di Fabio Fiori – 16/12/2019 – Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso
Quando il vento e le onde precludono il viaggio, i libri e le carte incendiano il sogno: un viaggio notturno a Spalato.
Dopo un’estate che non sembrava voler più finire, è arrivato un autunno violento come non si ricordava da anni. Le burrasche sono diventate tempeste, le acque alte aque grandi. Televisioni, radio, giornali e social scoprono i cambiamenti climatici, banalizzano la complicatissima relazione tra uomo e natura, dimenticano che solo seimila anni fa il livello dell’Adriatico era più alto di 4 metri, mentre arrivò ad essere più basso di 100 metri cinquecentomila anni fa. Ciò non significa che dobbiamo rassegnarci, al contrario bisogna innanzitutto consumare meno, molto meno, e riscoprire l’indomita, efficace, micro e macro operosità della Serenissima. Senza mai dimenticare che se la Laguna è un delicato artificialia, l’Adriatico è un altrettanto delicato naturalia, che insieme formano la nostra preziosissima e amatissima mirabilia quotidiana.
Anche questa notte lo Scirocco è Sciroccalone e nel buio il murmure si fa ancor più minaccioso. Se il vento e le onde precludono il viaggio, i libri e le carte incendiano il sogno, soprattutto nell’oscurità delle notti tempestose. Sogni di città lontane, nello spazio e nel tempo, di uomini grandiosi, nell’audacia e nella barbarie. Questa notte sono tornato a Spalato, per andare a cercare Diocleziano, per perdermi tra le mura del suo Palazzo, bagnato dalle acque dell’Adriatico che con pragmatismo geografico i romani chiamavano Mare Superum. Così è, se Roma sta al centro delle mappe e l’Est il punto cardinale di riferimento. Tante sono le città romane che si affacciano sull’Adriatico, dalla celebrata Ravenna alla dimentica Iadera, tanti i monumenti che si riflettono nell’acqua, dall’arena di Pola all’arco di Traiano ad Ancona. Ma solo una città adriatica può vantare grandi vestigia latine e un ancor più grande figlio, diventato imperatore. Spalato e Diocleziano, un unicum adriatico e forse mediterraneo.
“Non sono uno storico, o un giornalista, o un etnografo. Tuttt’al più sono un viaggiatore, una vittima della geografia. Non della storia, si noti, ma della geografia”, scrive Josif Brodskij in “Fuga da Bisanzio”, dove in un suggestivo parallelo letterario il racconto della città si intreccia con le vicende del suo avo più illustre: Costantino. Anch’io, che sono semplicemente un marinaio odissiaco, un girovago curioso, allo stesso modo sovrappongo da anni appunti, ritagli, fotografie, cronache, pagine e cartoline, di un’altra città, di un altro imperatore: Spalato e Diocleziano. Proprio da una cartolina inviata nel 1915, trovata in Rete, parto questa notte per una onirica navigazione verso Spalato, che già nel nome cerca d’ingannare l’ospite. Infatti sembra omaggiare il palatium dell’imperatore, costruito a partire dal 293, mentre lo si farebbe più correttamente risalire al nome Aspalathos, della fondazione greca del III secolo a.C.. Un nome che rimanda a sua volta a un’altra icona locale, non monumentale ma vegetale, che non decade come tutte le opere del’uomo, ma al contrario si rinnova ad ogni primavera con meravigliose e profumate fioriture: lo sparzio, più nota come ginestra spinosa.
Ma questa notte, al centro del mio carnet de voyage, non c’è un fiore, una foto, una mappa, ma semplicemente questa cartolina viaggiata, venduta su Ebay, a 48 euro. Ha sul fronte un’immagine in stile liberty firmata da Hans Kalmsteiner, mentre sul retro scopro essere stata stampata in occasione dell’Adria-Ausstellung, la Mostra dell’Adriatico, tenuta a Vienna nel 1913, a un passo dalla catastrofe. Un grande expo dedicato al mare e ai suoi porti, alle genti, alle barche, alle tradizioni, da scoprire anche attraverso i viaggi offerti dalle potenti compagnie di navigazione austroungariche. Il disegno a colori della cartolina riassume in maniera folclorica molti dei caratteri della storia spalatina. Nel lavoro dell’artista austriaco ci sono infatti una vela al terzo in primo piano, la prua di una brazzera, un marinaio in abiti morlacchi e, sullo sfondo, il palazzo comunale veneziano in un via vai di eleganti personaggi mitteleuropei. Insomma tanti simboli di una “città portuale quanto mai promiscua, infiltrata dal mare e dal retroterra bosniaco da ogni genere di vagabondi strani e straniti”, riprendendo le parole di un suo figlio nobile, Enzo Bettiza.
Noi marinai vagabondi sogniamo di riapprodare su quelle rive, cercando rifugio in una stanza del Palazzo, magari in una notte di Neverino, per ascoltare la stessa rabbiosa voce del vento e del mare che ricordava all’Augusto la sua umile origine, la sua e le nostre miserie, le fragilità umane. Albeggia quando concludo questa pagina, ma prima di andare a dormire non resisto alla tentazione di verificare in Rete gli orari della Jadrolonija, ferry “Marko Polo”, partenza da Ancona alle 19:45, arrivo a Split ore 7:00. “Così, con quel sorriso sulle labbra, si può salire sul traghetto e andare a prendere una tazza di tè in Asia”, scrive Brodskij. Così anche noi adriatici, con un sorriso sulle labbra, possiamo salire su un traghetto e andare dall’Appenninia alla Balcania in una notte, bevendo una grappa alla sera ammaliati dal lampeggio del faro dorico e una rakija al mattino, nel baluginare del sole tra le isole spalatine.