Scritto da Francesca Lughi, 11/01/10
Cinque fitte colonne sul «Corriere della Sera» di domenica 10 gennaio (pp. 28-29), spaziando dai temi dell’Unità alle questioni dell’irridentismo: Claudio Magris in Patria. Italia sempre irredenta, aggiunge il suo punto di vista al lungo dibattito che infiamma in questi mesi i mezzi di comunicazione in relazione alle contraddizioni e agli errori che accompagnarono la nascita dello Stato unitario. Un approfondimento, in vista delle celebrazioni legate ai 150 anni dell’unità nazionale, che richiama tra l’altro l’attenzione del lettore «a un momento tragico, rivelatore e costitutivo del sentimento di italianità: alla prima guerra mondiale o meglio alla passione patriottica con la quale gli irredentisti triestini e giuliani, allora sudditi dell’impero asburgico, hanno vissuto – in modi diversi, nazionalisti e imperialisti o democratici ed europeisti – l’attesa del congiungimento all’Italia, l’apocalissi della guerra e la gioia – presto divenuta sofferta, polemica, ma pur sempre amorosa delusione – di essere divenuti italiani.» Facendo anche riferimento al recente saggio di Renate Lunzer, Irredenti redenti. Intellettuali giuliani del ‘900 – recensito per le nostre pagine nel terzo trimestre 2009 da Chiara Blau – Magris traccia pure una mappa ideale dei molti intellettuali giuliani che in vario modo testimoniarono con forza il loro sentimento di italianità. Immersi com’erano in una condizione di consapevole o involontaria liminalità, che ne faceva complessivamente testimoni d’eccezione e insieme complicati rappresentanti di un patriottismo sincero proprio perché composito e quindi non facilmente riconducibile a retorici schematismi. Un amor patrio reso per tale via ancora più critico o travagliato, come suggerisce in modo emblematico la struggente confessione di Biagio Marin all’amico Prezzolini nel gennaio 1953: «E mi chiedo, dopo pur aver tanto amato e creduto e dato con fermo il cuore il mio unico figliolo, se ho ancora una patria e dove sia.»