello europeo dalla Società delle Nazioni a seguito del primo conflitto mondiale. Parimenti, anche durante il secondo dopoguerra molti stati europei hanno assunto impegni reciproci relativi alle minoranze per la definizione delle questioni territoriali sorte dai rispettivi trattati di pace. L’attività delle Nazioni Unite in materia è stata inizialmente timida; l’assenza di espliciti riferimenti nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani non va comunque intesa come sintomo di disinteresse verso il problema, quanto come convinzione che la tutela internazionale delle minoranze potesse scaturire dalla protezione dei diritti e delle libertà individuali e dai principi di uguaglianza e divieto di discriminazioni. In relazione all’oggetto qui indagato, si segnala ad esempio la Convenzione contro la discriminazione nel sistema educativo dell’Unesco del 1960; nell’intento generale di reprimere qualsiasi distinzione, esclusione o preferenza basata sul fattore linguistico, essa sollecita le comunità statali a riconoscere alle minoranze nazionali il diritto alla gestione di attività educative proprie e, qualora compatibile con le politiche nazionali del settore, l’uso o l’insegnamento della lingua materna nelle strutture pubbliche. Si tratta con tutta evidenza di vincolo ancora esiguo.

Resasi evidente l’inadeguatezza della impostazione puramente antidiscriminatoria per la tutela dei diritti delle minoranze, nei documenti internazionali compaiono riferimenti specifici: l’art. 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 dichiara che negli stati dove esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, le persone appartenenti a tali minoranze non possono essere private del diritto di godere collettivamente di una propria vita culturale, di professare e praticare la propria religione o di impiegare la propria lingua. Malgrado la concezione collettiva dei diritti in parola, la mancata previsione di interventi statali di tipo positivo e l’ambigua clausola «in those States in which ethnic, religious or linguistic minorities exist»[3], la ratifica del Patto comporta un primo specifico impegno degli ordinamenti nei confronti della condizione dei gruppi minoritari[4].

Nel 1992 viene adottata la Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche, il cui art. 4, comma 3, contempla l’obbligo di garantire l’istruzione nella lingua materna o l’insegnamento della stessa, fra le misure che gli stati si impegnano ad adottare per assicurare l’effettivo godimento dei diritti delle minoranze nazionali; oltre al fatto che l’obbligo pare potersi ritenere soddisfatto dal solo insegnamento “della” lingua materna, è ancora un inciso («wherever possible») a destare dubbi sulla reale consistenza del vincolo scaturente dalla disposizione de quo. Il comma successivo aggiunge che gli stati, nel settore educativo, sono tenuti all’impiego di misure finalizzate alla conoscenza della storia, delle tradizioni, della lingua e della cultura delle minoranze nazionali; in questo caso la raccomandazione è rivolta alla sensibilizzazione degli appartenenti alla maggioranza linguistica nazionale nei confronti delle culture minoritarie.

Anche a livello europeo, indicazioni in tema di minoranze sono emerse in seno al Consiglio d’Europa con vistosa lentezza. L’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950, infatti, si limita ad includere l’appartenenza ad una minoranza nazionale fra le cause di discriminazione espressamente vietate; similmente, l’art 3 della Dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali adottata dal Parlamento europeo con risoluzione del 1989 prescrive il divieto di discriminazioni basate sulla lingua e sull’appartenenza ad una minoranza nazionale.

Il primo documento contenente puntuali e vincolanti direttive è quindi la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992. Scopo principale dell’atto è quello di privilegiare la funzione culturale della lingua minoritaria in quanto tale, piuttosto che quello di imporre rigidi ed omogenei meccanismi di tutela delle minoranze linguistiche a carico degli stati aderenti. Ciò emerge sia dalla definizione del suo ambito applicativo, che dalla peculiarità di potere essere sottoscritta con criterio selettivo[5]. La predisposizione di misure idonee all’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie rientra fra gli obiettivi da perseguire ai sensi dell’art. 7; l’art. 8 è interamente dedicato all’individuazione delle misure di promozione dell’insegnamento della lingua minoritaria nei vari gradi dell’istruzione fra le quali ciascun contraente è appunto libero di scegliere quelle maggiormente adatte al proprio ordinamento e con ulteriore facoltà di modularle a seconda delle minoranza nazionale cui intende rivolgerle. Una soluzione tanto flessibile e incapace di offrire fondamento giuridico a diritti individuali è giustificata dalla volontà di raccogliere un ampio numero di adesioni, nella convinzione che il metodo delle “soft obligations” sia comunque meglio di niente[6]. Dato che Croazia e Slovenia hanno ratificato l’accordo, per chiarezza espositiva è preferibile dare conto delle disposizioni rispettivamente accettate nelle pagine dedicate all’analisi dell’uno e dell’altro ordinamento.

Assume, inoltre, rilevanza topica nella materia in esame la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, approvata a Strasburgo nel 1995[7]. Qui il criterio della territorialità della tutela risulta meno enfatizzato rispetto alla Carta e si rivolge particolare attenzione alle lingue delle minoranze nazionali caratterizzate da un rapporto di collegamento originario con un gruppo nazionale non identificabile con quello maggioritario. Malgrado l’assenza di una di espressa definizione dei soggetti destinatari delle misure di protezione prefigurate, dalla Convenzione-quadro affiorano indizi sufficienti per individuare le situazioni minoritarie interessate in base al requisito della nazionalità ed alla elencazione dei tradizionali elementi di identificazione etnica, religiosa, linguistica e culturale. Anche in questo caso, flessibilità e natura programmatica del documento denotano l’intendimento di agevolare l’adesione del maggior numero possibile di soggetti: i criteri direttivi enunciati sono pertanto affidati alla successiva legislazione statale -anche mediante stipulazione di ulteriori accordi specificativi- senza diretta attribuzione di situazioni giuridiche soggettive ai membri delle minoranze.
Le disposizioni concernenti il settore educativo impegnano gli stati all’adozione di misure idonee a rafforzare negli appartenenti alle minoranze nazionali la conoscenza del patrimonio storico, culturale, linguistico e religioso della propria comunità e della maggioranza nazionale, nonché alla promozione delle pari opportunità di accesso ai vari gradi di istruzione per i membri dei gruppi minoritari nazionali; il riconoscimento del diritto di apprendimento della lingua minoritaria non sembra peraltro comportare automatici obblighi finanziari da parte dei contraenti, che ai sensi dell’art. 14 restano liberi di apprezzare discrezionalmente se predisporre in determinate aree interventi educativi pubblici a seconda del numero di coloro che richiedono l’insegnamento della o nella lingua minoritaria e sempre che ciò sia compatibile col sistema scolastico nazionale. In compenso, l’art. 13 consacra in termini inequivocabili il diritto delle minoranze alla istituzione ed alla gestione di scuole private a proprie spese; vista l’assenza di vincoli direttamente applicabili a carico della finanza statale, l’effettivo esercizio del diritto in parola finisce col dipendere dalla capacità di autofinanziamento delle minoranze medesime, ferma restando la possibilità di contributi statali a favore di simili istituzioni scolastiche private. Croazia e Slovenia hanno aderito anche a questo secondo documento.

