A fine agosto o inizio settembre, viene celebrata ormai tradizionalmente la Giornata della lingua valacca, una parlata ad alto rischio di estinzione, che al giorno d’oggi possiamo sentire ancora soltanto in cinque località istriane e i cui parlanti sono attualmente una cinquantina in tutto. La ricorrenza viene festeggiata con frequenza annuale a Valdarsa-Susgnevizza (in croato Šušnjevica) con una serie di eventi racchiusi nella manifestazione denominata “Zija de vlåška limba”, che viene organizzata congiuntamente dall’associazione “Spod U?ke” e dall’Ecomuseo “Vlaški puti” (Sentieri valacchi), quest’ultimo fondato nel 2019, ma attivo ufficialmente dal 2021 grazie all’entusiasmo di coloro che si adoperano affinché questa parlata si mantenga nel tempo e non sparisca. Tra questi, la direttrice della stessa struttura con sede appunto a Susgnevizza, Viviana Brkari?, che abbiamo interpellato per farci spiegare meglio le caratteristiche di questa lingua ad altro rischio di spegnimento, rientrante, come il seianese (di cui ci aveva parlato il prof. Robert Dori?i? nell’intervista da noi pubblicata lo scorso 21 febbraio), nelle lingue istrorumene, di cui il valacco è una delle varianti. Viviana Brkari? ha lavorato, assieme a Robert Dori?i?, al progetto “Salvaguardia delle lingue valacca e seianese”, intervistando sul campo, nei cinque abitati dell’Istria in cui esso ancora si parla, i parlanti originali del valacco. Intento del progetto era documentare la lingua – il valacco nel caso di Brkari? e il seianese in quello di Dori?i? –, rivitalizzarla e tramandarla.
Parlanti in calo
“Oggi il valacco se lo può sentir parlare ancora soltanto in cinque località dell’Istria, rispettivamente a Susgnevizza, a Villanova di Susgnevizza, a Santa Maria del Lago (Jesenovik), a Collalto (Brdo) e a Letaj, tutte facenti parte del Comune di Chersano – ha esordito la nostra interlocutrice, che il valacco lo parla perfettamente da quand’era piccola essendo suo padre originario di Villanova di Susgnevizza, e che è una delle parlanti più giovani (e tra le ultime) che ne fanno uso correttamente –. A invitarci a entrare a far parte del progetto è stata Zvjezdana Vrzi?, docente all’Università di New York, tra le cui specialità ci sono appunto le lingue ad alto rischio di estinzione e la quale lo ha avviato nel 2007 nella Grande Mela, dove attualmente ci sono numerosi parlanti del valacco, tutto discendenti delle famiglie trasferitesi in America in cerca di lavoro e di migliori opportunità di vita durante i grandi cicli migratori avvenuti tra la Prima e la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra. La dott.ssa Vrzi? ha vissuto tra gli Usa e la Croazia ed è stata per lunghi anni docente presso la Facoltà di Filosofia di Fiume. Oggi vive a New York, dove appunto è in contatto con la comunità croata. Una volta conclusi i nostri colloqui con i parlanti dei due idiomi, il collega Dori?i? e io abbiamo effettuato la trascrizione degli stessi e inoltrato il tutto a Zvjezdana Vrzi?, per le necessità delle sue ricerche nel campo della linguistica. È molto curioso il fatto che, secondo una valutazione del 2019, nella Grande Mela oggi vivono circa 250 conoscitori e parlanti del valacco i quali, cosa ancora più interessante, hanno mantenuto il vocabolario e la cadenza originali, molto più che in Istria dove la lingua, nel tempo, ha assunto anche vocaboli di altre lingue e dialetti, quali ad esempio lo sloveno, il ciacavo e il dialetto istroveneto. In Croazia ci sono attualmente circa 200 parlanti attivi, sparsi tra i suddetti cinque abitati (dove in tutto ce ne sono una cinquantina) e alcune città o località croate più grandi quali Pola, Umago, Albona, Fiume, Abbazia, Laurana e altre”.
