«L’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia è europeista fin dalle sue origini, perché, dopo tutto quello che avevamo sofferto, i nostri dirigenti più maturi, specialmente quelli originari della Dalmazia, avevano capito che solamente un’Europa unita avrebbe potuto dare pace e giustizia. Ecco perché abbiamo organizzato questo incontro dedicato a Gorizia Capitale Europea della Cultura»: il Presidente nazionale dell’Anvgd Renzo Codarin ha così avviato la prima giornata di lavori del convegno di studi Da “santa” e “maledetta” a Capitale Europea della Cultura 2025. Gorizia tra confini, autonomia e cooperazione transfrontaliera, realizzato con il contributo della L. 72/2001 e con il patrocinio del Comune di Gorizia. Tale iniziativa ha assunto un taglio multidisciplinare, coinvolgendo storici, giuristi, architetti, operatori culturali e autorità proprio per realizzare un compendio che possa essere un viatico per Nova Gorica-Gorizia 2025, come ha evidenziato il coordinatore scientifico del progetto, il Prof. Davide Rossi dell’Università di Trieste.
Proprio il Sindaco di Gorizia Rodlfo Ziberna ha quindi portato un saluto istituzionale, ricordando come Gorizia abbia saputo trasformare in opportunità di collaborazione e di sviluppo le difficoltà di essere una città di frontiera, inoltre frontalmente contrapposta alla sua “gemella” Nova Gorica, che ha ottenuto a nome della Slovenia la designazione per il 2025.
Il Prof. Gianpaolo Dolso, Direttore del Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università di Trieste, ha dato inizio ai lavori ricordando che lo Statuto speciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, di cui nel 2023 ricorrono i 60 anni, riposa sulla natura artificiale di questa regione di frontiera, nata dalla fusione di province con storie, culture e tradizioni diverse.
Basti pensare che nel 1866 dopo tre Guerre d’indipendenza il Friuli già faceva parte del Regno d’Italia, mentre la Venezia Giulia sarebbe stata annessa soltanto oltre mezzo secolo dopo, anche se la codificazione unitaria del 1865 già prevedeva la facoltà di voto amministrativo per quanti lavoravano in Italia ma erano cittadini di province che erano geograficamente e culturalmente italiane anche se ancora al di fuori dei patri confini. Su questo argomento ha ampiamente riferito il dottor Alessandro Agrì (Università di Modena e Reggio Emilia), citando dottrina e giurisprudenza a partire dal caso dei Conti Attimis, inseriti nel 1887 nelle liste elettorali da una sentenza della Corte d’Appello di Venezia, la quale interpretava in senso patriottico e persistente una disposizione che inizialmente era stata considerata in maniera restrittiva e transeunte, come se fosse destinata dai codificatori dell’Italia unitaria solamente ai cittadini dei territori che sarebbero poi stati annessi con la Terza guerra d’indipendenza.
Una volta entrata a far parte del Regno d’Italia, tuttavia, la Provincia di Gorizia, istituita formalmente nel 1919, ma entrata effettivamente in funzione nel 1921 in seguito al Trattato di Rapallo che definiva in maniera internazionalmente riconosciuta il confine con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, non ebbe vita facile, come ha illustrato Giovanni Zucchini (consigliere del Tribunale Amministrativo della Lombardia). Già l’amministrazione militare instauratasi nel novembre 1918 operò con la costante paura degli austriacanti, con particolare riferimento alla robusta presenza slovena, ma pure la componente italiana era guardata con diffidenza in quanto nell’anteguerra aveva sostenuto un partito popolare lealista nei confronti degli Asburgo. Alle elezioni del 1921 5 seggi su 6 del collegio goriziano furono vinti dalla Concentrazione slovena ed il sesto andò al comunista Tuntar: non stupisce che nel 1923 Mussolini spartì la provincia di Gorizia tra Udine e Trieste allo scopo di diluire il focolaio nazionalista sloveno.
Gorizia d’altro canto durante la Prima guerra mondiale aveva goduto di grandissima fama dopo essere stata conquistata dalle truppe italiane nell’agosto 1916: l’eco di questa vittoria sulla stampa dell’epoca è stato presentato dal Prof. Andrea Ungari (Università Marconi di Roma). Dalle colonne della carta stampata era unanime il plauso per la combattività dei soldati italiani, che avevano peraltro appena sostenuto l’urto della Strafexpedition, e per l’ampio uso della bombarda, un prototipo del mortaio. Talune testate enfatizzarono il ruolo della cavalleria, altre avevano colto la perfetta coordinazione tra artiglieria e fanteria, ma particolare risalto venne dato alla caduta di uno dei campi trincerati più poderosi d’Europa. Nello specifico il Corriere della Sera dette grande merito alle doti di comando di Cadorna (legato da amicizia con il direttore Albertini), il Popolo d’Italia ricollegò la presa di Gorizia alle battaglie risorgimentali e Alfredo Rocco titolò un suo articolo “Incipit vita nova”, poiché con questa vittoria l’Italia era assurta al rango delle grandi potenze.
