Scritto da Claudio Ernè, «Il Piccolo», 04/01/11
C’è chi ama fotografare il paesaggio e chi punta l’obiettivo cercando simmetrie e assonanze nell’architettura degli edifici, delle vie, degli spazi aperti. Walter Macovaz, già insegnante all’Istituto nautico, ha invece fermato sul sensore della sua macchina digitale, i “segni” che caratterizzano un territorio, gli atomi che hanno formato e dato anima a questo o quell’elemento. Ne è nato un libro esemplare – Segni d’Istria – che dovrebbe essere adottato come testo nelle scuole di fotografia. Insegna a guardare al di là del già visto, a cercare dettagli e tenerezze che di solito sfuggono all’occhio di molti fotografi, spesso allevati in “batteria” ad una estetica normalizzata a quanto propongono i vari concorsi a premi. Di questo libro la casa editrice “Battello” ne ha stampate per il “Circolo di cultura istro – veneta”, un miglio di copie all’interno della cui quarta di copertina, l’autore ha inserito anche un Dvd con tutte le immagini realizzate assieme a Chiara Florio e Vanja Macovaz.
Il breve testo introduttivo è di Livio Dorigo, presidente dello stesso circolo. Ecco le prime righe. «Un’Istria diversa. Non quella gloriosa dell’Arena di Pola o della Basilica Eufrasiana di Parenzo, e neppure quella minore della costa di Orsera o di Fianona o del retroterra di Grisignana o Visinada. Quella che conosciamo attraverso fotografie celebri e cartoline. Questa – di Walter Macovaz – è un’Istria dietro le quinte, quasi sconosciuta. Un’Istria particolare, parcellizzata…». In effetti l’autore e i suoi collaboratori hanno scelto una scala di ingrandimento maggiore di quella usata dalla maggioranza dei fotografi.
Sono entrati così- all’interno dei singoli soggetti, applicando la regola aurea di Bob Capa. «Se la foto non è buona significa che non ti sei avvicinato abbastanza al soggetto». È una regola ben conosciuta ma raramente applicata. Chiara Florio, Vanja e Walter Macovaz ne hanno fatto invece il motivo conduttore di questo libro dove i grappoli di uva si affiancano ai segni lasciati dalla zampe degli uccelli su terreno gelato. Le simmetrie dei campi appena arati, si trasformano in motivi geometrici, fuori dal tempo e da ogni identificazione geografica. Olivi, giunchi, ciuffi d’erba, finestre, porte, greggi, galline, muri a secco, incisioni rupesti, gabbiani, cime, saline, pontili, meridiane, zucche, fari, chiglie di barche rovesciate, radici, stelle marine, mattoni, tracce di pneumatici nella terra rossa, cieli che attendono il tramonto, vecchie lampade a olio, botti, grondaie, terrazzini barocchi, buoi, reti. Si potrebbe continuare a lungo lasciando correre lo sguardo tra i colori sommessi di queste fotografie che compongono un grande mosaico razionale e sentimentale. Una macchina del tempo – scrive Livio Dorigo- capace di liberare una memoria fantastica che ti fa vedere l’Istria come avresti voluto che fosse e come sogni si riveli in futuro. È un’Istria che nessuno, in alcun modo potrà sottrarti, perché è solo tua». Il grande mosaico, attraverso le cento e più pagine del volume, al contrario mette a disposizione di tutti questa realtà vista dagli autori, rappresentata con la macchina fotografica e offerta alla visione. Segni d’Istria, memorie del passato, testimonianze del presente.