Scritto da Pietro Spirito, «Il Piccolo», 09/03/12
venerdì 09 marzo 2012
«La volontà di contare tra le vittime delle foibe tutti i prelevati nel 1945 e addirittura di aumentarne il numero, come fece il presidente Ciampi nel 2002, che definì gli infoibamenti un “Olocausto”, mi sembra un modo non accettabile di ricostruire la storia. In più, legare questa tragedia alla sorte degli esuli istriani non serve a fare chiarezza sui fatti». Parole di Boris Pahor, lo scrittore ultranovantenne che nel suo nuovo libro Figlio di nessuno – Un’autobiografia senza frontiere, scritto assieme alla giornalista Cristina Battocletti del «Sole 24 Ore» e pubblicato da Rizzoli, torna ad affrontare una questione sulla quale l’anziano scrittore ha idee piuttosto precise: la strumentalizzazione politica della tragedia delle foibe, l’attitudine delle amministrazioni pubbliche italiane a ignorare tutto ciò che riguarda i crimini fascisti in Jugoslavia e l’impunità per gli stessi crimini, una sostanziale e spesso colpevole miopia divulgativa ogni volta che si tirano in ballo i drammi di queste terre. Sono argomenti che, va da sé, si intrecciano a filo doppio con la biografia dello scrittore, che ha vissuto sulla sua pelle – come uomo e come intellettuale – non solo la violenza nazifascista, ma tutto il portato di ingiustizie, discriminazioni, odi e vessazioni derivati da un agire politico parziale e sordo a quello che il filosofo Paul Ricoeur definirebbe il debito pagato alla memoria.
Una giusta lettura dei fatti storici, dice in sostanza Pahor, è condizione indispensabile per un corretto vivere civile. Ma al di là della questione sollevata da Pahor, il punto è che, come nota Cristina Battocletti che ha raccolto la lunga testimonianza biografica dello scrittore, «non esiste un archivio storico unico che raccolga tutti i documenti, i dati e le informazione per accertare nel modo più preciso possibile il numero delle vittime gettate nelle foibe, dei morti nei campi di concentramento jugoslavi e degli scomparsi».
«L’incertezza sul numero delle vittime – continua Battocletti – ha prodotto molta confusione su una pagina dolorosa della nostra storia: il conteggio delle persone uccise da parte jugoslava dopo l’8 settembre del 1943 e dopo il 1° maggio 1945 oscilla moltissimo». «Gli storici – osserva ancora Battocletti – attingono a diversi archivi, con dati che risultano imprecisi, perché spesso vi sono nomi ripetuti oppure non viene fatta distinzione fra le vittime nelle foibe, i morti in guerra e le persone arrestate ma successivamente rilasciate». Eppure le fonti archivistiche sono note e frequentate, a cominciare dall’Archivio Diplomatico del ministero degli Esteri, in cui vi è un elenco alfabetico basato sulle denunce di persone scomparse, civili e militari, in cui sono confluiti gli elenchi redatti dalla Croce Rossa.
Poi c’è l’Archivio Centrale dello Stato, dove sono custoditi gli elenchi dei dipendenti del ministero degli Interni scomparsi. Preziosi sono i documenti conservati all’Istituto regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia di Trieste (che fra l’altro ha pubblicato a cura di Giampaolo Valdevit il fondamentale Foibe. Il peso del passato. Venezia Giulia 1943-1945, 1997, con i risultati delle ricerche condotte dal 1980 alla fine degli anni Ottanta del ’900). L’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine, poi, nel 1994 ha pubblicato l’elenco di tutte le persone scomparse e decedute per cause di guerra nelle provincie di Trieste, Gorizia, Udine e Pordenone, dal 1943 al 1945, mentre all’Archivio di Stato di Lubiana si trovano una parte dei rapporti della polizia segreta jugoslava comunista, con i nomi delle persone arrestate o da arrestare. Ancora, la Società di Studi Fiumani di Roma e l’“Hrvatski Institut za Povijest” di Zagabria sono state attive nella ricerca e nella pubblicazione delle vittime di nazionalità italiana di Fiume e dintorni. C’è poi la famosa «Relazione della commissione italo-slovena», istituita nell’ottobre 1993 su iniziativa dei ministri degli Esteri di Italia e Slovenia, che però non fornisce dati numerici. Tra i documenti non ufficiali esiste un elenco stilato nel 1961 dal sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, con il nome delle persone scomparse nella Venezia Giulia, e «L’albo d’oro» redatto da Luigi Papo, direttore del Centro studi adriatici, che ha raccolto i nomi di vittime, deportati e scomparsi durante la seconda guerra mondiale in Friuli, in Istria e nella zona B del TlT, a Fiume e in Dalmazia.
Un altro elenco è stato stilato dalla storica slovena Natasha Nemec, per le persone disperse e arrestate in provincia di Gorizia. È attiva infine una «Commissione foibe», presso la Presidenza del Consiglio, istituita nel 2004, che vaglia le domande dei congiunti degli infoibati per il conferimento di una medaglia e di un diploma in memoria delle vittime. Le fonti, dunque, non mancano, anche se, spiega lo storico Roberto Spazzali, «nella ricerca storica la quantificazione ha un senso relativo, molto più importante è lo studio delle dinamiche dei fatti. Un elenco preciso delle vittime delle foibe, ma più in generale delle vittime dell’una dell’altra parte, è impossibile». In quanto alle responsabilità del fascismo, aggiunge Spazzali, «gli storici hanno affrontato di petto il problema, e con tutti i limiti derivati dalle leggi memoriali molte amministrazioni pubbliche italiane si sono fatte carico di mappare e salvaguardare i luoghi dei crimini fascisti». «Quando si parla delle vittime delle foibe – interviene lo storico Raoul Pupo – l’importante è l’ordine di grandezza, che è di alcune migliaia». «Certo – continua – sarebbe importante realizzare un elenco unico basato sul confronto fra tutte le fonti disponibili, adottando però criteri precisi di valutazione; servirebbe a far sparire finalmente esagerazioni e speculazioni; i costi? Basterebbero ventimila euro e tre giovani storici motivati, uno italiano, uno sloveno e uno croato».