3. La Repubblica croata: disciplina costituzionale e vincoli derivanti dagli obblighi internazionali
L’analisi dei diritti linguistici invocabili dalla minoranza italiana nel sistema educativo della Repubblica croata, richiede brevi osservazioni preliminari sul contesto storico-politico all’interno del quale si è sviluppata la disciplina giuridica in commento. L’esperienza croata rappresenta esempio emblematico di come un sistema che ha motivo di temere alcune delle proprie componenti etniche sia reticente nell’adozione di politiche di generale promozione nei confronti delle minoranze.
Rispetto ad altri paesi dell’Europa centro-orientale, la Croazia si caratterizza sia per l’elevato numero dei gruppi minoritari presenti sul territorio nazionale, sia per la violenta conflittualità verificatasi negli anni immediatamente successivi all’affermazione come entità statale indipendente e sovrana. La reazione armata dei movimenti nazionalisti serbi per la regressione a mera minoranza della Repubblica croata ha dato vita ad uno dei vari fronti di guerra civile endemicamente protrattisi sul territorio della ex-Iugoslavia sino alla seconda metà degli anni Novanta. Dato un simile quadro, i benefici sociali, economici e legislativi tradizionalmente connessi all’instaurazione di un ordinamento democratico, sono tuttora in via di maturazione; il quadro politico emerso dalle elezioni del 2000 ha finalmente consentito il formarsi di una coalizione multipartitica in grado di inserire fra gli obiettivi del programma di governo la stabilizzazione della società civile e il miglioramento della qualità del sistema educativo e di essere interlocutrice abbastanza sensibile delle organizzazioni internazionali per il recupero di un’effettiva tutela dei diritti umani e dei diritti delle minoranze[8].

Le questioni evocate dai brevi cenni ora fatti sono particolarmente complesse e reclamerebbero spazi ed approfondimenti che non è possibile loro concedere in questa sede. Peraltro, esse non hanno coinvolto direttamente la minoranza italiana in Croazia, la cui origine risale a noti avvenimenti storici del secondo dopoguerra (ossia alla cessione di territorio italiano alla Iugoslavia ed al conseguente cambiamento di cittadinanza degli individui di origine italiana che hanno continuato a risiedere nei territori ceduti) ed il cui regime giuridico è regolato da apposito trattato bilaterale del 1996. Ciò non toglie che il sistema costituzionale nel cui ambito si configura attualmente la posizione della minoranza italiana sia quello di una nazione ancora giovane e, sotto certi profili, fragile, assorta nella costruzione di una propria salda ed unitaria identità nazionale ben più che animata da volontà di rafforzamento delle identità locali.

Partiamo dalla verifica dei riferimenti del dettato costituzionale utili all’indagine. Va innanzi tutto ricordato che gli italiani rientrano fra le minoranze nazionali autoctone espressamente menzionate nella dichiarazione introduttiva del testo come aventi pari diritti rispetto ai cittadini croati. Secondo la consueta formulazione del principio di eguaglianza formale, l’istruzione appare fra gli elementi in base ai quali è vietato operare discriminazioni fra consociati. L’art. 15 è la norma chiave: essa consacra la libertà dei membri di tutte le minoranze nazionali all’espressione dell’appartenenza nazionale, all’utilizzo della propria lingua e scrittura, all’autonomia culturale, formulando una riserva di legge costituzionale per la successiva definizione di tali principi e l’individuazione degli strumenti idonei alla loro realizzazione. Meritano di essere richiamati anche gli artt. 65 e 66, rispettivamente concernenti gratuità e obbligatorietà della scuola primaria, parità di accesso in base alle capacità personali per la scuola secondaria, libertà di creazione di istituzioni scolastiche private. Un ultimo importante indizio costituzionale si trova nella parte sul governo regionale e locale: l’art. 134 include istruzione e scuola elementare fra i settori di competenza comunale e la sola educazione fra quelli di interesse regionale, con la precisazione che il riparto di funzioni fra livelli di governo deve rifarsi al principio di sussidiarietà, che vuole in prima battuta coinvolto il livello istituzionale maggiormente vicino alla comunità beneficiaria del servizio pubblico.

La prima disciplina di attuazione è stata adottata nel 1991 con la legge costituzionale sulle libertà e di diritti umani e sui diritti delle comunità etniche e nazionali o minoranze, emendata nel 1992 e nel 2000, totalmente sostituita nel 2002 dalla legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali. Un impulso determinante alla sostanziale modifica della legge va probabilmente attribuito ai meccanismi di monitoraggio attivati dai competenti organismi internazionali in virtù della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali, che in questa circostanza hanno operato una sorta di revisione costituzionale eterodiretta.

Nel complesso, il nuovo testo rivela sia una tecnica redazionale assai più nitida, sia una volontà politica meno restrittiva nei confronti dei gruppi minoritari. Le disposizioni relative al settore educativo registrano, in particolare, un’evoluzione in senso garantista delle condizioni di attivazione dell’insegnamento in lingua minoritaria. Nella precedente disciplina, esso era subordinato alla duplice condizione della quantità di richieste e della densità demografica a livello locale della comunità alloglotta: fuori dalle regioni a statuto speciale, potevano essere istituite scuole con insegnamento in lingua minoritaria solo se consentito da adeguato numero di frequentanti e solo nelle aree con minoranza pari alla maggioranza relativa della popolazione. Sempre con riguardo alle zone non dotate di autonomia speciale, l’art. 15, comma 3, ammetteva -indipendentemente dalla consistenza numerica della comunità interessata- l’introduzione facoltativa della lingua minoritaria della comunità autoctona forzatamente allontanata durante o dopo la seconda guerra mondiale come lingua straniera dal quarto anno della scuola elementare fino al termine dell’istruzione secondaria[9].
Con la nuova disciplina costituzionale, il diritto all’educazione e istruzione nelle proprie lingue e scrittura sembra trovare rafforzati spazi di riconoscimento e operatività. Ai sensi dell’art. 11 della legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali del 2002, esso viene espressamente qualificato come diritto degli appartenenti alle minoranze nazionali, da svolgersi nelle istituzioni prescolari, nelle scuole elementari, medie e superiori come pure in altre istituzioni scolastiche secondo i criteri stabiliti da apposita legge ordinaria[10].

L’attenuazione dello spirito di autoconservazione identitaria che aveva dettato la precedente legislazione acquista visibilità soprattutto grazie alla rimozione dei rigorosi requisiti numerici e demografici; in base all’art. 11, comma 3, le istituzioni scolastiche in lingua minoritaria possono essere attivate anche per un numero di studenti minore rispetto a quanto prescritto per le scuole pubbliche in lingua croata. La densità demografica, nel termine di almeno un terzo degli abitanti dell’unità di autogoverno locale, costituisce invece presupposto dell’uso paritario ufficiale della lingua, che è profilo distinto da quello oggetto del presente studio. Si tratta, a ben vedere, di indicazioni che sostituiscono il rigore con una discutibile ambiguità, ma che pur sempre hanno il merito di affidare alla legislazione statale ordinaria ed alla disciplina territoriale discreti margini di intervento.

