Scritto da Cdm – Arcipelago Adriatico, 27/08/13
martedì 27 agosto 2013
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, lo scritto apparso sulla rivista «Quaderni giuliani di storia» in merito ai volumi di Coordinamento Adriatico, Fenomenologia di una macro regione. Sviluppi economici, mutamenti giuridici ed evoluzioni istituzionali nell’Alto Adriatico tra età moderna e contemporanea, 2 voll., Milano, Leone, 2012, I, Percorsi storici e storico-giuridici, a cura di Giuseppe de Vergottini, Davide Rossi, Giorgio Federico Siboni (569 pp.), II, Percorsi economici e istituzionali, a cura di Giuseppe de Vergottini, Guglielmo Cevolin, Ivan Russo (1044 pp.).
Non è un caso che nell’Alto Adriatico si siano precorsi i tempi, con l’esperienza dell’Alpe Adria negli anni ’70 del secolo scorso, attivando iniziative culturali e politiche, contatti economici e commerciali che, ormai ampliata l’Unione europea e operante a livello locale, sono culminati con l’approvazione dell’“Euroregione senza confini” il 16 marzo 2012 a Trieste tra Italia, Veneto, Venezia Giulia, Carinzia, in auspicato allargamento a Slovenia e Croazia. Si tratta di un’area in cui le storiche comunicazioni dei diversi gruppi nazionali dall’Ottocento avevano subito innaturali chiusure nel crescere dei nazionalismi e il nascere di nuove compagini statali, senza comunque poter cancellare la realtà delle esperienze di vita ai confini, vista la permanenza di cospicue minoranze all’interno degli stati nazionali.
Nel crescere nonostante tutto degli stati aderenti all’Unione Europea, in un mondo che sembra andare in modo inarrestabile verso la globalizzazione, comunque non restringibile per molti aspetti agli stati nazionali, le strutture statali, tanto più se centralistiche, non riescono a raccogliere le molteplici esigenze locali di popoli storicamente vicini per molti aspetti, talora anche conviventi in uno stesso territorio; già si ipotizzano euroregioni ulteriormente ampliate, recuperando antiche vie di contatti e di comunicazione, che superano in modo notevole l’area prima di riferimento, come ad esempio un’euroregione adriatico-ionica. Non manca chi, giocando sulla nuova e suggestiva formula, annuncia macroregioni per evidenti polemiche politiche interne promosse da qualche partito, magari in periodi elettorali, contestando gli stati nazionali; come ad esempio l’idea di una macroregione dell’Italia del Nord, aperta alle vicine Svizzera, Baviera ed Austria, ciononostante continuando a firmare gli accordi maturati da anni di contatti per l’“Euroregione senza confini” altoadriatica. Il lavoro che qui si recensisce risponde all’opportunità da molti sentita di andare verso un’euroregione storicamente e attualmente motivata da una seria ricerca multidisciplinare, studiando l’area nelle sue caratteristiche ed esigenze generali, cercando di evitare improvvisazioni o usi politici strumentali, nel complesso rapporto con gli stati nazionali, la Comunità europea e i paesi extracomunitari in un mondo intercomunicante.
Si viene così a documentare la nuova prospettiva dal punto di vista storico, giuridico, economico ed istituzionale, aprendo a un futuro che permetta di superare ostilità e ruggini cumulate negli ultimi due secoli di accesi nazionalismi. La parola “fenomenologia” sembra quasi fotografare nei suoi molteplici aspetti il quadro generale dell’area così come si mostra, ora in movimento con novità dopo gli avvenimenti di fine Novecento per lo smantellamento della “cortina di ferro” e la dissoluzione della Jugoslavia socialista. I volumi, frutto di una ricerca pluriennale promossa dal Coordinamento adriatico di Bologna e finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, intendono mostrare l’evolversi e le prospettive dell’Alto Adriatico nell’età moderna e contemporanea, con l’attuazione nelle nuove strutture istituzionali delle Euroregioni dopo l’entrata in vigore del Regolamento GECT (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) nell’“Euroregione senza confini”.
