Scritto da Elisabetta d’Erme, «Il Piccolo», 20/09/11
Eric Gobetti, nato a Torino nel 1973, è un giovane storico, dottore di ricerca presso la Scuola Superiore di Studi Storici della repubblica di San Marino. Il suo ambito di studio è focalizzato sui in particolare nazionalismi jugoslavi nel ‘900. È’ autore di due monografie sulla storia dei rapporti fra la Jugoslavia e l’Italia fascista. Nel 2001 ha pubblicato Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall’Italia fascista (L’Ancora del Mediterraneo), su Ante Pavelic, tratto dalla sua tesi di laurea, e nel 2007 L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia 1941 -1944 (Carocci) in cui documenta la durezza dell’occupazione italiana e l’efficacia degli accordi dei comandi italiani con i cetnici. Ha fra l’altro anche curato la raccolta di saggi: La lunga liberazione. 1943-45 (Franco Angeli 2007). Per Miraggi Edizioni di Torino esce ora il suo diario di vagabondaggi nei Balcani Nema problema! Jugoslavie. Dieci anni di viaggi.
In treno, in macchina, in aereo, in autobus, in nave, in autostop, a piedi. Dieci anni di viaggi, dal 2000 al 2010. Dieci anni dormendo in alberghi, pensioni, affittacamere, campeggi, appartamenti metropolitani e case contadine, talvolta per terra, sul pavimento, in strada, sul cemento, sulla sabbia, nei prati. Dieci anni di passione, di studio, di incontri e di scontri, in un labirinto di popoli, di confini, di memorie divise. Uno sguardo non convenzionale sulle “Jugoslavie”, frammenti di paesi nati sulle macerie di quella che fu la Jugoslavia di Tito, spazzata via dalla storia e dalla guerra. Nema Problema! Jugoslavie. Dieci anni di viaggi, i diari nei Balcani del giovane storico torinese Eric Gobetti, pubblicati dalla casa editrice Miraggi (pp. 157 euro 15) saranno presentati oggi alle ore 18.00 alla libreria Knulp alla presenza dell’autore, del professore di storia contemporanea dell’Università di Fiume Vanni D’Alessio, e del giornalista e scrittore Giacomo Scotti.
Mentre domani 21 settembre è in programma una presentazione a Fiume/Rijeka a Palazzo Modello alle ore 18.30. Nema problema! è un testo difficile da catalogare, qualcosa tra il diario intimo e il reportage sociopolitico. Forse piuttosto «è un invito, ludico, commovente, rapsodico e picaresco, a incontrare l’altro, a incontrare l’altrove» o una «flânerie capace di lentezze oraziane e astuzie chapliniane» come scrivono rispettivamente nelle loro introduzioni il regista Daniele Gaglianone e lo scrittore Luca Rastello. Eric Gobetti è uno storico e l’aver studiato il serbo-croato gli ha permesso di affrontare il non facile campo della storiografia jugoslava. Un campo minato prima dal trionfalismo patriottico del dopoguerra e poi – dopo il 1990 – dal revisionismo che avrebbe avallato nuovi nazionalismi e pulizie etniche. I diari di Eric Gobetti documentano la sua attività di storico dell’occupazione italiana della Jugoslavia croata, nel tentativo di sfatare il cosiddetto mito degli “italiani-brava-gente” entrato a far parte dell’immaginario collettivo sulla partecipazione italiana alla Seconda guerra mondiale. I suoi viaggi di studio e di lavoro – da solo o in compagnia di amici o fidanzate – sono cadenzati dalle ricerche negli archivi di Belgrado, Zagabria, Podgorica, Cattaro, ma anche dal suo peregrinare tra gli scenari delle recenti guerre balcaniche: Mostar, Sarajevo, Vukovar, Srebrenica. Per il giovane studioso tutto inizia in una primavera del 2000 con un primo soggiorno a Belgrado e la decisione di dedicare la propria vita «a insegnare la storia della Jugoslavia del Novecento. I miei temi privilegiati sono stati le guerre, – come scrive Gobetti – con le loro tremende carneficine: la seconda guerra mondiale e le guerre degli anni Novanta. Volevo capire, volevo terribilmente capire cosa c’era dietro quell’uccidersi “l’un l’altro” che tanto superficialmente descrivevano gli osservatori occidentali.»
Dopo dieci anni di assidue frequentazioni dei paesi della ex Jugoslavia, di incontri, amicizie, ma anche problemi, Gobetti resta con «l’immagine di popoli fratelli» e l’irrisolto quesito come sia possibile «uccidere un fratello», perché per farlo «non basta una pallottola: ci vuole una rabbia speciale, una violenza fuori del comune». Lo storico vuole capire, domanda, non si accontenta delle risposte ideologiche, di orribili banalità frutto di decenni d’indottrinamento facinoroso, si mette in cammino, ricerca e ascolta testimoni, ma a volte – di fronte all’ostinazione – getta la spugna: che credano ciò che vogliono, anche «che la Serbia ha vinto da sola la Grande guerra». Accanto allo studioso c’è però l’uomo che si lascia affascinare dalla strana dimensione del tempo di questi luoghi, dalla loro bellezza, dall’ospitalità antica degli slavi del sud, dal mare e dalle spiagge. Forse, come in un film di Emir Kusturica, la filosofia dei Balcani è percorsa da una vena di follia, ed è questo in fondo che attrae l’autore di questi diari così personali, che rientrano in una consolidata tradizione che va dai viaggiatori francesi di fine ‘700 ai britannici vittoriani fino a Rebecca West.