Compie mezzo secolo l’istituto che più di altri ha salvaguardato l’identità e le tradizioni della minoranza dal dopoguerra ad oggi, dal regime jugoslavo all’indipendenza della Croazia.
Compie cinquant’anni il Centro di ricerche storiche di Rovigno. Nato nel novembre del 1968 come roccaforte culturale e intellettuale della Comunità italiana nell’ Istria, Fiume e Dalmazia ai tempi della Repubblica Federale di Jugoslavia, oggi il centro ha la sede nella centralissima piazza Matteotti, all’interno di tre palazzine storiche sorte tra diciassettesimo e diciannovesimo secolo, restaurate e comunicanti. È un labirinto di mille quadrati su più piani in cui sono stipati 120mila volumi, 1700 periodici, quattromila carte geografiche di ogni epoca, un archivio con 115mila unità archivistiche, migliaia di fotografie, stampe, manifesti, disegni. Più trecento volumi editi dallo stesso Centro.
Il tutto diviso per soggetto: dall’archeologia all’araldica, dalla linguistica alla sociologia, dal fascismo al comunismo, dall’esodo dei giuliano dalmati all’arte e alla natura del territorio, fino ai testi scolastici adottati per la minoranza italiana dal dopoguerra. Un patrimonio culturale e archivistico enorme, affidato alla cura di diciassette dipendenti fissi tra ricercatori, archivisti, bibliotecari e personale di servizio, per una spesa annua intorno ai cinquecentomila euro, fondi variamente erogati al sessanta per cento dal governo italiano e dalla Regione Fvg e per il restante quaranta per cento dai governi sloveno e croato. Domani sera il cinquantesimo dalla fondazione del Centro sarà celebrato alle 18 al Centro multimediale di Riva Aldo Rismondo (ex Cinema Roma) di fronte a una nutrita rappresentanza di studiosi ed esponenti dei governi italiano, croato e sloveno, della Regione Fvg e della Regione Istria, più i rappresentanti dell’Unione Italiana, di cui il Centro ricerche storiche di Rovigno è appunto ente di ricerca.
Nell’occasione verrà presentato un libro che ripercorre la storia giorno per giorno dell’istituzione. Ma al di là delle celebrazioni del cinquantenario, la storia de Centro è un esempio forse unico in Europa – per durata, qualità scientifica e patrimonio biblio-documentale – di salvaguardia della cultura e delle tradizioni di una minoranza e del suo territorio. L’idea di creare il Centro nacque durante un ampio dibattito, tenuto a Fiume il 12 novembre 1968, all’interno del Comitato allargato dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (Uiif)che si era riunito per programmare le celebrazioni del 25.o anniversario della fondazione dell’Unione stessa. In quell’occasione fu deciso di dare vita ad una Sezione storica dell’Uiif, con il compito di raccogliere attorno a sé un numero quanto maggiore possibile di collaboratori qualificati e di appassionati cultori della storia istriana, per dare inizio ad un ampio lavoro di ricerca rivolto a «sfatare – come ebbe a sottolineare allora il presidente Antonio Borme – l’inadeguata obiettività della trattazione di tutta una serie di questioni storiche riguardanti l’Istria». In quegli anni i venti della contestazione avevano cominciato a soffiare anche nella Repubblica Federale di Jugoslavia, risvegliando appetiti nazionalisti e indipendentisti, come il movimento croato “Masovni pokret”, in seguito duramente represso da Tito, ma anche nuove coscienze nella minoranza italiana.
La comunità dei “rimasti” era alle prese sin dai primi anni del dopoguerra con un processo di nazionalizzazione di massa che stava svuotando dall’interno la comunità stessa. «Il Centro – racconta Giovanni Radossi, 82 anni, direttore dell’istituto e uno dei suoi fondatori – nacque da un vero e proprio grido di protesta e di insofferenza nei confronti della situazione in cui si era venuta a trovare, dopo l’esodo e per gli effetti di una strisciante assimilazione, la minoranza italiana in Jugoslavia». «La Comunità italiana – continua Radossi – e con lei il patrimonio civile cui era legata, erano stati sottoposti a un vero e proprio oblio forzato, allo sradicamento di ogni legame con gli aspetti originari della propria eredità culturale: era stato rotto, dalla morsa delle ideologie e per le pressioni dello stato totalitario, il rapporto con una memoria e un’identità millenarie».
Il compito di dare il via all’operazione fu affidato ad un gruppo di esponenti di primo piano dell’Unione, autori di articoli, saggi e anche di opere di largo respiro, come “Fratelli nel sangue”, uscita nel 1964, dopo lunghe traversie, per i tipi dell’Edit. Molti di questi esponenti – Luciano Giuricin (responsabile del gruppo), Aldo Bressan, Lorenzo Vidotto, Arialdo Demartini, Giovanni Radossi, Riccardo Giacuzzo, Antonio Pauletich, Claudio Radin e Anita Forlani, parteciparono alla prima riunione della Sezione storica, il 12 febbraio 1969 al Museo Civico di Rovigno, che divenne la prima e provvisoria sede del Centro.
Da allora, e per mezzo secolo, il Centro è cresciuto affrontando spesso ostracismi, intimidazioni, polemiche, sia con il governo jugoslavo, finché fu in vita, sia con i nazionalisti croati e sloveni, che non hanno mai digerito un’istituzione in grado di resistere alle spinte ideologiche portando avanti un programma culturale di vasto respiro. Programma che sin dagli inizi vide la collaborazione e la partecipazione di studiosi croati, sloveni, italiani di varie Università e istituti storici delle tre realtà, «seguendo con rispetto – ricorda oggi Radossi – quei canoni di obiettività, autenticità e rigorosa documentazione che caratterizzano ogni autentico lavoro di ricerca storico-scientifica». —
Il Piccolo, 22 novembre 2018