Lo fa con un approccio multidisciplinare nello studio della cultura e delle tradizioni altoadriatiche, partendo dalla sollecitazione della “Questione giuliana”, come scrivono i curatori nell’introduzione, ampliando l’orizzonte all’area tutta che si pone “non solo come luogo di passaggio”, ma come una “vera e propria via di accesso all’Europa e al Mediterraneo: porta di ingresso del continente e delle strade per il Levante” (pp. 10 e 11 del I vol.). La parte prima del volume I, Profili storici, introdotta da Edoardo Bressan, che spiega l’itinerario delle ricerche, inizia analizzando i mutamenti politico-istituzionali nella Venezia Giulia e a Trieste tra Tito e gli americani alla luce delle nuove testimonianze documentarie da Washington (1945-1954), individuando due fasi della “Questione Trieste”, quella del controllo interno del territorio (Roberta Cairoli) e quello della sua collocazione nel contesto guerra fredda (Simona Tobia). Il discorso storico si amplia soffermandosi su istituzioni e dissidenza religiosa negli episodi di eterodossia nell’Istria della prima età moderna a cura di Luca Fois, che li situa nel contesto particolare della Repubblica di Venezia del secolo XVI e di Michele Pellegrini, il quale riferisce dei processi di Dignano d’Istria. Laura Gagliardi trattando dell’ammissione degli esuli veneti alla cittadinanza nel dibattito delle istituzioni politiche della prima Cisalpina (1797-1798), in un momento decisivo per l’identità nazionale, rileva invece già allora una diversità per l’Istria e la Dalmazia.
Un salto al secondo dopoguerra è costituito dal contributo di Antonio Maria Orecchia che studia l’eco dell’esodo istriano fiumano e dalmata sulla stampa lombarda, ben documentato e quindi evento ben conoscibile, ma rimosso dalla coscienza nazionale dopo una guerra persa. Conclude i profili storici il saggio di Giorgio Federico Siboni su economia e istituzioni nell’Austria asburgica e il Litorale adriatico, che presenta lo sviluppo economico e istituzionale della città portuale, in un periodo cruciale alla base del suo decollo ottocentesco, tra impetuosa crescita e scontro dei contrapposti nazionalismi. La seconda parte del I volume, Profili storico-giuridici, introdotta da Vito Piergiovanni che rileva la complessità nei territori, si apre con il contributo di Pierpaolo Bonacini sulle relazioni politico-commerciali tra il Ducato estensee l’area altoadriatica attraverso le rappresentanze diplomatiche nel corso del XVIII secolo, in un rapporto con Venezia, Trieste e Vienna tra politica e attività commerciale terrestre e marittima, in cui molta importanza assumono gli agenti in loco e quindi le diverse situazioni locali. Marco Cavina esamina leggi, commercio e agricoltura del tardo Settecento nel Friuli, con una considerazione strategica del territorio che giunge fino alle vicende della Dalmazia, partendo dall’apporto culturale delle Accademie scientifiche, che hanno preparato al cauto riformismo dell’età dei lumi.
Temi e dibattiti della cultura giuridica fino 220 Recensioni all’unificazione legislativa del 1928 nelle “nuove provincie” annesse all’Italia vengono affrontati da Riccardo Ferrante, che evidenzia la diversità italiana ispirata al Code Napoléon dall’ABGB austriaco, per un breve periodo compresenti sul territorio, esaminando gli istituti di formazione e la cultura giuridica di Trieste e in modo particolare la funzione della rivista “Foro delle nuove provincie”. Anche Davide Rossi, nella breve esperienza del Consiglio di Stato per le terre redente (1919-1923), rileva tutta la diversità tra sistema legale italiano e quello austriaco, in una transizione rivelatasi difficile. Il diritto marittimo e le assicurazioni a Trieste tra Austria, Italia ed Europa alle soglie dell’annessione vengono affrontati da Maura Fortunati, che segue il loro evolversi fino alla complessa situazione del primo dopoguerra. Anche il II volume, Percorsi economici e istituzionali, si divide in due parti. La prima, Profili giuridico-istituzionali, è introdotta da Giuseppe de Vergottini che entra nelle problematiche vive dell’Euroregione altoadriatica, con il possibile allargamento alla macroregione adriatico-veneta, tra coordinate nazionali e internazionalizzazione attraverso le nuove strutture istituzionali e l’urgenza di interventi con accesso ai fondi europei.