Il giornalista Enrico Rocca, appartenente alla comunità ebraica goriziana, fu uno dei più stretti collaboratori del gerarca Bottai e vide nel sindacalismo e nel fascismo gli strumenti per rendere coesa la nazione italiana: in merito a questo fascista di sinistra, che non si riconosceva nello squadrismo più radicale, ha relazionato il Prof. Giuseppe Parlato (Emerito dell’Università degli Studi Internazionali di Roma). Rocca sostenne Mussolini nel tentativo del patto di pacificazione con i socialisti e colse l’importanza della radio come mezzo per formare la coscienza nazionale degli italiani. Allorchè furono proclamate le leggi razziali venne “discriminato”, nel senso che per meriti fascisti ottenne un discrimine rispetto all’applicazione di tali provvedimenti e quindi potè continuare a lavorare, anche se era sempre più distante dalle posizioni del regime. Dopo il 25 luglio avrebbe denunciato nell’antifascismo gli stessi difetti del fascismo (censura e persecuzione degli oppositori), giungendo ad una visione antitotalitaria simile a quella di Del Noce.
Il dott. Alberto Torini (docente dell’Università Roma Tre) ha quindi dato un quadro giuridico di cosa significhi essere una città di frontiera, cioè trovarsi in un’area in cui entrano in competizione diversi sistemi normativi. L’applicazione di leggi diverse condiziona, infatti, l’economia del territorio e richiede interventi di armonizzazione o di compensazione da parte dei legislatori. Nel momento in cui cadono i confini, come è avvenuto tra Italia e Slovenia nella cornice europeista, ecco che Gorizia e Nova Gorica hanno continuato ad operare in buona sintonia, ma in contesti amministrativi diversi che finiscono per creare disparità soprattutto per quanto concerne la tutela di beni giuridici nuovi che vengono trattati in maniera differente dalle due legislazioni, pur appartenendo entrambe all’Unione Europea.
Il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli è celebre per aver coniato il termine “Venezia Giulia” nel 1863, ma già in un articolo giovanile del 1848, di fronte al divampare della Primavera dei popoli, aveva auspicato che Gorizia fosse «italiana, tollerante e concorde», essendo consapevole del carattere plurale della sua popolazione. Con questo spirito è sorto nel 1966 l’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei di Gorizia, su impulso soprattutto dell’On. Martina, deputato, sindaco e poi senatore democristiano del capoluogo isontino, come ha riferito il presidente di tale istituzione, il Prof. Fulvio Salimbeni. L’I.I.C.M. svolge ogni anno un convegno che coinvolge relatori italiani e della Mitteleuropa: nei primi anni di vita, per poter avere ospiti provenienti dai regimi comunisti i temi erano neutri, come ad esempio la poesia al convegno d’esordio, presieduto da Biagio Marin con prolusione di Ungaretti. Dopo il 1989 lo spettro si è ampliato su storia e tematiche di attualità, sempre con l’obiettivo di rendere Gorizia città d’incontro e non di scontro.
Anche la seconda giornata del convegno si è svolta all’insegna della multidisciplinarità e con un fitto programma di contributi interessanti che renderanno il volume degli Atti una vera e propria enciclopedia goriziana.
I lavori si sono riaperti con un excursus di architettura goriziana a cura dell’Arch. Massimiliano Tita, membro del Comitato per la Legge 39/2019 dedicata al Patrimonio culturale veneto nel Mediterraneo. Proprio al leone marciano che domina la facciata del castello di Gorizia come simbolo di una presenza sul territorio ha fatto riferimento in una delle prime slide di una magnifica carrellata tra storia ed arte. Ecco le facciate barocche di Pacassi, architetto di corte di Maria Teresa, e la “Nizza austriaca” così definita per la salubrità del suo clima da von Czoernig. Le opere di Max Fabiani e l’inaugurazione della stazione Transalpina portano al piano regolatore del 1906: significativo è che il piano regolatore italiano del 1921 per la ricostruzione di Gorizia preveda ancora il coinvolgimento di Fabiani, anche se l’impronta più significativa verrà lasciata dalle architetture razionaliste di Cuzzi. Il secondo dopoguerra vedrà la nascita di Nova Gorica, che può essere considerataper la comunità slovena un surrogato della città di Gorizia rimasta entro i confini italiani.