Obiettivi volti alla tutela dell’idioma
“Uno degli obiettivi del progetto di salvaguardia del valacco e del seianese – ha proseguito Viviana Brkari? –, era sensibilizzare i parlanti, attivi e non, sull’importanza di mantenere questa lingua preservandola da un inesorabile processo di estinzione a cui è soggetta al giorno d’oggi. Uno dei modi per mantenerla consiste nel tramandarla alle giovani generazioni, il che risulta difficilissimo nel contesto in cui viviamo. Infatti, è da circa trent’anni che questa parlata non viene trasmessa in modo naturale ai giovani, fenomeno che, purtroppo, non riguarda soltanto il valacco, ma un po’ tutti i dialetti. Ciò è dovuto, tra l’altro, ai matrimoni misti in cui per motivi di comprensione da parte del partner, si è scelto in famiglia di parlare la lingua standard, trascurando il dialetto, che non viene, di conseguenza, trasmesso ai figli. A lungo andare rischia pertanto di estinguersi del tutto”.
“Un altro motivo per cui non si è insistito, nel tempo, a tramandarlo ai figli è il fatto che spesso in passato, nel momento in cui iniziavano ad andare a scuola, i bambini non conoscevano la lingua standard bensì parlavano soltanto la propria lingua d’origine, una di queste appunto il valacco. Nei primi anni di studio, questi bimbi erano limitati nella comunicazione, per cui i genitori, volendoli rispiarmare da questa difficoltà, iniziarono a mano a mano a parlare con loro la lingua standard, a scapito del dialetto. Personalmente, sono uno dei pochi parlanti attivi del valacco. Da piccola, io non lo sapevo parlare. All’epoca abitavo a Fiume (oggi vivo tra il capoluogo quarnerino e Villanova di Susgnevizza), ma andavo molto spesso in Istria dai nonni paterni (la madre di Viviana Brkari? è originaria di Mune, per cui parlante del ciacavo, nda), dove tutti attorno a me parlavano il valacco, tra parenti e vicini, ma anche tra bambini e ragazzi miei coetanei o più grandi di me, con cui giocavo o socializzavo davanti casa. Mi ritengo un’autodidatta nell’acquisizione del valacco in quanto con mio papà da piccola non lo parlavo, per cui ogniqualvolta mi trovavo a Villanova dai nonni, coglievo l’occasione per ascoltarlo e assimilarlo. Anche perché ero molto curiosa di sentire di che cosa parlassero i grandi. Infatti, quando c’erano cose serie di cui discutere, lo facevano in valacco per non farsi capire da noi bambini. Avevo circa 9 o 10 anni quando ho iniziato a usarlo in modo sciolto. Devo dire, però, che uno dei motivi per cui l’uso di questo idioma, come di altri ad alto rischio di estinzione, si è affievolito nel tempo, è riscontrabile negli stessi parlanti, che spesso tendono a chiudersi nel loro cerchio escludendo coloro che non lo parlano o, nel caso in cui sanno parlarlo, se non hanno la giusta cadenza”.
“Spesso, quando da piccola chiedevo a mia nonna di spiegarmi come si pronuncia una data parola, lei mi diceva: ‘Ma che te farai di questa lingua? Lascia perdere. Studia l’italiano, l’inglese, che ti serviranno di più’. Io, invece, lo ritenevo e lo ritengo una grande ricchezza. Quella di mia nonna, come di altri parlanti naturali, era in un certo senso una specie di imbarazzo nei confronti della lingua standard, che cercavano di insegnare ai propri figli e nipoti per facilitare loro le cose una volta entrati nel mondo scuola, anche per preservarli da potenziali prese in giro e burla. D’altra parte, erano molto severi con chi non pronunciava bene determinate parole. Lo sono tuttora. Non dimenticherò mai quando, durante uno dei laboratori per bambini che stiamo portando avanti nell’ambito del nostro Ecomuseo, e che consiste in spettacolini e canzoncine in valacco, una signora del pubblico a fine rappresentazione, svoltasi tra l’altro nell’ambito della Giornata della lingua valacca, aveva commentato: ‘Ma che razza di pronuncia è?’. Mi ero molto risentita e avevo pensato: ‘Ma come? Invece di supportare gli sforzi profusi per promuovere il valacco, o qualsiasi altra lingua a rischio, loro stessi li scherniscono’. Oggi ci sono sempre meno persone con cui si può parlare in valacco, motivo per cui a Susgnevizza abbiamo dato vita a dei progetti, inizialmente per bimbi d’asilo, volti all’insegnamento di questa lingua ai bambini. Uno di questi s’intitola Pulji?i, che significa storielle, nell’ambito del quale la collega Marina Mikuluš ed io, insegniamo ai piccoli di età prescolare le nozioni di base del valacco”.