Il piano d’insegnamento ed il programma educativo nella lingua e scrittura minoritaria comprende obbligatoriamente, accanto ad una parte generale, materie riferite alle peculiarità linguistiche, storiche, letterarie, geografiche e culturali della minoranza nazionale. Gli studenti che scelgono di frequentare simili istituti non possono ovviamente esimersi dallo studio della lingua croata; l’obbligo di conoscenza fra maggioranza e minoranza nazionale non è reciproco e agli studenti delle scuole in lingua croata viene data “facoltà” di studiare l’idioma minoritario rilevante nel territorio dell’ente locale di residenza.

Grande attenzione è inoltre rivolta alla selezione dei docenti, con la previsione che all’insegnamento in lingua minoritaria debba provvedere personale dotato della piena padronanza della lingua stessa (può trattarsi anche di insegnanti che non appartengono alla minoranza, purché altrimenti qualificati), la cui formazione possa svolgersi presso istituti d’istruzione superiore statali e secondo specifici programmi di studio.

A questo punto, la cornice costituzionale va completata con la individuazione degli obblighi internazionali gravanti sulla repubblica croata in materia di insegnamento in lingua minoritaria. D’altronde, è lo stesso legislatore della legge costituzionale sui diritti delle minoranze a richiamare i vincoli contratti con altri stati od organismi internazionali, sia nell’art. 1, dove li elenca, sia nell’art. 41, dove afferma che la legge costituzionale non muta né abroga i diritti delle minoranze nazionali stabiliti dagli accordi internazionali che conformemente alla Costituzione fanno parte dell’ordinamento giuridico interno della Croazia.

Per ragioni di ordine cronologico, le barriere minimizzate dalla rinnovata legislazione costituzionale risultano ancora vitali nei termini con cui il governo croato ha ratificato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie nel novembre 1997: le opzioni formulate escludono l’applicabilità dell’accordo alle “non territorial languages” e dichiarano di riferire le disposizioni in materia di educazione ad una serie di minoranze, inclusa quella italiana, i cui studenti abbiano fatto in “numero sufficiente” apposita richiesta. La Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali è stata ratificata nel 1997 senza formulazione di riserve. L’armonizzazione della disciplina interna rispetto agli strumenti internazionali multilaterali, pertanto, può dirsi tuttora in fase di consolidamento.

Si è già avuto occasione di segnalare che la tutela delle minoranze nazionali può essere altresì promossa a livello di diritto internazionale tramite strumenti di cooperazione interstatale. L’utilizzo di accordi circoscritti consente l’adozione di forme di tutela calibrate sulla base dell’evoluzione storica, geografica e politica della singola minoranza che, soprattutto grazie ad eventuali clausole di reciprocità, sono spesso suscettibili di implementazione e manutenzione più efficaci di quelle derivanti dalle obbligazioni di portata universale. Fra i possibili inconvenienti dei trattati bilaterali, occorre invero rammentare il rischio di livelli di protezione meno elevati di quelli offerti dagli standards multilaterali, l’assenza di meccanismi di controllo e sanzione, la introduzione di trattamenti discriminatori fra le varie minoranze presenti all’interno del medesimo territorio nazionale[11].

Dopo la proclamazione dell’indipendenza di Croazia e Slovenia il governo italiano si è premurato di dare adeguata veste giuridica al contenuto degli accordi stipulati nei decenni precedenti in relazione alla minoranza italiana. Come noto, il Memorandum di intesa trilaterale italo-croato-sloveno del 1992 non ha avuto ricevuto positiva traduzione sul piano fattuale da parte delle istituzioni croate e nel 1996, a seguito di lungo negoziato, è stato firmato un nuovo Trattato, col quale la Croazia si impegna a riaffermare il rispetto dei diritti acquisiti dalla minoranza italiana in virtù di precedenti accordi internazionali e ad intraprendere misure di protezione adeguate al carattere autoctono, unitario e specifico della comunità italiana. Quella fra diritti acquisiti e nuovi diritti è distinzione relativamente nitida; alla seconda categoria si ascrivono senz’altro i diritti derivanti dall’ordinamento giuridico croato, sicché a proposito di istruzione minoritaria vanno considerate tutte le disposizioni contenute nella carta costituzionale e nella legge costituzionale sulle minoranze. Per quanto concerne il settore educativo, qualche perplessità può sorgere circa la piena attuazione del principio dell’uniforme trattamento della minoranza italiana su tutto il territorio nazionale «al più alto livello conseguito», il quale sembra preconizzare una diffusa possibilità di accesso all’istruzione pubblica in lingua italiana svincolata dalla consistenza numerica del gruppo minoritario ma che dovrà necessariamente essere bilanciato col principio del decentramento politico e col criterio della territorialità tradizionalmente invalso nella organizzazione dell’istruzione minoritaria.

3.1. Segue: la legislazione statale e locale di attuazione
Il diritto all’insegnamento nella lingua e nella grafia minoritaria è regolato da una legge del maggio 2000, approvata a titolo di attuazione della legge costituzionale sui diritti umani e delle minoranze del 1991 e mantenuta in vigore nonostante la sua sostanziale modifica del 2002.
Questa disciplina investe tutti i gradi dell’istruzione ed individua come strumento privilegiato per impartire l’insegnamento in lingua minoritaria la predisposizione di strutture scolastiche separate anche per un numero di alunni inferiore rispetto a quello richiesto per la apertura di scuole con insegnamento in lingua croata. Classico esempio di regola, o meglio deroga, ragionevolmente discriminatoria a vantaggio di un gruppo non identificabile nella maggioranza nazionale e meritevole di protezione. Il programma educativo si compone di una parte generale e di materie o corsi specificamente rivolti all’apprendimento della lingua, letteratura, storia e cultura della minoranza; la determinazione dei programmi scolastici spetta al Ministro dell’istruzione e dello sport, previo parere delle associazioni rappresentative della comunità minoritaria interessata e fermo restando l’obbligo di studio della lingua e della scrittura croata. Qualora non esistano le condizioni per la creazione di una scuola separata, potranno istituirsi classi o gruppi istruttivi speciali nelle scuole con insegnamento in lingua croata oppure nelle scuole con insegnamento in altra lingua minoritaria; anche in questo caso è possibile derogare ai requisiti numerici normalmente richiesti dalla legislazione scolastica per la creazione di speciali gruppi istruttivi[12]. Il legislatore croato manifesta, quindi, una maturata sensibilità verso l’effettiva tutela del diritto all’istruzione alloglotta e la pone a carico del bilancio statale senza subordinarla a restrittivi requisiti quantitativi circa la comunità destinata a beneficiarne.
L’iscrizione alle scuole o alle classi speciali deve svolgersi alle stesse condizioni valide per l’iscrizione alle istituzioni scolastiche in lingua maggioritaria, con diritto di precedenza a favore degli appartenenti alla minoranza in caso di numero di richieste superiore ai posti disponibili. Nei territori comunali dove vige l’uso ufficiale paritetico fra lingua croata e lingua della minoranza, deve inoltre darsi agli studenti croati la possibilità di studiare la lingua minoritaria.