Lorenzo Salimbeni (ricercatore storico dell’Anvgd) ha quindi spiegato che a Gorizia le ostilità non terminarono il 25 aprile 1945: il 30 aprile una colonna di nazionalisti cetnici provenienti dalla Dalmazia e dal Montenegro attraversò la città in fuga dalla truppe titine, che di lì a poco per quaranta giorni avrebbero imperversato nella Venezia Giulia. Anche nel capoluogo isontino deportazioni, processi sommari, persecuzioni degli oppositori o presunti tali del progetto annessionista jugoslavo fecero centinaia di vittime. Gli accordi di Belgrado lasciarono Gorizia, Trieste e Pola sotto amministrazione militare angloamericana ed il resto del territorio conteso sotto quella jugoslava. Un’imponente manifestazione patriottica accolse il 26-27 marzo 1946 la commissione interalleata che doveva definire il nuovo confine: il 10 febbraio 1947 il trattato di pace lasciò all’Italia Gorizia, anche se attraversata dal confine e destinata a diventare uno dei luoghi principali di accoglienza e reintegrazione dei profughi giuliano-dalmati, specialmente polesani.
L’assemblea costituente, per la cui elezione i goriziani (ed i triestini, istriani, fiumani e zaratini ancora formalmente cittadini italiani) il 2 giugno 1946 non poterono votare, lavorò nel solco della tradizione centralista italiana. Alla fine fu inserito in Costituzione un federalismo a due velocità con le regioni ordinarie e quelle a statuto speciale(per motivi geografici, linguistici o legati a tradizioni autonomiste radicate), tra cui un Friuli Venezia Giulia i cui confini erano ancora incerti. Eppure, ha evidenziato il Prof. Davide Rossi dell’Università di Trieste, nel 1963 entrò in vigore proprio lo statuto di quella che il costituzionalista Bartole ed il politologo Agnelli definirono «la meno speciale tra le regioni a statuto speciale», aprendo finalmente la strada all’attuazione della parte di Costituzione che disciplinava le Regioni. Le prime elezioni regionali avvennero nel 1970, ma è rilevante riscontrare che nelle prime tre legislature non vi è traccia nel dibattito parlamentare di richieste di attuazione del Titolo V.
Una prospettiva originale ed interessante è emersa dall’intervento del Prof. Budislav Vukas jr (Università di Fiume), il quale ha delineato la figura di Božo Milanovi?, un sacerdote istriano che per la sua preparazione era stato cooptato dalla nascente Jugoslavia comunista che aveva perseguitato i religiosi, ma lamentava una carenza di quadri dirigenziali estranei alla formazione nazionalista serba. Il suo ruolo diplomatico inizialmente doveva servire ad avere l’appoggio della Chiesa per i nuovi confini, poi partecipò agli incontri con la Commissione interalleata per la definizione dei confini e fece parte della delegazione jugoslava alla conferenza di pace. In tali ambiti egli argomentò con dovizia di particolari le motivazioni etniche (la presenza italiana era compatta solo fino a Monfalcone), geografiche (Isonzo e Adriatico rappresentavano un confine naturale) ed economiche (Trieste e Fiume dovevano seguire la sorte dei loro mercati di riferimento) che giustificavano le rivendicazioni croate per interposta Jugoslavia nei confronti dell’Istria.
La genesi di Nova Gorica come città di fondazione è stato l’argomento della relazione di Kristjan Knez (Presidente della Società di Studi Storici e Geografici di Pirano), il quale ha rilevato che restando Gorizia italiana tutto il suo retroterra risultava privo di un grande centro urbano di riferimento. A fine ’46 i nuovi assetti territoriali erano ormai quasi sicuri e quindi le autorità della Jugoslavia comunista misero a bilancio grosse cifre per la realizzazione di una nuova città capace di accogliere almeno 10.000 abitanti. La denominazione di Nova Gorica sarebbe emersa in seguito, mentre gran parte del lavoro che nel 1947-1949 portò alla realizzazione del primo nucleo della nuova località fu svolto con il lavoro “volontario” dei cittadini jugoslavi e con l’impegno delle Brigate giovanili. Quando il Trattato di Pace entrò in vigore il 15 settembre 1946 una grande manifestazione a Lubiana celebrò con toni fieramente nazionalistici l’annessione del Litorale dopo le umiliazioni conseguenti al Trattato di Rapallo che nel 1920 lo aveva ceduto all’Italia.
Nova Gorica Capitale Europea della Cultura 2025 insieme a Gorizia è stata invece al centro dell’intervento di Anna Viani, professionista nel campo della gestione dei beni culturali. Il segreto del successo di questa candidatura congiunta risiede nella capacità di aver presentato le differenze come una forma di ricchezza sulla quale costruire anche il nuovo comprensorio urbano transfrontaliero. Tra gli interventi già previsti c’è la riqualificazione di piazza della Transalpina: ripartire dal centro si ricollega alla tradizione europea di avere un luogo pubblico di confronto e di mercato, di dialettica e di incontro, laddove quel sito per quasi mezzo secolo, attraversato da una rete metallica, aveva rappresentato la divisione e la contrapposizione. Non sono mancati riferimenti ad altre capitali della cultura come Eleusi, Timisoara, Matera e Chemnitz, che ha vissuto la divisione della Germania, il cambio di nome in Karl-Marx-Stadt durante il periodo della Repubblica Democratica Tedesca ed oggi denuncia problemi connessi all’integrazione delle comunità immigrate.
