Scritto da Fulvio Senardi
È perfettamente a suo agio Pietro Spirito nelle quasi duecento pagine di L’antenato sotto il mare – Un viaggio lungo la frontiera sommersa (Guanda, pagg. 208, euro 15,00), il suo ultimo libro. Tanto nel ruolo che si è scelto, come voce narrante e personaggio-guida, di intrepido esploratore subacqueo, rispondente in effetti ad uno dei suoi più praticati interessi sportivi, quanto nel difficile compito di aprire, da prospettive inusuali, nuove finestre sugli universi del confine, per i quali sceglie il peculiare punto di vista del silenzio e dell’ombra del mare. Il silenzio degli abissi, che in realtà abissi non sono, ma i fondali sabbiosi dell’estremo Adriatico, acque rotte e singhiozzanti che proliferano di lagune, isolotti, barene; e l’ombra tinta di azzurro di un mondo dove la luce penetra con morbidezze ovattate, magica sede di forme furtive e metamorfiche dove Spirito, con la scioltezza cui ci ha abituati, si abbandona al gioco delle storie, portandoci a dialogare con luoghi, vicende, persone, lungo un arco di tempo che va dall’antichità romana al giorno d’oggi.
Il libro è concepito infatti come un viaggio sui fondali del golfo, immagine speculare della terraferma, il negativo che ne rimanda un profilo deformato ma rivelatore: galassia di incontri e di scontri, di battaglie vinte e perdute, di calate e di meticciato di popoli. Una storia infinita che ha disseminato i fondali di tracce, resti, detriti. Corpi estranei che il mare – metafora del tempo, con la sua mobilità ingannevole e monotona – pian piano trasforma, copre di alghe, corrode, per poterli congiungere a sé: «tracce che parlano di una commistione di genti, di lingue, di abitudini», segnali friabili e indistinti ma dalla suggestione potente, come le profezie di una sibilla. Nei luoghi “sub-reali” della sua esplorazione Spirito si diverte a tastare, con leggera ma intrigante aforistica, la complessità di una condizione umana, che, negandosi alla terrestrità d’ogni giorno, sperimenta, e non senza rischio, tutte le sfaccettature del confine: mare e terra, passato e presente, vita e morte, sogno e veglia, conscio ed inconscio. Ad assaporare uno stato di inappartenenza che predispone, con quasi godibile disagio, all’esperienza dell’alterità.
Di relitto in relitto – relitti famosi e perfettamente noti, se non mete addirittura di turismo subacqueo: il “Baron Gautsch”; relitti pressoché dimenticati, che hanno lasciato di sé solo concave impronte nel fango della costa: la corazzata “Wien” – si affacciano, nel racconto di Spirito, fantasmi di eventi e di uomini che il narratore costringe a parlare, con quel diritto di vita e di morte che è nelle prerogative dell’arte. E si aprono così in un libro dal passo misto – storico, aforistico-riflessivo, narrativo – parentesi di sciolta affabulazione e prende forma davanti ai nostri occhi – qui, forse, i momenti di più intenso piacere del testo – una polifonia di vicende, i racconti del confine e del mare, che dopo poche pagine la tiepida onda del narrare cancella e ricompone, come segni tracciati sulla sabbia. Altra cosa del realismo, per più aspetti amaro, con i suoi interrogativi esistenziali e il suo “basso continuo” tecnologico, di ”Un corpo sul fondo” (2007), di tematica per più versi affine. Qui invece, quasi senza parere, la scrittura solida e fattuale si protende verso l’onirismo. Una tentazione di visionarietà tanto pressante quanto poco assecondata.
Siamo della materia di cui sono fatti i sogni, sembra suggerirci lo scrittore, mentre a lente pinneggiate attraversa il fasciame dei relitti, forzato volta per volta a fronteggiare i trabocchetti che gli aprono alle spalle, con l’onnipotenza dell’immaginazione, gli dei beffardi della scrittura e del mare: «sono completamente avvolto dalle alghe, un impalpabile e fragile sudario mi sta fagocitando brandelli di densa mucillagine si attaccano alla muta, alla maschera e all’erogatore in una tenera allarmante carezza». Il mare – eterna metafora del ritorno all’origine, enigmatica esperienza d’al di là che può arricchirsi di valenze iniziatiche – ritma altalene di pensieri e di destini compiuti, che lo scrittore, accomodante padrone di casa, dipana con uno stile sobrio, scorrevole, elegante, di esemplare nitore. Chi ora volesse ancora pensare ad un protocollo di esplorazioni subacquee sarebbe fuori strada: «L’antenato sotto il mare» dà molto di più di quanto non prometta il sottotitolo. Il mare, come la parola, è materia che plasma, scenario di inganni e di misteri, universo familiare ma perturbante, flusso che alimenta piccole avventure di vita e inattesi rovelli del pensiero: «l’unico viaggio possibile», suggerisce Spirito, sciogliendo la metafora, «è seguire le incerte coordinate della coscienza, lungo i limiti segnati dalla nostra quotidiana condizione di naufraghi».
Fonte: «Il Piccolo», 25/02/10.