A garanzia della qualità del servizio istruttivo offerto alla minoranza, la legge impone l’impiego di insegnanti dotati della piena padronanza delle relative lingua e grafia; il loro aggiornamento e perfezionamento dovrà svolgersi presso istituti universitari o nell’ambito di specifici corsi. I libri di testo in lingua sono soggetti alle generali prescrizioni sugli strumenti educativi necessari alle strutture pubbliche; il reperimento di testi idonei è comunque facilitato dalla previsione che essi possano provenire dalla nazione madre, previo consenso del Ministro competente. La documentazione pedagogica e tutti i documenti pubblici scolastici dovranno comunque essere redatti e rilasciati in forma bilingue.

In sintesi, le forme di educazione configurate dalla legislazione statale croata in riferimento alle minoranze nazionali sono le seguenti: insegnamento integrale in lingua della minoranza, sulla base di programmi scolastici corrispondenti a quelli applicati nelle altre scuole pubbliche e con studio obbligatorio della lingua croata per quattro ore settimanali; istruzione bilingue, con insegnamento delle materie umanistiche in lingua della minoranza e di quelle scientifiche in croato, sempre con studio obbligatorio della lingua croata per quattro ore settimanali; insegnamento integrale in lingua croata e studio della lingua e cultura minoritaria (come materia) per cinque ore settimanali. Secondo dati risalenti al 2000, le istituzioni scolastiche in grado di offrire insegnamento totale o parziale in lingua italiana sono ventiquattro di livello prescolare, diciassette di livello elementare, quattro di livello secondario e solo una di grado superiore[13].

Il conferimento da parte dell’ordinamento statale di competenze territoriali in materia di tutela minoritaria, variamente atteggiate secondo soluzioni regionaliste o federaliste, costituisce senza ombra di dubbio uno dei migliori strumenti di promozione. Per le ragioni storico-politiche cui si è fatto cenno nella pagine precedenti, la Repubblica croata procede con estrema cautela verso il decentramento territoriale, nell’evidente e fondato timore che l’autogoverno locale possa assecondare fenomeni di autodeterminazione secessionista; tanto che il sistema territoriale della autonomia minoritaria su base maggioritaria disposto dall’art. 21 dalla legge costituzionale sui diritti delle minoranze del 1991 è rimasto inattuato a causa di una duplice e prolungata ostilità delle autorità politiche centrali e dell’organo di giustizia costituzionale[14].

Negli ultimi anni sono stati comunque compiuti significativi progressi e nell’aprile 2001 è stata adottata una nuova legge sull’autogoverno locale e regionale che decentra alcune competenze relative all’istruzione: in particolare, essa attribuisce agli enti territoriali la competenza circa l’istruzione primaria (art. 19) ed alle regioni il settore scolastico (art. 20). Trattasi, francamente, di criterio allocativo di competenze poco limpido, la cui fisionomia è destinata a chiarirsi nel corso delle fasi di attuazione e grazie ad eventuali precisazioni da parte della giurisprudenza costituzionale.
Secondo lo Statuto istriano attualmente in vigore, l’educazione prescolastica, l’istruzione elementare e quella media superiore rientrano fra le materie di competenza regionale. Ai sensi dell’art. 27, agli appartenenti alla comunità nazionale italiana si garantisce il diritto all’istruzione elementare, media superiore e universitaria nella propria lingua, secondo programmi speciali in grado di trasmettere adeguata conoscenza della storia, della cultura e della scienza della nazionalità di origine. Si prescrive inoltre, all’art. 30, che nei comuni e nelle città istriane caratterizzate dal bilinguismo gli studenti croati saranno sollecitati allo studio della lingua italiana quale lingua dell’ambiente sociale.

In virtù del principio costituzionale di sussidiarietà, all’interno dell’ordinamento croato le autonomie comunali sono direttamente coinvolte nell’organizzazione dei servizi scolastici ed hanno pertanto, a propria volta, formulato specifiche disposizioni statutarie. Lo Statuto di Umago, nella parte relativa alla tutela delle peculiarità autoctone, etniche e culturali del gruppo nazionale italiano, garantisce il diritto all’istruzione in lingua italiana in base a programmi di studio di identico volume rispetto a quelli adottati dalle scuole di lingua croata e prescrive l’obbligatorietà dell’insegnamento di entrambe le lingue in tutti i gradi dell’istruzione. Qui l’opzione non è dunque orientata verso istituti separati (menzionati solo con riguardo all’educazione prescolare), bensì verso classi differenziate all’interno della medesima struttura scolastica; riveste estrema rilevanza ai fini della tutela effettiva della minoranza italiana l’obbligo del suo insegnamento anche agli studenti che non vi appartengono.
Similmente, lo Statuto di Rovigno enumera all’art. 11 l’istruzione elementare fra le competenze comunali e dispone all’art. 39 che nelle scuole elementari e medie attivate sul proprio territorio debbano essere studiate sia la lingua italiana che quella croata. A differenza di Umago, la parità di ampiezza dei programmi scolastici è stabilita solo in riferimento allo studio della lingua italiana o croata come seconda lingua. Solo in merito all’educazione prescolare e solo nel centro urbano della città, si prevede la creazione di apposite istituzioni. Entrambi i comuni si impegnano a favorire lo studio della lingua italiana anche nell’ambito di strutture educative diverse da quelle pubbliche.

Terminata la panoramica di talune frazioni normative poste a tutela della minoranza italiana nel settore educativo, è possibile formulare qualche valutazione sul grado di implementazione raggiunto dal diritto all’insegnamento in lingua italiana nel territorio croato. Alla luce degli avvenimenti che hanno dominato il primo decennio di vita della Repubblica croata, è doveroso contenere l’impressione di scarsa appropriatezza degli strumenti sinora adottati per contare fiduciosamente sui futuri progressi di cui l’ordinamento sarà capace in vista dell’adesione all’Unione europea.
Un passo importante è stato fatto con l’adozione della legge costituzionale sulle minoranze, il cui rango paracostituzionale dovrebbe farne utile scudo per successivi interventi legislativi, statali e/o locali, di ulteriore promozione[15]. Il riconoscimento generalizzato del diritto all’educazione in lingua minoritaria anche per un numero di studenti inferiore a quello prescritto per le istituzione scolastiche in lingua croata, rappresenta un buon traguardo. Vero è che da esso non sembra derivare un automatico divieto per il Ministro dell’istruzione e dello sport di adottare provvedimenti contenenti barriere numeriche per la creazione di scuole o classi in lingua minoritaria. I poteri ministeriali circa le condizioni di attivazione delle classi minoritarie e la formulazione dei programmi scolastici restano al momento uno dei punti deboli del diritto all’insegnamento minoritario.

