Scritto da «The Guardian»
Per le strade del Carso, sulle colline alle spalle di Trieste, in primavera s’incontrano spesso strane insegne abbellite da frasche. Sono le indicazioni per raggiungere le osmizze: piccole osterie che servono vino di produzione locale e cibi tradizionali. Il nome deriva dallo sloveno osem (otto), che indicava il numero di giorni in cui nell’Ottocento le fattorie potevano vendere direttamente il loro vino. Oggi una delle osmizze più belle è quella dell’azienda agricola Zidarich, a Prepotto, non lontano dalle trincee in cui Hemingway ha ambientato Addio alle armi. Dalle vetrate si vede il golfo di Trieste. Alcune signore giocano con i nipotini, mentre un gruppo di ragazzi canta canzoni in sloveno e italiano. Coltivare la vite da queste parti è uno sforzo titanico: il terreno è impervio e roccioso. Ma il risultato è unico: una vitovska profumata e fruttata «prodotta in modo naturale e non filtrata», ci spiega Benjamin Zidarich, erede di una famiglia di vignaioli da sei generazioni. Gli chiediamo se si sente più italiano o sloveno: «È difficile rispondere. Vivo qui da sempre. Il nome di queste zone è cambiato più volte. Ma quello che conta è la terra. E la terra non cambia mai».
Fonte: «Internazionale», 14/20.06.10