Il primo saggio, di Antonio Luigi Palmisano, affronta la tematica delle diversità nell’ambito dell’Euroregione: un esperimento di scienze politiche e sociali, nella necessaria progettualità comune che la caratterizza. Fulvio Salimbeni ripercorre i precedenti storici di popoli e minoranze che vi hanno vissuto a partire dalla caduta dell’Impero romano nell’Alto Adriatico, indicando alcune prospettive per una didattica multimediale di una storia dei territori, rivolta ai giovani nel mondo della scuola. Contributi su iniziative e movimenti di idee vengono offerti da Raimondo Strassoldo su Alpe Adria, Euroregioni, Mitteleuropa, ripercorrendo in primo luogo l’itinerario dagli anni ’60 dell’Istituto di sociologia internazionale di Gorizia, soffermandosi poi sul concetto di Mitteleuropa e informando sulle iniziative degli Incontri culturali mitteleuropei di Gorizia e sull’Associazione culturale Mitteleuropa, che hanno portato a percepire ormai l’idea di Mitteleuropa come un valore di riferimento comune.
Le forme di collaborazione istituzionale degli enti locali e il sistema europeo di cooperazione territoriale vengono analizzate nell’articolato contributo di Guglielmo Cevolin, con puntale riferimento agli interventi legislativi della Regione Friuli Venezia Giulia e dell’Europa, individuando nei CBC (cross border cooperation), nella Regione e nelle strutture amministrative locali la via per migliori relazioni internazionali, in aree in cui le minoranze risultano divise dai confini nazionali. Un ampio studio comparato della tutela giuridica delle minoranze linguistiche nell’Alto Adriatico nel quadro della legislazione statale italiana, slovena e croata viene presentato da Valeria Piergigli, problema tuttora aperto in rapporto all’implementazione dei diritti delle minoranze. Giorgio Tessarolo analizza la cooperazione transfrontaliera attraverso quattro Interreg tra Italia e Slovenia attivati dalla Regione Friuli Venezia Giulia, preceduti dalla iniziativa di Alpe Adria.
Con Davor Blaskovich si entra nell’esposizione e nella comparazione dei diversi sistemi amministrativi, cominciando con una dettagliata descrizione del sistema tributario croato che non è stato un aggiustamento rispetto al precedente sistema, ma la creazione di uno nuovo in vista dell’ingresso nell’Unione europea. I nuovi scenari della fiscalità nel contesto della globalizzazione in Italia e nei paesi limitrofi vengono descritti da Mario Nussi, con attenzione all’imposizione regionale e locale, agli obiettivi per l’Euroregione, alle prospettive dell’armonizzazione fiscale UE. Il diritto del lavoro, che oggi mostra le fondamenta comunitarie in tutti i paesi dell’Alto Adtiatico, Croazia compresa, viene analizzato da Emanuele Menegatti in un dettagliato studio. Mauro Seppi si sofferma sulle convenzioni internazionali e sulla previdenza sociale all’interno dell’Euroregione nell’Alto Adriatico, ora cambiate rispetto al passato con accordi bilaterali e regole dell’Unione europea. Dei diritti sociali all’interno dell’Euroregione, dalla libera circolazione delle persone alla circolazione dei diritti, scrive Luigi Rosa Teio, con attenzione in modo particolare ai lavoratori transfrontalieri. Sulle euroregioni nell’Alto Adriatico come embrioni di nuclei europei da coltivare, evitando la deriva del vecchio continente, scrive Lucio Caracciolo ricordando gli studi di Antonio Sema su “Limes”, rivista di geopolitica.