Tuttavia, sotto questo profilo la minoranza italiana gode di una posizione di tutela privilegiata grazie all’accordo di diritto internazionale con l’Italia ratificato nel settembre 1997. Infatti, secondo quanto ammesso dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza U-II/55/1998, la disciplina nazionale di natura regolamentare adottata dalle autorità competenti non può essere tale da introdurre per la minoranza italiana trattamento meno favorevole di quello in vigore sulla base dei diritti acquisiti[16].
4. La Repubblica slovena: disciplina costituzionale e vincoli derivanti dagli obblighi internazionali
Nel contesto dell’area ex iugoslava, la Slovenia ha sempre rappresentato la regione più sviluppata e occidentalizzata, che è riuscita ad attraversare il periodo della transizione con successo assai maggiore della vicina Croazia. Le due repubbliche, che hanno avviato assieme il processo di separazione e indipendenza da Belgrado, per un certo tempo hanno proceduto affiancate nei rapporti con la comunità internazionale; poi, lo scoppio del conflitto civile croato ha indotto la Slovenia ad una severa presa di distanza. Malgrado la fine dell’emergenza bellica in territorio croato, le relazioni fra i due stati sono rimaste mediocri per l’irrisolta questione del confine territoriale nel golfo di Pirano, la porzione di Mare Adriatico antistante i due paesi.

L’approccio del costituente sloveno al tema delle minoranze è stato profondamente diverso da quanto sinora verificato con riguardo al sistema croato. Senza voler nulla togliere all’abilità politica e legislativa delle istituzioni slovene operanti nel primo decennio d’indipendenza, è in proposito doveroso ricordare che la Repubblica slovena si presenta come stato etnicamente alquanto omogeneo. La maggior parte della popolazione non slovena, per lo più proveniente dalle altre regioni della ex Iugoslavia, ha avuto occasione di ottenere la cittadinanza slovena nel 1991, col risultato che i suddetti gruppi etnici non sono formalmente qualificabili come minoranze nazionali.
Italiani e ungheresi, dunque, costituiscono le sole minoranze nazionali stanziali da riconoscere e proteggere[17]. La Costituzione slovena impegna la Repubblica alla protezione dei diritti delle minoranze autoctone nazionali italiana ed ungherese (art. 5) e, soprattutto, ammette l’esistenza di comuni in cui l’italiano o l’ungherese sono lingua coufficiale (art. 11). Simile consacrazione costituzionale merita la massima attenzione perché rappresenta «al tempo stesso fondamento e compendio dell’intero regime linguistico nell’ordinamento sloveno che, in considerazione dell’autoctonia, traccia una demarcazione chiara tra le lingue italiana e ungherese e le altre lingue minoritarie ancorché più diffuse»[18].

Dalle proclamazioni di cui sopra consegue, pertanto, il diritto alla libera espressione dell’appartenenza alla propria nazionalità e quello di coltivarne la cultura e di usarne l’idioma (art. 61). Nell’art. 64, specificamente rivolto alla definizione dei diritti delle minoranze italiana ed ungherese, è sancito sia il loro diritto alla scolarizzazione pubblica nella rispettiva lingua che quello alla fondazione di apposite strutture scolastiche autofinanziate; l’esatta individuazione delle aree di bilinguismo educativo integrale è coperta da riserva di legge, benché la concreta regolamentazione del regime bilingue appaia di fatto rimessa agli statuti comunali in virtù dello stampo marcatamente municipalista del decentramento territoriale sloveno. Altra ragguardevole garanzia costituzionale deriva dalla previsione che nessuna legge od atto normativo di portata generale strettamente pertinente all’attuazione dei diritti costituzionali e degli interessi minoritari possa essere adottato senza il consenso dei loro rappresentanti (art. 64, comma 5).

L’applicazione dello statuto della coufficialità si ispira, quindi, al criterio territoriale, risultando attivabile nelle zone di insediamento della comunità autoctona a prescindere dalla consistenza demografica del gruppo degli alloglotti. Così concepito, il principio territoriale offre alle minoranze in parola un livello di tutela assai articolato ed efficace nonostante il ridotto numero degli appartenenti[19]. Ad ulteriore conferma di un atteggiamento di favor verso la localizzazione territoriale delle comunità autoctone, il costituente sloveno le incoraggia alla creazione di proprie unità di autogoverno nei territori di rispettiva residenza e sancisce la facoltà statale di autorizzare codeste collettività allo sviluppo di specifiche funzioni da supportarsi tramite finanziamenti statali. Alla garanzia dei diritti dei membri delle minoranze autoctone residenti al di fuori delle aree tradizionali di insediamento, invece, dovrà provvedere la legislazione ordinaria e la normativa degli enti locali.

Per quanto riguarda gli obblighi di diritto internazionale, la Repubblica slovena ha ratificato la Carta europea per le lingue regionali o minoritarie nell’ottobre 2000, dichiarandola applicabile alle comunità italiana ed ungherese. In merito al settore educativo, risultano sottoscritte: le disposizioni riguardanti le istituzioni prescolari subordinatamente alla condizione della richiesta delle famiglie e del numero sufficiente di allievi; le disposizioni relative all’istruzione secondaria e a quella professionale integralmente o parzialmente in lingua minoritaria; le disposizioni circa l’impegno statale alla promozione di università od altre istituzioni di educazione superiore nella lingua della minoranza, qualora lo stato non sia in grado di provvedere direttamente alla loro creazione ed al loro finanziamento.
La Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze è stata ratificata nel marzo 1998, con espressa dichiarazione del governo sloveno di ritenerla applicabile ai soli gruppi italiano, ungherese e Rom. Con esclusivo riguardo alla minoranza italiana, debbono infine ritenersi parte integrante dell’ordinamento costituzionale sloveno gli impegni assunti con il Memorandum di intesa sulla protezione della minoranza italiana in Slovenia e Croazia del 1992, le cui prescrizioni sono attualmente da reputare soddisfatte da parte del contraente sloveno[20].

4.1. Segue: la legislazione statale e locale di attuazione
Nelle c.d. «ethnically mixed areas» i membri delle minoranze nazionali beneficiano dell’istruzione pubblica nella madrelingua dalla fase prescolare al termine di quella secondaria. I modelli affermatisi nella pratica sono tendenzialmente diversi per l’una e l’altra comunità:gli ungheresi hanno optato per l’istruzione bilingue obbligatoria, mentre nelle zone costiere di insediamento della minoranza italiana è invalso un regime scolastico monolingue, con obbligo di studio dello sloveno per gli allievi scolarizzati in lingua italiana ed obbligo di studio dell’italiano per quelli scolarizzati in sloveno.
La disciplina statale di riferimento è contenuta principalmente nella legge sull’attuazione dei diritti dei membri delle minoranze nazionali italiana ed ungherese nel settore educativo (pubblicata nella Gazzetta ufficiale RS 12/1982); altre disposizioni di rilievo sono rinvenibili nella legge sull’organizzazione e sul finanziamento del sistema scolastico (pubblicata nella Gazzetta ufficiale RS 12/1996), nelle leggi relative ai singoli gradi dell’istruzione pubblica (pubblicate nella Gazzetta ufficiale RS 12/1991 e 12/1996), nelle leggi statali sulle autonomie territoriali (pubblicate nella Gazzetta ufficiale RS 72/1993, 60/1994, 56/1998), nella legge sull’autogoverno delle comunità etniche (pubblicata nella Gazzetta ufficiale RS 65/1994) e negli statuti comunali delle città di Capodistria, Isola e Pirano.

