Petra Di Laghi, nata a Genova nel 1992, è laureata in Scienze storiche a Torino. È specializzata in comunicazione storica e ha approfondito la materia della formazione, gestione e conservazione di archivi digitali in ambito pubblico e privato. Sulla sua tesi magistrale “L’esodo giuliano-dalmata tra emergenza e accoglienza: il caso di Genova (1945-1955)” ha pubblicato vari articoli e tenuto conferenze. Questo volume è il frutto degli ulteriori approfondimenti e ampliamenti delle sue ricerche sull’argomento. Oltre alla padronanza della bibliografia più aggiornata in merito alla complessa vicenda del confine orientale, l’autrice ha effettuato ricerche archivistiche a Genova e presso l’Archivio Museo Storico di Fiume al quartiere giuliano-dalmata di Roma.
La prima parte del volume è dedicata alle dinamiche che condussero all’allontanamento del 90% della comunità italiana dell’Adriatico orientale: in tal senso particolare rilievo è dato allo “spaesamento”, elemento determinante nella scelta dell’esodo assieme al clima di terrore diffuso dall’apparato poliziesco del nascente regime comunista jugoslavo. È inoltre ben contestualizzato il traumatico impatto dell’attentato dinamitardo titoista di Vergarolla che, con il suo lascito di decine di morti e di feriti tra i civili, fu una componente in più nell’indirizzare la quasi totalità degli abitanti di Pola ad esercitare l’opzione per la cittadinanza italiana e quindi l’abbandono della propria città. Prima di addentrarsi nel suo case study, l’autrice delinea le dinamiche dell’esodo a seconda della località di provenienza e specifica la scelta compiuta da molti, di fronte allo squallore dei campi profughi ed alla devastata situazione dell’Italia del dopoguerra, di emigrare oltreoceano (Americhe, Sudafrica, Australia).
A dispetto di quanto si potrebbe pensare conoscendo la tradizione comunista genovese e l’ostracismo che altre piazze “rosse” dedicarono ai connazionali in fuga dal confine orientale, la Di Laghi riferisce di un contesto che non ha manifestato avversione nei confronti dei circa 6.350 esuli giunti nel capoluogo ligure (8.500 in tutta la regione, stando al censimento contenuto in Amedeo Colella, L’esodo dalle terre adriatiche. Rilevazioni statistiche). Costoro, fin dai primi arrivi, trovarono la prima accoglienza presso la stazione Principe a cura della Pontificia Commissione di Assistenza Auxilium e dell’Ente Comunale di Assistenza. La graduale sistemazione dei giuliano-dalmati a Genova avvenne non solo tramite il Centro Raccolta Profughi numero 72 della limitrofa Chiavari (ex colonia marittima fascista), ma anche attraverso la forma originale degli alloggi collettivi sparsi nell’area cittadina, sfruttando piccoli appartamenti e palestre. Solamente nel 1955 verranno edificate le prime case dell’Opera per i Profughi Giuliani e Dalmati all’interno delle quali troveranno una collocazione anche i nonni materni dell’autrice, i quali hanno conservato nell’ambito della famiglia la memoria delle proprie radici e contribuito a stimolare l’attenzione e la passione storica della nipote verso queste pagine di storia nazionale troppo a lunghe rimaste in secondo piano.
Il volume contiene una prefazione del Prof. Giuseppe de Vergottini (presidente di Coordinamento Adriatico APS) e l’introduzione del Prof. Silvio Ferrari (Università degli Studi di Milano).
Il lavoro della giovane ricercatrice genovese si contestualizza in un filone che ultimamente ha fornito interessanti contributi riguardo lo studio dell’arrivo e della sistemazione dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati che avevano abbandonato le terre in cui vivevano radicati da secoli. Ulteriore conferma è data dal fatto che ha scritto pure la prefazione al volume di Matteo Marchini, Esuli in terra apuana. L’esodo giuliano-dalmata e i Centri Raccolta Profughi, Eclettica, Massa 2019, 108 pp.
Lorenzo Salimbeni