venerdì 09 ottobre 2009
Scorrevo giorni fa alcune note di viaggio su una mia trasferta in Liguria effettuata in occasione di una mostra sugli antichi velieri allestita nei magazzini del cotone nell’area del Porto Antico di Genova. Una mostra interessante riguardante la grande avventura sui mari della Serenissima Repubblica Marinara genovese, la “Superba”, antagonista nel corso dei secoli di quella veneziana di San Marco.
Esaurita la visita alla mostra mi ero addentrato nei vicoli del Porto Antico e, oltrepassata la monumentale Porta Siberia, mi ero trovato per caso nei pressi di un’antica chiesa in via del Molo ed avevo notato sul fianco sinistro dell’edificio una lapide murata con bassorilievo raffigurante il Leone di San Marco. Sotto l’emblema marciano una iscrizione latina spiegava la presenza di quell’ emblema veneziano nell’area portuale di Genova: «Iste lapis in quo est figura sancti Marci delatus fuit a Civitate Polae capta a nostris MCCCLXXX die XIIII Januarii» («Questa lapide nella quale è raffigurato il simbolo di San Marco fu trasferita dalla città di Pola presa dai nostri il giorno 14 gennaio 1380»). Incuriosito, ero entrato nel tempio alla ricerca di ulteriori notizie su quell’avvenimento storico che accomunava l’Istria alla Liguria.
Dalla scarsa documentazione esistente in loco e da ulteriori ricerche ho potuto apprendere che quel Leone marciano era originariamente collocato sulla Porta Marina di Pola e venne sottratto dalle milizie genovesi comandate dal capitano Gaspare Spinola che nella seconda metà del milletrecento misero a ferro e fuoco tutte le città costiere della penisola istriana.
I genovesi infatti erano penetrati con la loro flotta nell’alto Adriatico con l’intento di colpire al cuore la rivale Venezia. Nel 1379 la flotta genovese, composta da 47 galere, al comando dell’ammiraglio Pietro Doria, aveva raggiunto la Laguna. Una ardita e tempestiva manovra della flotta veneziana, comandata dall’ammiraglio Vettor Pisani, accorso dall’Oriente, intrappolò gli assalitori che furono stretti a loro volta d’assedio.
Una seconda flotta venne prontamente inviata da Genova agli ordini del Comandante Matteo Baruffo, che invano tentò di rompere il blocco navale. Non potendo ingaggiare battaglia in mare aperto la flotta si diede a scorrerie nel golfo col proposito di aggredire le città costiere dell’Istria fedeli a Venezia (tra cui Capodistria), appoggiata dalle truppe del Patriarca di Aquileia. Nell’ambito di queste operazioni piratesche si svolse nel gennaio del 1380 l’aggressione al porto e alla città di Pola con il conseguente saccheggio.
Da oltre sei secoli quel Leone, avulso dalla sua sede originaria, ricorda dall’alto della chiesa di San Marco al Molo in Genova quei drammatici avvenimenti. La guerra tra veneziani e genovesi ebbe termine l’anno successivo con la cosiddetta Pace di Torino, siglata nel capoluogo piemontese il 24 agosto 1381.
Nel corso del XX secolo la città di Pola, annessa alla Madrepatria Italia dopo la conclusione vittoriosa della prima guerra mondiale del 1915-1918, invano chiese all’amministrazione comunale di Genova la restituzione di quel cimelio storico. Venne allora realizzata una copia fedele dello stesso e collocata sulla Porta Marina del capoluogo istriano da cui era stato avulso. Purtroppo, con l’occupazione slava della città ed a seguito dell’iniquo trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, anche la copia del Leone dovette cercare la strada dell’esilio per evitare una sua temuta dissacrante distruzione. Attualmente (almeno così mi è stato riferito) la copia si trova al Museo Navale di Venezia per ricordare ai posteri la storia movimentata di questo simbolo marciano, uno dei pochi (se non l’unico) con il muso rivolto a destra anziché a sinistra, come l’abbiamo ammirato negli innumerevoli esemplari esistenti in tutta l’area che fu dominio della Serenissima per oltre un millennio.
Recentemente, su mia richiesta, l’attuale parroco di San Marco al Molo, don Carzino, mi ha fornito ulteriori notizie storiche sul nostro Leone precisandomi che sotto l’insegna c’è un’altra iscrizione latina, consumata da secolari intemperie e quindi di non facile
lettura: «MCCCLXXXIII .DIE. PRIMA. FEBB. FM. ANG. LO. IS. TO s.o. QAD. ThOME O. LPS. ISTO. DMNI. OEDE. SIT. MNO. MCCCXCII DIE IIII MAR QU. ET. hEREDUM. SUOR.» («L’anno 1383, il giorno primo febbraio FM, ANG, LO, IS, TO, fu Tomaso hanno disposto che la lapide sia dono votivo in questa dimora di Dio – Affissa nel 1392 il giorno 4 marzo secondo l’intenzione di quelli e dei loro eredi»).
