Ho letto un articolo dove si parla dell’identità di Fiume che si auspica. È una delle riflessioni in questo momento quando la città si trova in una fase fluida e priva di un carattere definito. Non parlerò di epoche lontane che non conosco per esperienza diretta, come la prima parte del secolo scorso che, probabilmente, è stato il periodo di massimo sviluppo di Fiume. Peraltro, ho potuto rifletterci nel mio recente soggiorno a Vienna durante un congresso di filosofia. Ho riscoperto nuovamente quanto sia fantastica questa città e perché esercita un fascino perdurante. Ma torniamo alla nostra Fiume.
Negli anni che l’ho conosciuta, nella sua regione di collocazione politica e amministrativa di quel periodo, è stata la città dell’avanguardia punk, un riferimento rock e jazz. Sempre attenta alla tradizione artistica classica. Una meta visitata e frequentata negli anni delle discoteche. E apprezzata con i suoi clubbing quando è comparsa la musica elettronica. Insomma, parlando di queste forme di cultura popolare Fiume ha seguito in tempi quasi immediati quanto avveniva nei centri all’avanguardia mondiale. Ora, in centro sentiamo in vari punti dei suoni molto distanti rispetto a questa. OK, in ogni generazione chi non è più giovane si lamenta dei gusti musicali di quelli che lo sono. Ma ora sta avvenendo a Fiume e, mi sembra, in tutta la Croazia, un fenomeno che mi sembra unico. Nel corso dei decenni i meno giovani si lamentavano dei gusti musicali dei più giovani che aderivano a espressioni musicali innovative. Si pensi alla musica elettronica, diffusa in tutto il mondo e abbracciata dai giovani anche a Fiume, insopportabile per ampie parti delle generazioni precedenti. Ora, invece, abbiamo una vasta adesione dei giovani a forme musicali legate alle tradizioni che definirei locali, se non addirittura rurali e, comunque, distanti un abisso dalle tendenze musicali internazionali.
Ritorno da dove avevo iniziato. Parlo di un articolo dove si dice che Fiume deve prendere lezioni di tolleranza da una sede nel suo circondario. In generale, può anche starci, seppure sarebbe utile definire il concetto di tolleranza per comprendere con precisione quale forma vogliamo che sia presente nella nostra città. Ma, non volendo sembrare supponente, di norma raramente i circondari e i centri rurali sono stati portatori di progresso e avanguardia. Comprendo chi li percepisce con lodevole gentile spirito crepuscolare. Ma se si vuole pensare al progresso direi che, di norma, bisogna guardare altrove. E penso a Vienna, Amsterdam, Londra, Copenaghen, Berlino, Barcellona, New York, alla mia amata Milano… È lì che si può vedere la tolleranza, con persone diverse da tutti i punti di vista che convivono. Anticipo l’obiezione che mi è già stata rivolta più volte. Ho conosciuto queste città da una prospettiva privilegiata. Le ho visitate, nella maggior parte, durante viaggi legati alle mie attività accademiche e, quindi, le ho conosciute attraverso il filtro della loro parte intellettualmente più sofisticata. Ed io stesso vi sono stato accolto quale ospite in un certo senso privilegiato. Ma è innegabile che la percezione che ne ho avuto è reale, seppure in una certa misura parziale. Lo sviluppo, le idee innovative, l’accoglienza e la creazione di diversità, l’avanguardia, il progresso sono componenti vere di queste e simili sedi.
È per questi motivi che suggerisco di pensare a queste città quali modelli e ispirazioni da seguire. Credo che, per lo sviluppo della città, sia questa la via da seguire. Ma non lo dico per una mia preferenza estetica. Sono convinto che sia l’unico modo per sopravvivere con dignità in un mondo che si evolve in modo rapido. Possiamo seguire il passo di chi trascina lo sviluppo del mondo occidentale attuale. Con ciò intendo la capacità di essere concorrenziali nella crescita tecnologica e produttiva, ma anche quella culturale che comprende pure manifestazioni di cultura pop. Tutto questo è necessario per essere una parte attiva e avere un ruolo da protagonista in un mondo dinamico. L’alternativa è quella della chiusura provinciale. Può andar bene, se saremo felici vivendo, per lo più, facendo i camerieri e le cameriere e gli e le affittacamere, con le persone giovani più ambiziose che cercano soddisfazioni emigrando.
Elvio Baccarini
Professore ordinario di Filosofia politica
Fonte: La Voce del Popolo – 07/09/2023