Secondo la specifica normativa del 1982, l’istruzione delle comunità alloglotte italiana ed ungherese è parte integrante del sistema scolastico pubblico e costituisce strumento essenziale per il perseguimento dell’eguaglianza linguistica fra queste nazionalità e la nazionalità slovena. A tale fine, i modelli indicati dal legislatore sono l’insegnamento bilingue e l’insegnamento monolingue: nella prima ipotesi, l’educazione verrà impartita nella medesima struttura a sloveni ed alloglotti; nella seconda, l’educazione si articola in distinti istituti con obbligo di studio della lingua coufficiale.
Il presupposto per l’attivazione di entrambi i modelli è che si svolgano in aree dichiarate mistilingue dallo statuto municipale competente (art. 5); i programmi curriculari degli istituti scolastici primari e secondari dovranno essere formulati in maniera tale da offrire agli studenti italiani e ungheresi la conoscenza delle peculiarità storiche e geografiche della madrepatria (art. 8), anche per mezzo di forme di cooperazione con i corrispondenti istituti della nazione di origine (art. 15). Qualora il ridotto numero di allievi non consenta la creazione di apposite classi o dipartimenti all’interno dell’istituto, potranno essere adottate soluzioni organizzative più flessibili a condizione che esse siano in grado di impartire l’insegnamento nel rispetto del programma stabilito. L’insegnamento in lingua minoritaria deve essere preferibilmente affidato a docenti madrelingue, pur ammettendosi l’eventuale ricorso a insegnanti sloveni dotati di adeguata abilità linguistica secondo i criteri fissati dalla legge medesima (artt. 17-18).

Oltre ai profili didattico-organizzativi, un apprezzabile contributo all’efficienza del sistema scolastico sloveno nei confronti delle minoranze protette è dato dagli articolati meccanismi di copertura finanziaria stabiliti dalla normativa del 1996. La migliore garanzia istituzionale per l’esercizio di certi diritti, inutile negarlo, proviene dalla possibilità di imputarne, in tutto o in parte, le spese al bilancio dello stato o degli enti locali. Il finanziamento pubblico dell’istruzione minoritaria appare temperato dal ruolo di soggetto co-finanziatore attribuito, per le scuole elementari, agli organi locali di autogoverno delle comunità etniche e, per le scuole secondarie, al corrispondente organo nazionale[21].

Come si è tradotto tutto questo nell’ambito delle zone di insediamento della minoranza italiana? L’insegnamento in lingua italiana è impartito nei comuni di Capodistria, Isola e Pirano; in ciascuno di questi comuni esiste una scuola principale ed alcuni istituti sussidiari decentrati[22]. Secondo lo statuto di Capodistria, la comunità nazionale italiana cura l’attuazione dei propri diritti attraverso un organo di autogoverno che, nel settore scolastico, ha il compito di seguire e promuovere lo sviluppo dell’educazione e dell’istruzione degli appartenenti alla comunità italiana, di concorrere alla pianificazione e all’organizzazione dell’attività educativa, alla preparazione dei programmi d’istruzione. In più, le deliberazioni comunali riguardanti l’attuazione dei diritti particolari ed il finanziamento della comunità italiana, come pure il piano di sviluppo nel settore della cultura e dell’istruzione, rientrano fra gli atti da sottoporre al parere preliminare del consiglio della comunità nazionale.

Ai cittadini della comunità italiana è garantita l’istruzione nella propria lingua: il Comune è cofondatore degli asili e delle scuole elementari necessarie allo scopo e sostiene altresì l’istruzione media, superiore e universitaria dei cittadini di lingua italiana. La differenza sostanziale fra il ruolo di “cofondatore” e quello di “sostenitore” va probabilmente individuata nel diverso onere finanziario da essi implicato a carico dell’ente locale. Si prescrive poi, a conferma di regola già sancita dalla legislazione statale e inderogabili da parte di quella statutaria, che nelle scuole d’insegnamento in lingua italiana lo sloveno sia materia obbligatoria e viceversa.

Lo statuto di Pirano si limita ad affermare, in termini assai più concisi, che nell’area mistilingue ai cittadini di nazionalità italiana è assicurata l’educazione prescolare e la scolarizzazione elementare nella lingua materna e che nel procedimento di approvazione delle delibere comunali riguardanti l’educazione e l’istruzione in lingua italiana deve essere acquisito il parere del consiglio della comunità nazionale.

L’impegno profuso dal legislatore sloveno per la tutela del diritto all’insegnamento in lingua italiana ha dato esiti indiscutibilmente positivi. Gli spazi del servizio scolastico pubblico offerti nelle aree di insediamento soddisfano le richieste degli interessati e non risulta sia mai stata sfruttata la possibilità di istituire scuole private per l’insegnamento in lingua italiana. Il consiglio della comunità nazionale è organo potenzialmente capace di negoziare i più importanti provvedimenti municipali relativi all’educazione scolastica e di essere coinvolto nella formulazione dei programmi curriculari del grado prescolare ed elementare. In conclusione, è plausibile credere che il livello di reciproca conoscenza linguistica e culturale fra sloveni ed italiani prodotto dal sistema scolastico sinora illustrato, preluda a futuri ulteriori traguardi nel più vasto e complesso campo dell’uso pubblico dell’idioma minoritario.

5. Considerazioni conclusive
Ora sarebbe forte la tentazione di fare qualche riflessione comparativa sulle discipline croata e slovena in materia di istruzione delle minoranze. In realtà, sarebbe superfluo e forse anche metodologicamente scorretto. Superfluo, perché non occorre aggiungere altro per convincere chi scrive e chi legge del fatto che la minoranza italiana in Slovenia gode di un’isola di privilegi e garanzie fra i più efficaci nel panorama comparato e che non si può dire altrettanto della minoranza italiana in Croazia. Scorretto, perché la ragione dei diversi regimi dovrebbe interessarci più del raffronto fra taluni dei loro meccanismi.

Proviamo allora ad interrogarci su cosa hanno voluto evitare e su cosa vorrebbero ottenere i due ordinamenti esaminati tramite le due diverse politiche linguistiche adottate. La Slovenia ha nettamente scartato l’ipotesi dell’uniforme trattamento delle minoranze nazionali è già prima dell’indipendenza ha investito le sue forze migliori verso quella italiana e ungherese, tanto da suscitare episodi di scontento all’interno della propria maggioranza nazionale. Visto che le scelte politiche in tema di minoranze sono sempre al contempo “gesti” di politica internazionale, la Slovenia non ha fatto nulla per nascondere verso quale direzione intende orientare le proprie relazioni economiche, politiche e culturali. D’altro canto, il suo ingresso nell’Unione reclamava prove forti di avanzata europeizzazione e di pacifica noncuranza verso la tormentata area balcanica[23].