Carlo Jean sottolinea l’importanza della partecipazione italiana alle forze multinazionali per europeizzare la regione balcanico-pannonica. Infine aspetti istituzionali del Gruppo Europeo di Cooperazione Internazionale vengono illustrati da Guglielmo Cevolin, che si sofferma specialmente sul caso goriziano. La parte seconda del II volume, Profili economici e internazionalizzazione delle imprese nell’Alto Adriatico, ha inizio con il saggio di Antonio Borghesi sulla globalizzazione e sui suoi effetti sulle imprese, che si sofferma in particolare sui problemi della logistica, della competizione internazionale e sul fattore rischio. La valutazione dei fornitori per una logistica globale nel nuovo contesto internazionale per le imprese, con una dettagliata analisi corredata da figure e tabelle, viene proposta da Ivan Russo; nella conclusione egli indica alcune opportunità favorevoli nell’area che si sta profilando come Euroregione altoadriatica. Barbara Gaudenzi tratta della percezione e della gestione del rischio nelle attività economiche europee, rilevando che una Word Risk Society cui possono portare i contesti globali viene temperata da processi di unificazione quali le euroregioni, come quella che si profila dell’Alto Adriatico.
Un’attualissima lettura e interpretazione delle modifiche alla specializzazione industriale interregionale nell’Alto Adriatico, con le modificazioni avvenute dal 1993 fino alle soglie della crisi attuale, viene offerta da Patrizia Tiberi Vipraio; studiosa che nel successivo contributo si sofferma sull’internazionalizzazione nell’Alto Adriatico: convergenza e riassetto commerciale e produttivo fra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Austria, Slovenia e Croazia, presentato con l’apporto dei risultati del lavoro di un gruppo di ricerca dell’università di Udine che ha lavorato sotto la supervisione dell’autrice. Due contributi affrontano il tema delle banche e dell’integrazione economico-finanziaria nell’Alto Adriatico: quello di Maurizio Polato e quello di Josanko Floreani, con opportunità, rischi e prospettive di sviluppo. Giuseppe Giansoldati si sofferma sull’integrazione commerciale e produttiva nei processi di internazionalizzazione dell’area, con approfondimenti sulla filiera per il tessile-abbigliamento e sul commercio intraindustriale tra le regioni italiane e i nuovi stati dell’Alto Adriatico.
Nella prospettiva di un’integrazione altoadriatica, Rubens Pauluzzo mette in relazione le differenze culturali e le prospettive di business, con una accurata analisi dei rapporti nelle diverse realtà statuali dell’area. Il volume si conclude con un contributo di Alessio Lokar sul retroterra economico dell’Alto Adriatico, costituito dai nuovi stati dell’Unione Europea (Slovenia, Slovacchia, Polonia) e dai potenziali candidati all’Unione, spingendosi fino alla Federazione russa, nei nove anni che vanno dal 2002 al 2011. Pur nel quadro generale molto ampio disegnato dai volumi, con il cospicuo numero dei contributi e la mole inusuale di un’opera di oltre 1600 pagine, non ci si poteva comunque aspettare una summa completa dei diversi aspetti e di tutti i problemi che si pongono, considerato lo scopo di raccogliere ricerche di specialisti in un campo tutto da progettare e sperimentare nelle sue molteplici direzioni, molte delle quali nuove. Mi sembra però che le tematiche affrontate dai numerosi contributi avrebbero potuto essere talora anche più attente ad alcune premesse storiche in linea con le attuali potenzialità dell’area, tenendo conto di un’euroregione che si riferisce all’Alto Adriatico come nucleo centrale, pur senza definirne confini che rimangono aperti. La parte storica, che risulta fondamentale come riferimento all’esperienza di vita e di rapporti tra i popoli e su cui non manca ormai una ricca produzione di studi non solo locali, nell’opera risulta talora scarsamente esemplificativa, tralasciando alcuni momenti importanti per la configurazione dell’area nell’epoca moderna, su cui si innesta la fase attuale con le sue prospettive e i suoi problemi.
