di Egidio Ivetic – 11/09/2019 – Fonte: La rivista il Mulino
In un affollato cocktail party serale ai primi di maggio, a Budua in Montenegro, tra imprenditori, politici, amministratori, vari stakeholders e qualche professore universitario, si poteva cogliere la trasformazione civile e transnazionale in atto nell’Adriatico. Che non è più quello che ancora in molti immaginano: il mare confine con l’“altro”.
Sono ormai vent’anni che l’Ue incoraggia la collaborazione fra le regioni adriatiche tramite progetti Interreg transfrontalieri (la Cooperazione territoriale europea), con da una parte l’Italia e dall’altra la Slovenia e la Croazia, a cui poi si sono aggiunte l’Albania, il Montenegro e la Bosnia ed Erzegovina. Progetti che hanno portato finanziamenti ed esperienze di lavoro tra vari enti pubblici e privati. È seguita, dal 2004, la procedura di costituzione della regione europea Adriatico. L’iniziativa di per sé era scaturita dal Consiglio d’Europa, dal Congresso delle autorità locali e regionali, su richiesta della contea croata dell’Istria e del Molise. L’euro-regione, che è un soggetto di diritto internazionale, è nata ufficialmente il 30 giugno 2006, con un’assemblea tenutasi a Pola. Ne hanno fatto parte 23 unità amministrative tra province, regioni e municipalità d’Italia, di Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Albania che si affacciano sull’Adriatico; un bacino che raggiunge 22 milioni di abitanti, pari a uno Stato europeo di media grandezza.
Continua su La rivista il Mulino