Porto di Trieste, 20 anni persi tra sprechi e commissari

Scritto da Silvio Maranzana, «Il Piccolo», 29/11/10
È lastricata di sprechi, commissariamenti, ricorsi e licenziamenti la tormentata storia dell’Autorità portuale che presumibilmente nei prossimi giorni vivrà un’altra fase cruciale con il passaggio del testimone da Claudio Boniciolli a Marina Monassi, un “cavallo di ritorno” per usare una frase che potrebbe includere sia la passione di Monassi per l’equitazione che, soprattutto il fatto che tra il 2004 e il 2006 è già stata prima presidente e poi commissario al vertice della Torre del Lloyd. Per insediare Monassi al vertice e dribblare l’opposizione dell’allora presidente della Regione Riccardo Illy, nel 2004 il governo di centrodestra emanò un apposito decreto legge.
Per rifarsi agli ultimi vent’anni, è già curioso ricordare come il 24 marzo 1990 venga nominato al vertice dell’allora Ente porto, forse perché lo scalo era già ammalato, nientemeno un anatomopatologo: il professor Paolo Fusaroli. Certo, in quel momento non è ancora in vigore la legge 84 del 1994 che prevede per il vertice dell’Authority «esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale». Due anni e mezzo più tardi Fusaroli viene “declassato” a commissario e Sergio Santoro è nominato commissario aggiunto. Il decreto di commissariamento fa decadere presidente, consiglieri di amministrazione e comitato direttivo. Luigi Rovelli (oggi presidente di Trieste porto servizi, la multiutility del porto) che era stato nominato direttore generale il 15 gennaio 1985 sotto la presidenza di Michele Zanetti viene licenziato in tronco dal commissario Fusaroli con effetto dal 6 novembre 1992. Con sentenza del giudice del lavoro del 26 settembre 1997, il licenziamento viene ritenuto ingiustificato e l’Ente porto deve sborsare a Rovelli un sacco di soldi: 12 mensilità per il mancato preavviso, più l’indennità supplementare nella misura massima prevista e cioé 27 mensilità, più interessi e rivalutazione e la metà delle spese di giudizio: fa la bellezza di un miliardo e 160 milioni di allora, cioé del 1997. Il 30 marzo 1993 viene nominato un altro commissario: Achille Vinci Giacchi e Carmelo Lovecchio è commissario aggiunto. È Vinci Giacchi che decide l’assunzione di Marina Monassi (di cui a parte illustriamo la parabola tutta particolare) che il 3 gennaio 1994 entra come direttore generale. Altro anno, altro commissario: il 31 marzo 1994 viene nominato Giuseppe Romanò.
Il primo presidente dell’Autorità portuale è Michele Lacalamita nominato il 6 giugno 1995. Alla scadenza del quadrienno sale sul primo scranno della Torre del Lloyd Maurizio Maresca che però prima di essere presidente, dall’ottobre 1999, trascorre tre mesi da commissario. Il 13 novembre 1999 il Comitato portuale delibera la cessazione del rapporto di lavoro del segretario generale Umberto Picciafuochi. Scatta subito il ricorso di Picciafuochi e il Giudice del lavoro, il 29 novembre 2001 accertà l’illegittimità del recesso e condanna l’Autorità portuale a pagare a Picciafuochi l’indennità supplementare di 22 mensilità, a regolarizare la sua posizione contributiva, a 15 milioni per danno d’immagine e altrettanti per danno biologico. L’esborso complessivo per l’Authority è di 420 mila euro. Nel frattempo, il 14 gennaio 2000 il Comitato portuale nomina Antonella Caroli segretario generale non con rapporto di lavoro subordinato, ma con un contratto di diritto privato e retribuzione lorda annua di 245 milioni. Quando cessa Maresca, nessun nuovo presidente, ma un altro commissario: Vincenzo Mucci finché il 15 luglio 2004 non diventa presidente Marina Monassi.