«Ogni volta che l’Italia chiamasse»

Nel dicembre 2018, con il patrocinio della Marina militare, l’Istituto Luce ha distribuito la pellicola diretta da Leonardo Tiberi, “Il destino degli uomini”, dove un intenso Andrea Sartoretti interpreta la figura del patriota Luigi Rizzo. «Le grandi offensive e le centinaia di migliaia di morti della guerra di trincea», durante il primo conflitto mondiale, hanno suscitato, spesso pure agli occhi della analisi storiografica successiva, molto più interesse delle contemporanee azioni navali (Isnenghi – Rochat 2008, p. 219). Già Paolo Thaon di Revel rilevava come «il popolo italiano» fosse del resto più commosso e sensibile verso i «ricordi delle invasioni terrestri», piuttosto che nei confronti di quella attività marittima che aveva contribuito nei fatti a «esaurire completamente» i traffici del nemico (Po 1936, p. 242). Se la vicenda della Marina durante tale guerra rimane di frequente confinata in poche righe, anche nella manualistica, va tuttavia sottolineato come l’operato britannico nel Mare del Nord e quello italiano, soprattutto in Adriatico, abbiano realizzato in modo essenziale il calo degli approvvigionamenti bellici e di prima necessità, fondamentali allo sforzo militare e civile degli imperi centrali. Con sguardo sicuro al contesto bellico-navale dischiuso in Adriatico, l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, nel proseguire delle ostilità, dispose di risparmiare i più consistenti navigli da battaglia, scommettendo invece su quelle imbarcazioni utili a una ‘guerriglia navale’ da combattere in uno spazio contenuto, come lo stesso braccio Adriatico, consistente in litorali differenti, ossia quelli della penisola italiana (di norma bassi e sabbiosi) e le coste alto-adriatiche e orientali (rocciose, ricche di rade e insenature anche profonde). Eccellevano nel contributo ‘leggero’ a tale guerriglia, gli «scugnizzi» del mare (Fraccaroli 1917, pp. 140-141), ovvero gli idrovolanti, i sommergibili e segnatamente i MAS. La struttura di base dei cosiddetti Motoscafi Armati Siluranti era in sostanza costituita da un motoscafo di venti/trenta tonnellate di dislocamento, con una decina di uomini di equipaggio e un armamento costituito generalmente da due siluri, una mitragliatrice, oppure un cannoncino e alcune bombe di profondità. Il natante montava motori entro-fuoribordo di concezione automobilistica, costituiti a iniezione diretta, ovviando per tale via ai problemi di carburazione dovuti alla scarsa raffinazione del benzene. I primi modelli furono prodotti dalle officine Fraschini e successivamente modificati dal cantiere Orlandi di Livorno.

