Picciola, un patriota istriano ritrovato

«Nell’anno in cui si ricordano il centesimo anniversario del Trattato di Roma, che sancì la fine dello Stato libero di Fiume, post-impresa dannunziana, e l’annessione della città all’Italia, e il 70° del ritorno di Trieste italiana (26 ottobre 1954), qui al Senato siamo riusciti a organizzare, grazie soprattutto all’impegno del senatore Roberto Menia (nella foto), senatore di Fratelli d’Italia, vicepresidente della III Commissione Affari esteri e Difesa del Senato, una doverosa commemorazione del patriota istriano Giuseppe Picciola (1859-1912): originale figura di poeta, saggista, docente e irredentista sempre democratico».

Così lo storico Marino Micich, direttore dell’Archivio museo storico di Fiume al quartiere giuliano-dalmata di Roma, ha inaugurato, presso la Sala caduti di Nassirya, l’incontro intitolato Giuseppe Picciola. Un patriota istriano ritrovato. «Picciola era nato nel 1859 a Parenzo, in Istria, da famiglia che aveva avuto, tra le sue file, alcuni combattenti nella Seconda guerra d’Indipendenza – ha precisato Micich – e fu esponente di rilievo dell’irredentismo istriano: un irredentismo fiero della sua italianità (che già nel 1870 aveva portato gli istriani a rifiutare di designare due deputati al Parlamento di Vienna), e in stretti rapporti anche con quello dalmata, nel solco di Giuseppe Mazzini, Camillo Benso conte di Cavour e Giuseppe Garibaldi».

Come molti altri della sua generazione, nati tutti in terre rimaste “irredente” dopo la Terza guerra d’Indipendenza, Giuseppe, negli anni del Liceo, inizia a impegnarsi per la causa dell’italianità, pubblicando vari scritti, collaborando con più riviste, soprattutto culturali, e fondando anche un’associazione patriottica: “La Giovane Trieste”. Nel 1878, a 19 anni, è primo firmatario di un appello a Giosuè Carducci, giunto in visita a Trieste; e s’unisce alla protesta dei giovani, renitenti all’arruolamento nell’esercito austro-ungarico data, specialmente, la prospettiva di partecipare all’occupazione della Bosnia-Erzegovina, liberatasi dal dominio turco ma assegnata all’Austria dal bismarckiano Congresso di Berlino. L’attivismo di Picciola non piace all’imperial-regio Governo: rimasto nel frattempo in Italia, accusato di renitenza alla leva, egli non ha altra scelta che restare al di qua del confine, e riuscirà a tornare a Trieste, grazie a un’amnistia, solo nel 1899.

Esule a Pisa, Picciola alla Normale si laurea in Letteratura italiana, e – ha ricordato Giorgio Baroni (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), docente di Letteratura italiana e di Sociologia della Letteratura – qui è stretto collaboratore di Carducci. In quegli anni difficili e confusi (nel 1882 l’Italia, in quel momento un po’ isolata sul piano internazionale, decide di stringere la Triplice Alleanza con la Germania e con l’Impero austro-ungarico, che, però, è il suo più diretto nemico), Picciola approfondisce i suoi studi. E in Dante Alighieri, autore del De Vulgari eloquentia e profeta dell’Unità nazionale (col quale tende anche a identificarsi psicologicamente, data la comune vicenda dell’esilio dalla propria patria), come altri patrioti di allora vede il principale simbolo della nostra unificazione culturale e politica. Intanto, a dicembre del 1882, a Trieste, senza alcuna vera protesta da parte italiana, è impiccato l’irredentista triestino Guglielmo Oberdan: condannato dalla giustizia asburgica avendo confessato le intenzioni di attentare – insieme all’altro irredentista istriano, Donato Ragosa – alla vita dell’imperatore Francesco Giuseppe, in una sua visita a Trieste (Picciola conosce ambedue i patrioti).

Maria Ballarin, consigliere dell’Associazione nazionale dalmata, insegnante e storica, di genitori nati nell’isola di Lussino, curatrice del libro Giuseppe Picciòla, scritti danteschi (pubblicato nella collana Biblioteca della Rivista di letteratura italiana di Fabrizio Serra Editore), ha presentato al pubblico due volumi di Picciola, una silloge di poesie e una raccolta di scritti danteschi, pubblicati ultimamente da Leo Olschki editore. Picciola, in quegli ultimi anni dell’Ottocento, insegna nelle scuole di Pesaro, dove diviene preside del Liceo-ginnasio, poi è preside di quello di Ancona; nel 1909, infine, del Liceo “Galileo Galilei” di Firenze. Scrive su più giornali (tra cui anche L’Opinione, fortemente liberale e anticlericale, che uscirà sino al 1899-1900).

Negli ultimi anni, ha ricordato anche Davide Colombo (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, diplomatico di carriera), Picciola si dedica pure a raccogliere poesie di autori italiani d’oltreconfine (trentini, friulani, istriani, dalmati); una sua antologia di questi poeti uscirà con successo nel 1912 e avrà ampia diffusione durante la Grande guerra, in cui i due figli di Giuseppe cadranno, combattendo sul Carso. Ma a quell’epoca, egli sarà già scomparso (nel 1912, a soli 53 anni, con sepoltura a Umago, non lontano da Parenzo).

«Viviamo in un’epoca di dimenticanza nazionale, e ricordare questo patriota – ha sottolineato Roberto Menia – significa ricomporre e riconsegnare alla storia nazionale una testimonianza dell’amore dell’Istria per l’Italia. E in questa conferenza ho voluto ricordare, con l’occasione, anche coloro che furono gli ultimi due senatori di Fiume, Icilio Bacci e Riccardo Gigante, ambedue trucidati dai titini nel 1945».

Fabrizio Federici
Fonte: l’Opinione delle Libertà – 28/10/2024