Per inciso ricordo che, nel corso della suddetta guerra tra genovesi e veneziani, il 1° luglio 1380, venne aggredita anche Capodistria. «L’eroica difesa dei capodistriani – scrive il concittadino Ricciotti Giollo nel suo libro “San Naza-rio Protovescovo e Patrono di Capodistria”, edito a Trieste nel 1969 -valse a ben poco e solo il Castel Leone non poté venire espugnato, ma il resto della città fu saccheggiato. Molti furono i morti e cadde prigioniero lo stesso podestà Marco Giustiniani. In quella occasione i genovesi asportarono da Capodistria le reliquie dei Santi Nazario e Alessandro che erano custodite nella cattedrale ed oggetto di grande venerazione». Per fortuna le reliquie ebbero miglior sorte del Leone. Infatti, narra più avanti nello stesso libro il nostro Giollo, esse, a seguito di laboriose trattative con l’Arcivescovo di Genova, vennero restituite alla città di Capodistria nel mese di giugno del 1422, quasi mezzo secolo dopo il loro trafugamento bellico.
NOTA. Il Comune di Pola dopo la prima guerra mondiale chiese la restituzione del Leone, negata dall ‘amministrazione genovese, che inviò però in compenso una copia dello stesso, ora al Museo Storico Navale di Venezia, salvata dai residenti in fuga nel 1947prima dell’occupazione jugoslava della città capoluogo dell’Istria. Originale e copia si trovano quindi in Italia. Al Leone manca totalmente la zampa posteriore in primo piano, mentre lacune di minor conto si riscontrano sulla coda e sull’ala. Per il resto la scultura è in buone condizioni se si esclude qualche piccola abrasione. (P. V.)
Nota di redazione. Lo scontro navale, a base del racconto fattoci da Vesnaver, non fu l’unico occorso tra le gloriose Repubbliche Marinare di Venezia e Genova. La loro lunga guerra per il dominio del Mare Nostrum era iniziata molti anni prima ed è costellata da molti episodi; un altro, in particolare, occorse nelle acque della nostra Istria, nei pressi di Salvore, nel 1177. Nella circostanza, presso la punta più occidentale della nostra penisola avvenne, infatti, una cruenta battaglia navale tra 40 galere veneziane, allestite anche grazie all’aiuto delle cittadine istriane e sostenute da papa Alessandro III, e ben 75 genovesi e pisane schieratesi dalla parte dell’imperatore Federico Barbarossa. La flotta comandata dal doge Sebastiano Ziani e Nicolò Contarini, nascosta nel vallone di Pirano, colse di sorpresa gli avversari, catturò 45 navi, ne affondò altre e fece prigioniero lo stesso comandante, il futuro Ottone IV, figlio del Barbarossa. La vittoria ebbe vasta eco tanto che a Venezia, nella sala del Gran Consiglio, fu esposta una grande tela dell’evento dipinta da Domenico Tintoretto.
Peraltro, non è solo questo quadro che ai giorni nostri ricorda l’evento; ad esso, infatti, è anche legata la Festa della Sensa che si celebra annualmente in Canal Grande nel giorno dell’Ascensione, nota anche sotto la dizione di Sposalizio del Mare. La suggestiva cerimonia che simboleggia il dominio marittimo di Venezia venne istituita intorno all’anno 1000 per commemorare la conquista della Dalmazia da parte del doge Pietro II Orseolo e aveva originariamente un carattere propiziatorio con il mare. Si svolgeva con una solenne processione di imbarcazioni, guidata dalla nave del doge (dal 1253 il Bucintoro, andato poi distrutto nel 1797 in occasione della conquista di Venezia da parte di Napoleone); nelle acque antistanti alla chiesa di San Nicolò, patrono dei naviganti, veniva recitata una preghiera affinché «per noi e per tutti i navigatori il mare possa essere calmo e tranquillo»; successivamente il doge e gli altri venivano solennemente aspersi con l’acqua santa, il resto della quale veniva poi versato in mare mentre i sacerdoti intonavano Asperges me hyssopo, et mundabor. Nel 1177, appunto, secondo la leggenda su cui si basa il mito di Venezia, papa Alessandro III avrebbe conferito a questa antica cerimonia un carattere di sacralità, come ricompensa per i servizi offerti da Venezia nella lotta contro il Barbarossa.
«L’Arena di Pola», 09/10/09.