Nulla si dice, se non in qualche rapidissimo accenno nei saggi di Giorgio Frederico Siboni (p. 252 del I vol.) e di Fulvio Salimbeni (p. 53 del II vol.), di un periodo di grande interesse e poco studiato dalla storiografia italiana rispetto a quella slovena e croata, forse per retaggi irredentisti poco entusiasti di una sudditanza straniera, nel caso francese: quello cioè delle Province Illiriche, che hanno dato per brevissimo tempo unità politico-amministrativa e culturale a buona parte dell’area, non senza indurre notevoli conseguenze sociali e culturali, oltre che la maturazione delle consapevolezze nazionali. Inoltre, trattando della dissidenza religiosa in Istria, che nel Cinquecento ha interessato i territori veneti in stretto rapporto con quelli asburgici travalicando i confini politico-amministrativi di allora e che viene indicata come un elemento di diversità locale, viene analizzata solo quella riguardante la parte veneta, che appare quasi un fenomeno a sé, senza il rapporto con la più vasta area a nord in vario modo comunicante, studiata proprio per il dissenso religioso da recenti ricerche che riguardano Trieste, il Goriziano, la Carniola, la Carinzia, la Stiria e i loro collegamenti con l’Istria veneta, messi in luce specialmente da Silvano Cavazza. Inoltre, pur nelle considerazioni sull’internazionalizzazione nell’Alto Adriatico (p. 812 del II vol.) e sugli stati membri dell’Unione europea costituenti il retroterra dell’Euroregione (pp. 1012 ss. del II vol.), del tutto assente, in prospettiva di uno sviluppo nelle comunicazioni dell’area altoadriatica, rimane l’Ungheria, che si è affacciata più volte all’Adriatico nella sua storia ed ha avuto un particolare legame con Fiume, in fase di recupero oggi.
Infine un aspetto che mi sembra decisamente carente nella prospettiva di un’euroregione che viene riferita al mare che ne bagna i territori, seppur accennato nell’introduzione dei curatori sopra citata e nel saggio di Siboni tra le premesse storiche (pp. 219 ss. del I vol.), mi pare quello della portualità altoadriatica; elemento che non poco ha contribuito alla configurazione economica e sociale dell’area e che costituisce oggi una delle prospettive euroregionali di grande interesse per il futuro, con il nuovo porsi nelle linee di commercio che si stanno aprendo, dei porti di Trieste, Capodistria e Fiume, ora collocati in diversi Stati, e in particolare nella Regione Friuli Venezia Giulia le new entry di Porto Nogaro e Monfalcone (il ricordo di Aquileia tra le candidature della scelta austriaca nell’Alto Adriatico nel Settecento a pp. 389 ss.
Del I vol., al di là della preziosità storica sulle ipotesi progettuali dei colti del tempo, sottolinea l’antichissima vocazione dell’area al commercio marittimo, pur nel mutamento delle località portuali per le diverse esigenze nelle epoche che si sono succedute); aspetto, quello della portualità, di non poco conto che avrebbe potuto essere maggiormente considerato. Sulla portualità nell’Euroregione, con le sue molteplici e delicate implicazioni giuridiche economiche e finanziarie, avrebbe giovato forse l’intervento, con le sue competenze, di un vero e proprio gruppo di lavoro specifico come quello attivato all’università udinese, il cui contributo emerge in modo esplicito e diretto con ricerche specifiche della seconda parte del II volume; forse ricorrendo a studiosi e all’ateneo triestini, che appaiono coinvolti in misura minima nelle ricerche dei volumi, come si può vedere scorrendo i nomi degli autori dei saggi. Basterebbe pensare al porto franco triestino che a suo tempo ha fatto la fortuna della città e ha fortemente segnato l’area, di cui si legge quotidianamente da anni anche sugli organi di stampa locale tutto e il contrario di tutto quale possibile grande risorsa o imbarazzante palla al piede, ma sul quale niente appare nei due volumi, se non nelle scarne note storiche citate.
Gianfranco Hofer