Le premesse di Luigi Rizzo partono da Milazzo, dove nacque nell’ottobre del 1887. Lo zio paterno, Giovanni, dopo avere combattuto con Giuseppe Garibaldi, si era arruolato nella Regia Marina, al servizio della quale aveva perduto la vita nella battaglia di Lissa (20 luglio 1866). Luigi – nipote, figlio e fratello di marinai – si avviò subito alla vita di mare, imbarcandosi a otto anni sulla nave paterna e dimostrando in più di una difficile occorrenza di possedere un’ottima predisposizione talasside. Nel 1905, non ancora diciottenne, ottenne la licenza d’onore all’Istituto Nautico di Messina. Poco prima Luigi partecipò a una manifestazione anti-austriaca nella città sullo Stretto, venendo detenuto nel locale carcere per il seguito di una notte, poiché responsabile di avere scagliato dei sassi contro lo stemma del consolato austro-ungarico. Dopo non poche esperienze a bordo di differenti velieri mercantili, nei primi mesi del 1912, Rizzo raggiunse due traguardi molto desiderati: capitano mercantile di lungo corso e quindi il grado di sottotenente di complemento della riserva navale nella Marina militare. Luigi nello stesso anno meritò egualmente una medaglia per il proprio eroismo, avendo salvato da sicuro affondamento un piroscafo, mentre si trovava al comando di una pilotina sul Mar Nero. Nell’estate del 1914, Rizzo rientrò in Italia, richiamato alle armi alla Maddalena e poi destinato a Venezia. Sin dallo scoppio del conflitto mondiale si distinse in prima persona: anzitutto nella difesa marittima e idrovolante di Grado e dell’Alto Adriatico, ottenendo una medaglia d’argento al valore militare, e poi, trasferito nella nuova arma dei MAS, per la partecipazione ad audaci missioni di guerra, che gli valsero due medaglie d’oro al valore militare, tre medaglie d’argento e la promozione a tenente di vascello per meriti di guerra. Durante il soggiorno a Grado, Rizzo aveva conosciuto Giuseppina, figlia del medico istriano Angelo Marinaz. La fanciulla si era resa protagonista, insieme con la sorella, di una sortita sul campanile cittadino, dove aveva sospeso il tricolore italiano, in sfida alla guarnigione austriaca che in quei giorni occupava la cittadina marittima. Come in un romanzo, Luigi e Giuseppina si fidanzarono praticamente all’istante, fissando il matrimonio per il giorno 28 ottobre 1917, cerimonia che non mancò di svolgersi sotto i bombardamenti aerei degli imperiali. Solo alla fine di dicembre del ’17 i due sposi avrebbero finalmente avuto qualche giorno soltanto per loro.  

Tra le iniziali imprese di Rizzo vi fu l’azione con la quale gli fu conferita la prima medaglia d’oro al valore militare, ossia l’affondamento della corazzata ‘Wien’ nelle acque del porto di Trieste, a mezzo di siluri lanciati dal MAS da lui comandato, sul finire del 1917. Nel febbraio 1918, Rizzo fu tra i protagonisti della dannunziana ‘Beffa di Buccari’, un’azione che, pure non ottenendo risultati concreti, risollevò lo spirito delle forze armate italiane dopo la sconfitta di Caporetto. Con l’operazione che si svolse nelle acque prospicenti l’isola di Premuda, in Dalmazia, Luigi venne insignito della seconda medaglia d’oro al valore militare. La notte del 10 giugno, il MAS 15, in agguato come ogni nottata nelle acque dell’Adriatico, scorse la flotta austriaca dirigersi verso lo stretto di Otranto, con l’obiettivo di forzare il blocco dell’Intesa. Condotto il mezzo in silenziosa distanza dalla congerie dei navigli nemici, Rizzo diede disposizione di sganciare i siluri che aveva già fatto porre in assetto. Nella concitazione dell’azione e del successivo disimpegno, Luigi Rizzo non colse il tipo e il nome della nave che aveva affondato – era la ‘Szent István’, una corazzata monocalibro varata nel 1914 che dislocava 20.000 tonnellate. La perdita della corazzata rappresentò un colpo immenso per gli austro-ungheresi, che in sostanza da quel momento sospesero ogni azione sul mare. In onore di questa vittoria, la Marina militare italiana celebra la sua festa il 10 giugno.

Finita la guerra, nel corso dell’impresa di Fiume, cui partecipava in veste di volontario al comando della flotta del Quarnaro, Rizzo sostenne posizioni conciliatorie e favorevoli al compromesso con l’autorità italiana, mettendosi così in dissenso con gli esponenti più intransigenti della reggenza, tanto che nel gennaio del 1920, Luigi lasciò definitivamente la città. Negli anni successivi, l’«Affondatore» si dedicò al settore cooperativo, in ambito mercantile, e alla attività imprenditoriale di imbarco merci. L’impegno di Rizzo in favore della gente di mare si estese anche alla costituzione di casse previdenziali marittime per malattie e infortuni e alla riorganizzazione del lavoro portuale di Genova. Nell’autunno del 1920, Luigi Rizzo prese pubblicamente posizione in difesa dell’ammiraglio Giovanni Sechi, attaccato dai nazionalisti in relazione alle sue obiezioni sulla possibile organizzazione strategica dell’area dalmata. Secondo Rizzo, questa regione era rischiosamente esposta a un imprevidente elemento tattico, poiché nel caso di un futuro attacco all’Italia «gli invasori verranno a sciami, […] per le vie dell’aria e non si fermeranno alla costa. Non attaccheranno le povere città adriatiche del mare, ma le città più popolose dell’interno, i centri industriali […]. Saranno migliaia di bombe che pioveranno dal cielo» (Andriola 2000, p. 181). Un vaticinio pericolosamente inascoltato, se si riflette sui luttuosi bombardamenti di Zara del 1943/’44.  