La Croazia, caratterizzata da collocazione geografica e tradizione storica ben diverse, ha vissuto i primi anni come nazione sovrana nella difesa armata dei propri confini, per poi destinare gli anni immediatamente successivi alla “croatizzazione” linguistica, culturale e politica della popolazione; in questo caso, la scelta di una disciplina uniforme delle minoranze nazionali ha penalizzato la minoranza italiana, che riesce comunque a farsi scudo grazie a specifici accordi internazionali bilaterali e che agli occhi del Consiglio d’Europa è il migliore frutto sinora raggiunto dalle politiche croate sulle minoranze nazionali[24].

Ricongiungiamoci al punto di partenza dal quale abbiamo preso le mosse, cioè la cruciale importanza del sistema educativo per il mantenimento di una distinta identità nazionale in quanto sede di riproduzione culturale, di socializzazione e di formazione individuale e collettiva. La presente ricerca, dunque, ci conferma che il delicato rapporto tra lingue, politiche linguistiche e diritti linguistici evoca quello fra stato-nazione, diritto e lingua che, declinato in epoca liberale in forma di equazione, dava luogo all’asserzione che l’unità politica avesse come presupposto l’unità linguistico-culturale. Con l’avvento del pluralismo siffatta ottica è condannata al tramonto, ma allo stadio attuale il panorama europeo svela approcci tuttora oscillanti fra aperture alle esigenze del multiculturalismo e della comunicazione globale e chiusure prodotte dalle spinte etnocentriche verso il nazionalismo linguistico-culturale e l’identità linguistica storicamente acquisita[25].

