Things are much better when we do them together
We can help each other if we work together
Everything’s better when we do them all as one
There comes a time we all understand
When we could use a helping hand
Così recitava una strofa della canzone Todos Juntos della popstar Shakira. Chissà se il successo del 2011 della colombiana sia stato ricordato al marito, Gerard Piqué, uno dei tanti catalani che nel
fine settimana hanno espresso la loro preferenza al “SI” riguardo al referendum indipendentista indetto dalla Generalitat Catalana per staccarsi da Madrid. Il governo catalano ha annunciato che il 90% di quanti hanno partecipato alla consultazione non autorizzata da Madrid ha scelto l’indipendenza. Secondo fonti del governo catalano, 2,26 milioni di persone – su oltre 5,3 milioni di elettori – hanno partecipato alla consultazione referendaria. 2,02 milioni hanno risposto ‘sì’ alla domanda: “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”.
176.000, invece, il totale di chi ha votato ‘no’. La percentuale di affluenza è stata certamente influenzata dalla chiusura preventiva di 319 seggi da parte della polizia nazionale.
Ora, per analizzare la vicenda catalana di cui si è parlato in questi giorni sarebbe necessario un più ampio excursus nella storia spagnola degli ultimi quarant’anni, dopo la svolta democratica con la proclamazione della monarchia, segnando la fine del regime franchista – con la morte qualche anno prima del dittatore. Forte della costituzione spagnola, approvata nel 1978, il premier spagnolo
Mariano Rajoy ha definito il voto una “messa in scena” della democrazia, sottolineandone il suo carattere illegale. “Non c’è stato un referendum per l’auto determinazione della Catalogna”, ha
dichiarato. Il ministro della giustizia spagnolo Rafael Català ha specificato che Madrid userà “tutta la forza della legge” per impedire che la Catalogna dichiari l’indipendenza, “anche se questo
significherà ricorrere all’articolo 155”, ovvero quello che consente di sospendere l’autonomia catalana.
Ecco. Nel quadro della costituzionalità spagnola, tenendo presente le varie anime che compongono la variegata realtà politica della Spagna, per certi versi quasi uno stato federale, la Catalogna non
ha la possibilità di indire unilateralmente un referendum, ma potrebbe solo con l’approvazione delle Cortes, cioè lo Stato centrale. In una parola: Madrid. “Nei prossimi giorni il mio governo invierà i
risultati del voto di oggi al Parlamento catalano, dove risiede la sovranità della nostra gente, in modo che possa agire secondo quanto previsto dalla legge sul referendum”, ha aggiunto il presidente del governo catalano Carles Puigdemont.
Detto questo, non si vuole tacere dinanzi alla mancata preparazione e all’inattesa incapacità del governo di Madrid di sapere affrontare la crisi statuale con i giusti strumenti – da tempo il governo
autonomo catalano aveva paventato la volontà di ricorrere all’arma referendaria, ma per questo invito alla lettura di tanti e validi articoli comparsi in questi giorni anche tra la stampa italiana.
Unione Europea, se ci sei “batti un colpo”
Puidgemont, in un’intervista televisiva, ha sottolineato come l’Unione Europea “non può continuare a guardare dall’altra parte”. Da Bruxelles, dopo un lungo – e imbarazzante – silenzio delle istituzioni europee, il presidente della Commissione Ue Juncker ha definito il referendum “illegale” e ha invitato “tutti gli attori rilevanti a muoversi rapidamente dallo scontro verso il dialogo”, prima di specificare che “la Commissione non avrà alcun ruolo nel favorire il dialogo”. Una risposta parziale, dettata certamente dalla cautela, per non gettare ulteriore benzina sul fuoco di una situazione già tesa, che non accenna a calare nei toni e minacce. Alle domande poste riguardo all’uso della violenza delle forze di polizia nazionale il portavoce del presidente, Margaritis Schinas, ha ripetuto la dichiarazione generica che “la violenza non può mai essere uno strumento in politica”. Cautela è la parola d’ordine in tutta Europa.
E oltreconfine?
Anche i media dei paesi balcanici hanno seguito i delicati passaggi che hanno portato all’improprio referendum, dimostrando peraltro come la questione “indipendenza” sia un tema ancora piuttosto delicato, soprattutto in Serbia e Kosovo. A Belgrado, la posizione è stata chiaramente espressa dal ministro degli Esteri Da?i?. A fronte del contenzioso ancora aperto sul Kosovo, la posizione non poteva essere che di chiaro appoggio al governo centrale di Madrid, sostenendo l’integrità dello stato spagnolo a fronte di un referendum indetto senza alcuna validità costituzionale. Ha rincarato la dose il presidente serbo Aleksandar Vu?i?, che ha risposto alle domande della stampa con un chiaro monito verso l’Unione Europea: «Come mai nel caso della Catalogna si ritiene illegale il referendum sull’indipendenza, mentre nel caso del Kosovo è stata accettata come legale la separazione, persino senza referendum, e 22 paesi dell’Ue l’hanno riconosciuta violando il diritto europeo?».
Per evitare il concretizzarsi di un “Kosovo bis” con la creazione di uno stato indipendente catalano – con peraltro l’effetto domino che ne conseguirebbe in Spagna e in Europa – la strada della diplomazia resta l’unica praticabile.
In attesa del discorso del re di questa sera, si spera in una normalizzazione delle relazioni tra le parti, in Spagna come nel resto d’Europa. Per poter veramente vivere Todos Juntos.
Gianluca Cesana, 3 ottobre 2017