Scritto da Anatole Kaletsky, «The Times»
Mentre la politica interna domina le prime pagine dei giornali, un evento storico è accaduto in Europa. La Gran Bretagna potrà anche avere la prima coalizione di governo da settant’anni a questa parte, ma l’Europa ha fatto qualcosa di molto più importante. Trasferendo le competenze sulle tasse e la spesa pubblica a livello federale, l’Unione europea ha fatto un passo decisivo verso la trasformazione in uno stato unitario. Quella che è sicuramente una delle decisioni più controverse nella storia moderna dell’Europa è stata presa quasi senza che l’opinione pubblica se ne accorgesse, secondo il modello di governo top-down dell’Unione europea. Nonostante i suoi apparenti svantaggi, la versione Ue della democrazia rappresentativa elitaria potrebbe rivelarsi più capace dei modelli populisti di Stati Uniti e Gran Bretagna di stare al passo con le complesse mediazioni rese necessarie da un mondo in preda a un gigantesco cambiamento geopolitico.
La storia comincia, come praticamente tutte le altre storie di questi tempi, con la crisi finanziaria. Dopo il collasso della Lehman Brothers nel 2008 il panico finanziario si è diffuso in Europa, minacciando la sopravvivenza dell’euro. La crisi è iniziata nell’autunno del 2009 e ha raggiunto il climax nel week end dell’8 e 9 maggio, quando il governo greco si è dichiarato incapace di ripagare i prestiti in scadenza il lunedì successivo. In quel momento i leader europei hanno capito che l’insolvenza della Grecia avrebbe innescato una corsa alle banche non solo sulle sponde dell’Egeo, ma anche in Irlanda, Portogallo, Spagna e nell’Europa centrale. Nell’arco di pochi giorni, se non di ore, gli euro depositati nelle banche greche, spagnole e italiane sarebbero valsi una frazione di quelli degli istituti di credito tedeschi e olandesi. In pratica l’euro avrebbe cessato di esistere.
La notte dell’8 maggio l’Europa era sull’orlo del precipizio, e i leader del continente decisero di creare un meccanismo finanziario del valore di 750 miliardi di euro per salvare i paesi che non potevano ottenere denaro dai privati. Fatto ancora più importante, la cancelliera tedesca Angela Merkel decise di mettere da parte i propri principi e acconsentì alla sospensione della “clausola anti-bailout”, faticosamente inserita nel trattato di Lisbona per convincere l’opinione pubblica tedesca che l’ingresso nell’euro non avrebbe reso la Germania finanziariamente responsabile delle sregolatezze economiche dei paesi del “Club Med”. Con una mossa altrettanto sorprendente, il tesoro britannico decise di utilizzare i programmi di prestito e i mezzi dell’Unione europea per supervisionare le tassazione nazionale, e sposare i piani di spesa di Bruxelles che effettivamente crearono il budget federale dell’Ue. «Fu una notte di miracoli», ricorda Emma Bonino, ex commissaria europea italiana.
Garanzie collettive
Il piano di salvataggio dell’euro non sarebbe mai stato possibile senza un forte impegno a ottenere garanzie collettive permanenti per i debiti dei governi dell’eurozona. Ma affinché tali garanzie potessero funzionare era necessario un meccanismo di trasferimenti fiscali interni, che a sua volta non sarebbe mai stato accettato dalla Germania e dagli altri paesi creditori senza che ci fosse un controllo centrale sul budget dei paesi europei più stretto di quanto nessuno avesse mai immaginato prima. La scorsa settimana, al summit di Bruxelles, questi meccanismi sono stati approvati in linea di principio. La maggior parte dei giornali si sono dedicati a temi marginali come la difesa da parte di David Cameron del “rebate” britannico e l’insistenza della Merkel per una revisione dei trattati dell’Unione europea. La verità di fondo, comunque, è che la Germania ha fatto ancora un altro passo indietro. L’assemblea ha stabilito infatti che nessun paese può essere costretto ad abbandonare la moneta unica a causa di un mancato pagamento dei debiti. Nonostante nessuno, inclusi gli stessi leader europei, possa dire cosa sia stato realmente concordato, l’implicazione di fondo è che l’Unione europea dovrà creare un meccanismo permanente per il mutuo soccorso finanziario tra i paesi dell’eurozona, inserendolo nei futuri trattati. L’ostinazione di Angela Merkel sulle le modifiche al trattato, lungi dal proteggere i contribuenti tedeschi dalle conseguenze finanziarie, sigilla l’impegno della Germania in caso di nuovi salvataggi. Grazie alla revisione esplicita della clausola anti-bailout, infatti, le modifiche di Merkel al trattato assicureranno una forza legale irreversibile al federalismo fiscale dell’Unione europea.
Il sogno dei fondatori
Ma perché i politici tedeschi dovrebbero piegarsi a nuove costrizioni così dispendiose? Essenzialmente per due motivi. Primo, l’industria e la finanza tedesche dipendono dalla stabilità e dalla prosperità dell’eurozona. Secondo, l’unità dell’Europa è sempre stata il manifesto dell’élite politica e finanziaria della Germania. I tedeschi, comunque, non sono stupidi. Non accetteranno di diventare gli eterni garanti dei paesi più sconsiderati dell’Unione europea senza che venga organizzata un’attenta supervisione finanziaria. La condizione per il federalismo fiscale sarà il raggiungimento di un grado di centralizzazione politica che al momento risulta difficile persino da concepire, ma che allo stesso tempo comincia a sembrare inevitabile.
Per esempio, è difficile immaginare che tra i diversi paesi ci possano essere differenze così ampie nell’età pensionabile, nei benefici assistenziali e persino nell’assistenza sanitaria, se il costo di tali servizi dovrà essere garantito in maniera congiunta. In effetti la convergenza graduale verso un’età pensionabile di 67 anni in tutta Europa è una delle conseguenza più incoraggianti della crisi finanziaria, almeno da un punto di vista strettamente economico. Da sempre l’integrazione europea è andata avanti nelle difficoltà. Dopo l’ultima crisi dell’eurozona è diventato inevitabile spiccare il volo verso il federalismo fiscale e politico. Esattamente ciò che i padri dell’euro auspicavano. (traduzione italiana a cura di Andrea Sparacino)
Fonte: Presseurop, 03/11/10.