[1] Per considerazioni generali circa i fattori che concorrono al mantenimento e allo sviluppo di una lingua cfr.: Giordan H., Les langues minoritaires, patrimonine de l’humanitè, in Guillorel H.-Sibille J. (cur.), Langues, dialectes et ècriture, Paris, 1993, p. 173 ss.; Canciani D.-De La Pierre S., Le ragioni di Babele. Le etnie fra vecchi nazionalismi e nuove identità, Milano, 1993, p. 21 ss.; Shuibhne N.N., EC Law and Minority Language Policy, The Hague-London-New York, 2002, sp. pp. 188-199.
[2] Per una esaustiva analisi della compatibilità fra principio territoriale e diritto alla libertà di lingua si rinvia a Piergigli V., Lingue minoritarie e identità culturali, Milano, 2001, sp. pp. 27-34 e 80-93, nonché alla bibliografia ivi citata. Sul rapporto fra educazione e multiculturalismo cfr. Henrard K., Education and Multiculturalism: the Contribution of Minority Rights?, in International Journal on Minority and Group Rights, 2000, 7, p. 393 ss..
[3] Clausola che rischia di vanificare l’intera norma per chi ipotizza che la dichiarazione sull’esistenza di minoranza sia rimessa agli stati medesimi, come Capotorti F., The Protection of Minorities under Multilateral Agreements on Human Rights, in Italian Yearbook of Int. Law, 1976, p.14 s.; per un’interpretazione più rassicurante della disposizione cfr. Thompson C., The Protection of Minorities within the United Nations, in Trifunovska S. (cur.), European Minorities and Languages, The Hague, 2001, p. 120.
[4]Non si rassegna alla lettura restrittiva (e maggioritaria) della disposizione in parola, almeno rispetto al settore educativo, Wilson B., La libertè de la langue des minoritès dans l’enseignement, Bruxelles, 1999, p.235 ss., che ricorda come anche la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989 inviti gli stati ad inculcare ai bambini il rispetto della propria identità linguistica e culturale, diffidandoli inoltre dall’inibire ai bambini appartenenti a gruppi minoritari l’uso della lingua madre all’interno delle rispettive comunità.
[5] Ai sensi dell’art. 1 sono lingue regionali o minoritarie quelle praticate in via tradizionale sul territorio di uno stato da parte di un gruppo omogeneo di cittadini in posizione minoritaria rispetto al resto della popolazione; le lingue diverse dalla lingua ufficiale dello stato non includenti né i dialetti locali né le lingue degli emigrati. La rilevanza dell’elemento territoriale è testimoniata dal fatto che le misure di protezione non si estendono al di fuori dello spazio in cui le lingue minoritarie sono praticate, nonché dalla circostanza che alle «non-territorial languages» non si applicano che mutatis mutandis i principi generali della Carta. Sotto il profilo giuridico, l’art. 2 della Carta prevede che ciascun contraente si obblighi, da un lato, ad applicare i principi e gli obiettivi definiti nella parte II a tutte le lingue regionali o minoritarie praticate sul territorio e, dall’altro, a sottoscrivere almeno trentacinque delle novantotto misure di garanzia previste dalla parte III.
[6] Sembra infatti del tutto condivisibile l’opinione di Piergigli V., Lingue minoritarie e identità culturali, cit., p. 37, che sottolinea come, sino all’adozione della Carta, l’assenza di una normativa sovranazionale di principio in grado di fornire uno standard minimo vincolante e di stimolare la elaborazione di migliori livelli di protezione fosse la causa della disomogeneità e della frammentazione delle normative nazionali europee. In dottrina, sulla Carta vedasi anche Kovacs P. La protection des langues des minorites ou la nouvelle approche de la protection des minorites, in Revue générale de droit international public, 1993, 2, p. 411 ss., Yacoub J., Les minorités dans le monde, Paris, 1998, sp. pp. 215-220 e gli atti del convegno internazionale From Theory to Practice : the European Charter for Regional or Minority Languages, Council of Europe Publishing, Strasbourg, 2002.
[7]Per considerazioni generali sulla Convenzione-quadro cfr. Piergigli V., Diritti dell’uomo e diritti delle minoranze nel contesto internazionale ed europeo: riflessioni su alcuni sviluppi nella protezione dei diritti linguistici e culturali, in Rassegna parlamentare, 1996, p. 45 ss., Trifunovska S., Protection of Linguistic Rights within the Council of Europe, in Trifunovska S. (cur.), European Minorities and Languages, cit., pp. 151-153, Di Stasi A., La Convenzione-quadro sulla protezione delle minoranze nazionali fra sistema universale e sistema regionale, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2000, 2, p. 456 ss.. Valuta in termini critici la natura politica, anziché strettamente giuridica, dei vincoli che incombono sugli stati contraenti della FC Alfredsson G. A Frame an Incomplete Painting: Comparison of the Framework Convention for the Protection of National Minorities with International Standards and Monitoring Procedures, in International Journal on Minority and Group Rights, 2000, 7, p. 291 ss.
[8]V. Trifunovska S., Minority rights in Croazia, in International Journal on Minority and Group Rights, 1999, 6, p. 463 ss.; sulla minoranza italiana cfr. Ronzitti N., Il trattato fra Italia e Croazia sulle minoranze, in Rivista di diritto internazionale, 1997, 3, p. 684 ss., de Vergottini G., Le régime juridique de la communauté nationale italienne en Istrie, in Melanges Patrice Gélard, Paris, 1999, p. 475 ss. e Pentassuglia G., The Treaty between Italy and Croazia concerning Minority Rights: an appraisal, in East European Human Rights Review, 1999, 5, p. 49 ss..
[9]Con l’emendamento del maggio 2000 della legge costituzionale sui diritti dell’uomo e delle minoranze, la locuzione «regioni a statuto speciale» viene sostituita con «unità di autogoverno locale e amministrazioni».
[10]Nel paragrafo seguente si avrà modo di approfondire l’esame della legge sull’istruzione nella lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali approvata nel maggio 2000; preme sin da ora sottolineare che essa non risulta abrogata né totalmente né parzialmente dall’entrata in vigore della nuova normativa costituzionale che le funge da parametro.
[11]Ampiamente sul tema Pentassuglia G., Minorities in international law, Strasbourg, 2002, sp. p. 181 ss. e 234 ss., nonchè Marko J.-Lantschner E.-Medda Windischer R., Protection of national minorities through bilateral agreements in South-eastern Europe, in European Yearbook on minority issues, 2002, 1.
[12]Nell’ipotesi di strutture scolastiche separate, la minoranza deve costituire la maggioranza assoluta nell’organismo di gestione dell’istituzione; la legge in esame non stabilisce, tuttavia, alcuna forma di coinvolgimento della minoranza negli organismi di gestione delle scuole pubbliche croate dotate di classi minoritarie.
[13]Dal raffronto con i dati relativi alle minoranze serba, ceca e ungherese, si evince che la posizione del gruppo italiano è nettamente la più favorevole nel grado prescolare, mentre si indebolisce nei gradi successivi. La promozione dei diritti delle minoranze e la valorizzazione delle autonomie territoriali nell’organizzazione del sistema educativo pubblico, ricevono ulteriore impulso dalla legislazione in materia di pubblica istruzione primaria e secondaria adottata nel giugno 2001.
[14]La Corte costituzionale di Zagabria, nel febbraio 1995, dichiarava illegittime le disposizioni dello Statuto istriano concernenti l’uso dell’italiano come lingua ufficiale assieme al croato nei rapporti pubblici, opinando l’incompatibilità del bilinguismo nei rapporti pubblici con la Costituzione croata e insistendo sulla differenza fra “uso pubblico e ufficiale” e “parificazione nell’uso” della lingua della minoranza. L’orientamento della Corte appare smentito dai successivi interventi del legislatore costituzionale e ordinario, i quali recuperano la nozione di “uso paritario ufficiale” e di “parità di uso”, rispettivamente nella legge costituzionale sulle minoranze del 2002 e nella legge sull’uso della lingua parlata e scritta delle minoranze etniche del 2000.
[15]Nella decisione U-I/1681/2003, sollecitata da un ricorso congiunto dell’Unione italiana e del Consiglio nazionale serbo, la Corte costituzionale croata ha tuttavia negato la funzione di parametro di costituzionalità della legge in questione rispetto alla legge elettorale per il parlamento nazionale.
[16]Nel caso di specie, uno dei profili di illegittimità costituzionale dedotti dalla ricorrente Unione italiana era la prescrizione ministeriale di un numero minimo di dieci studenti, che in base al contesto demografico dei territori di residenza della minoranza italiana avrebbe condotto all’annullamento, piuttosto che alla restrizione, del diritto all’educazione in lingua propria. La pronuncia merita attenzione anche per la lunga parte in cui la Corte si diffonde sulla ricostruzione degli esatti criteri di formulazione dei modelli curriculari delle scuole o delle classi in lingua minoritaria.
[17]In realtà il testo costituzionale e la legislazione di attuazione contemplano anche il gruppo dei Rom, il cui carattere nomade comporta una serie di peculiarità del regime di promozione tali da sconsigliarne la comparazione col trattamento riservato alle altre minoranze. Un dettagliato inquadramento della situazione slovena è di Komac M., Protection of Ethnic Communities in the Republic of Slovenia, Ljubljana, 1999 e ID, The Protection of Ethnic Minorities in the Republic of Slovenia, in Dossier n. 7, Mercator-Bulletin n. 46, in http://www.ciemen.org/mercator/index, 2001.
[18] Ancora Piergigli V., Lingue minoritarie e identità culturali, cit., p.344.
[19]Il regime di netto privilegio di cui godono italiani ed ungheresi rispetto ad altre comunità alloglotte ben più consistenti, non ha mancato di suscitare doglianze da parte di queste ultime o della stessa maggioranza slovena argomentando l’irragionevolezza della discriminazione; cfr. sul punto Devatak S., Le statut juridique des minorités ethniques dans l’Etats successeurs de la Yougoslavie, in Levrat N. (cur.), Minorités et organisation de l’Etat, Bruxelles, 1998, p. 183
[20]All’iniziale rifiuto di sottoscrizione causato dalla mancata accettazione del governo italiano di una clausola di reciprocità finalizzata a garantire il trattamento uniforme degli sloveni, faceva seguito la regolare ratifica da parte di Italia e Slovenia. Sull’argomento v. le diffuse osservazioni di Ferrara W., La cooperazione transfrontaliera tra Italia e Slovenia, in Rivista di studi politici internazionali, 1998, 2.
[21]Poiché, ai sensi della legge sull’autogoverno delle comunità etniche del 1994, le fonti di finanziamento di questi organi sono, rispettivamente, il bilancio municipale ed il bilancio statale, la natura del finanziamento del sistema istruttivo minoritario resta pubblica. Pertanto, il significato della previsione sembra riconducibile alla volontà di coinvolgere attivamente le istituzioni autonomiche delle minoranze etniche nei circuiti di decisione politica riguardanti l’organizzazione del sistema scolastico.
[22]La minoranza italiana ammonta a 3063 persone, in gran parte residenti nei centri urbani, dove peraltro rappresentano una porzione piuttosto piccola degli abitanti complessivi. Nell’area di insediamento istriana gli italiani costituiscono solo il 4% della popolazione, preceduti da sloveni, croati e serbi; si tratta, inoltre, di una comunità “attempata”, le cui esigenze scolastiche sono dunque numericamente limitate. Durante l’anno scolastico 1999/2000 gli asili italiani sono stati frequentati da 235 bambini, le scuole elementari da 504 allievi, le tre sole scuole superiori da 266 studenti. Molti degli studenti formatisi in questi istituti proseguono gli studi nelle università slovene, sebbene una quota non irrilevante di giovani scelga università in Italia.
[23]Piena soddisfazione per i livelli di tutela delle minoranze realizzati dall’ordinamento sloveno è manifestata dalla Commissione UE nel Report 2002 on Slovenia’s progress toward accession, sp p. 27 ss.
[24]Cfr. Resolution on the implementation of the Framework Convention for the Protection of National Minorities by Croatia, 06-02-2002 e Opinion on Croatia of Advisory Committee on the Convention for the Protection of National Minorities, 06-04-2001.
[25]In questo senso cfr. Carrozza P. Lingua, politica, diritti: una rassegna storico-comparatistica, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 1999, 2, p. 1479.