Luigi Rizzo nel 1929 fu chiamato alla presidenza della società di navigazione Eola di Messina ed elevato nel 1935 al titolo di conte di Grado e più tardi anche al predicato di Premuda. Malgrado le crescenti promozioni nei gradi della Marina e i titoli per meriti di guerra, Rizzo fu oggetto della sorveglianza della polizia politica, in quanto amico di socialisti e non omogeneo al fascismo. In una sua pubblicazione del 1927, ribadiva lui stesso: «un fervido augurio parte dal mio cuore: che superati alfine contrasti e dissidi nocivi, un sentimento di fraterna solidarietà ci avvinca sempre […] per ritrovarci […] ogni volta che l’Italia chiamasse». Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, Rizzo rientrò dunque in servizio attivo, scelto per occuparsi del controllo del Canale di Sicilia. Presto dispensato da tale incombenza, per effetto dei suoi contrasti sulla organizzazione difensiva, venne quindi nominato ammiraglio della riserva navale e delegato alla presidenza del Lloyd triestino e dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico. Il 9 settembre 1943, Rizzo ordinò di sabotare a Trieste due transatlantici e un piroscafo per evitarne la cattura da parte dei tedeschi. Quando giunse notizia in città che suo figlio Giorgio, sottotenente di vascello al comando di un MAS, era rimasto ucciso a Piombino sotto un bombardamento tedesco, l’ammiraglio si scontrò con le autorità occupanti che gli negavano il permesso di recarsi all’Elba. Partì egualmente e recuperò il corpo del figlio, ma al ritorno i rapporti con i tedeschi che governavano il Litorale adriatico andarono sempre più ulteriormente sfilacciandosi, anche per la puntigliosa difesa degli interessi economici degli operai dei cantieri triestini condotta dal loro presidente.

Il combattente della Marina italiana più decorato di tutti i tempi fu arrestato nell’aprile 1944 e tradotto nel carcere di Klagenfurt in Austria, dove la polizia nazista gli contestò di avere ordinato il sabotaggio delle navi ancorate a Trieste e l’intralcio dei lavori nei Cantieri Riuniti. Venne poi trasferito in soggiorno obbligato nella cittadina montana di Hirschegg, in prossimità del confine bavarese, in un campo d’internamento che accoglieva personaggi di spicco di vari Paesi. La liberazione giunse all’inizio di maggio del 1945 a opera di forze francesi. Sottoposto a commissioni inquirenti, civili e militari, nel dopoguerra, fu riconosciuto a Luigi Rizzo di non avere ricavato profitti e distinzioni illecite durante il ventennio fascista, essendosi condotto conformemente alle leggi dell’onore. Si spense nel 1951, due mesi dopo un’operazione per tumore polmonare. L’operazione fu effettuata da Raffaele Paolucci, vero amico dell’«Affondatore», protagonista durante il primo conflitto mondiale del siluramento della ‘Viribus Unitis’ nel porto di Pola. Soltanto quindici anni dopo la morte dell’ammiraglio fu riconosciuta a Giuseppina Rizzo la pensione del marito, su istanza di Luigi Durand de la Penne.

Giacomo Fallegro di Reinasco