Ancora più specifico riguardo Gorizia 2025 è stato Paolo Petiziol, Presidente del Gect – Gruppo Europeo di Cooperazione Internazionale Gorizia-Nova Gorica-Šempeter-Vrtojba che l’Unione Europea ha accreditato come uno dei più virtuosi. Il 2025 potrà segnare il rilancio di un territorio che per tradizione è stato multiculturale, non ha subito rivalità fino all’esplodere degli opposti nazionalismi e a partire dai tempi in cui le popolazioni slave si attestarono sulle alture e gli eredi delle dominazioni franche e longobarde rimasero in pianura. Gorizia-Nova Gorica non costituisce tuttavia un unicum nel vecchio continente: almeno altre 15 località presentano una divisione simile e con una decina di queste sono già stati avviati rapporti e sono previste visite in cui illustrare il modello goriziano per poi valutare come adattarlo a tali altri contesti.
L’Avvocato Gianluca Barneschi, cultore di storia del Novecento, ha invece presentato lo stato dell’arte riguardo le sue ricerche sulla “Domenica delle scope”. Domenica 13 agosto 1950 il confine cittadino si aprì, a Gorizia affluirono centinaia di abitanti di Nova Gorica per rivedere amici e parenti e comprare ciò che mancava nei mercati jugoslavi, scope comprese. Benchè Tito avesse rotto i rapporti con l’Unione Sovietica e fosse interlocutore del mondo occidentale, si trattò comunque di un episodio clamoroso in piena Guerra Fredda. Eppure Barneschi non ha trovato documentazione al riguardo negli archivi della Farnesina, dell’Ufficio Zone di Confine e dell’arcidiocesi di Gorizia, la cui giurisdizione andava anche oltre confine. Nonostante ci fossero stati articoli e trasmissione radiofoniche che preannunciarono tale giornata da parte jugoslava, Prefettura e Questura di Gorizia si mobilitarono solamente in seguito e sembra che anche Sergio Cionci, uno degli agenti segreti più attivi in questa zona, non abbia dato peso all’evento.
Oltre ad aver curato la parte organizzativa del convegno, l’Avvocato Davide Lo Presti ha tenuto pure una relazione in cui, partendo dalla millenaria tradizione goriziana di riconoscimento dell’altro, ha riscontrato che il traumatico confine del 1947 abbia rappresentato un caso unico e che dall’ingresso della Sloveni nell’Ue nel 2007 l’Europa è diventata una preziosa risorsa per Gorizia. Al fine di sfruttare tale risorsa vi sono gli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, con particolare riferimento a INFORMEST e a FINEST , deputati allo sviluppo economico ed all’internazionalizzazione delle imprese. Soprattutto il Gect però ha rappresentato il volano per la vittoria della candidatura di Go!2025 poiché ha dato prova di essere affidabile nell’utilizzo dei finanziamenti europei fin dai suoi primi passi mossi nel 2007.
Ha completato il quadro delle peculiarità goriziane la professoressa Donatella Schürzel (Phd europeo in Storia dell’Europa) che ha presentato la storia e le personalità più rilevanti della comunità ebraica cittadina. Nata dal contributo di sefarditi ed askenaziti che hanno cercato di mantenere le proprie peculiarità, tale componente ha avuto nella famiglia Morpurgo (originaria della Germania, poi trasferitasi in Dalmazia e quindi risalita lungo la costa adriatica) una delle sue più illustri rappresentanti. In ambito intellettuale oltre al glottologo Graziadio Isaia Ascoli e a Carlo Michelstaedter, molto importante sarebbe stato il salotto letterario di Carolina Luzzatto, mentre negli anni Venti del secolo scorso era attivo un gruppo giovanile sionista. Nel 1943 la comunità comprendeva un centinaio di membri che subirono la deportazione nei campi di concentramento: dei pochi superstiti quasi nessuno tornò a Gorizia e oggi la Sinagoga dipende dalla Comunità di Trieste, venendo aperta solamente una volta all’anno in occasione di Hanukkah.
«Ricostruire la storia ed analizzare le espressioni culturali di Gorizia serve per la pace. Gorizia è un esempio di come si possano superare i traumi del Novecento e affrontare il futuro in una dimensione europea» ha, infine, evidenziato il Prof. Giuseppe Parlato (Università degli Studi Internazionali di Roma), il quale ha coordinato la giornata conclusiva del convegno.