“Nell’ambito del nostro Ecomuseo e della SE di Susgnevizza, stiamo portando avanti anche il progetto ‘Salvaguardiamo la nostra lingua e le nostre tradizioni’, in cui teniamo lezioni linguistiche più serie ai bimbi più grandicelli. Devo dire che non è facile, visto che non esiste materiale didattico per l’insegnamento della lingua valacca , ma in qualche modo ce la facciamo preparando da sole le varie lezioni e tentando di arricchire di anno in anno questa nostra specie di banca dati del valacco. Se i bambini, una volta cresciuti, riusciranno a memorizzere almeno 50 parole, sarà già un buon traguardo, e loro con lo scambio generazionale saranno forse gli unici al mondo a conoscerle. Una lingua non può venire assimilata se non la si parla costantemente e anche chi la acquisisce del tutto, se poi non la usa nel tempo, finirà un giorno col non saperla più parlare in modo scorrevole o addirittura col dimenticarla. Per questo è importante che la si promuova e tuteli, anche a livello scolastico. Sarebbe utile poterla introdurre come lingua opzionale nelle scuole che operano nelle sue aree d’origine. Le SE di Susgnevizza e Ceppich (?epi?) sono, al momento, le uniche ad averla come materia opzionale, che si svolge una volta alla settimana”.
Il valacco, un compagno di vita
“Tra le altre iniziative da noi ideate per proteggere e tramandare l’idioma – ha spiegato ancora la nostra interlocutrice –, c’è anche quella relativa alla realizzazione di albi illustrati in valacco, che si rifanno ad alcune delle favole più conosciute. Il progetto si intitola ‘Jo voles vlåška limba’ ovvero ‘Amo la lingua valacca’ vol. 1 e vol. 2. Nell’ambito del progetto ‘Salvaguardia delle lingue valacco e seianese’ abbiamo realizzato un albo illustrato ispirato al noto racconto istriano ‘La volpe e il lupo’, intitolandolo appunto ‘Lisica ši lupu’. Inoltre, abbiamo lavorato sui cartoni animati ‘Bora ši sorele’, che si rifà a ‘Il vento e il sole’ di Esopo. Di quest’ultimo scrittore abbiamo realizzato, inoltre, l’adattamento de ‘Il grillo e la formica’, che in valacco fa ‘?âr?âku ši furniga’, come pure ‘La rana e il bue’, in valacco ‘Žåba ši bovu’ e, infine, la celebre fiaba ‘I tre porcellini’, che in valacco si dice ‘Trei porki?’. Uno dei progetti di tutela del valacco, come di altri dialetti e idiomi istro-quarnerini, portato avanti dall’associazione ‘Spod U?ke’, risale al 2014 e s’intitola ‘L’Istria nascosta’, in cui si è tentato di fondere l’arte cinematografica con la tradizione dei racconti istriani e della ricchezza linguistica di queste aree. Nell’ambito dello stesso, è stato realizzato il film ‘Je letrika ubila štrige’ (L’elettricità ha ucciso le streghe), per la regia del defunto Cristian Kolacio. Il collega Valter Stojši? ed io abbiamo in seguito creato un secondo film (in cui appaiono circa venti parlanti di altrettanti dialetti e lingue che si parlano un po’ in tutta l’Istria e in alcune parti del Quarnero, dal valacco al seianese, dall’istroveneto al ciacavo e a tutte le sue innumerevoli varianti come quelle albonese, giminese, pinguentina, polese, mattugliese, lauranese e via dicendo) con sottotitoli in croato. Il video s’intitola ‘Medižije kontra štrigarije’ (Rimedi contro le stregonerie) e in cui i suddetti interlocutori raccontano in valacco storie di superstizioni, orchi, streghe e quant’altro, per i quali l’Istria è conosciuta e che rappresentano una tradizione di queste aree. Per rendere possibili tutti questi progetti è necessario preparare un progetto con cui richiedere poi dei finanziamenti”.
“Devo dire che il Ministero della Cultura e dei Media ci è sempre venuto incontro accogliendo le nostre proposte e dandoci modo di mettere in pratica quanto ideato. In veste di sponsor non sono mai mancati, inoltre, la Regione istriana e quella litoraneo-montana e il Comune di Chersano. Uno dei progetti, finanziati dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale in collaborazione con il Comune di Chersano e realizzato nell’ambito del programma ‘U?ka 360°’ (Monte Maggiore a 360°), in seno al quale è nato appunto il Centro interpretativo ‘Vlaški puti’, è rappresentato dalla pubblicazione del libricino di ricette tradizionali ‘?e ran munkå?’ ovvero ‘Che cosa mangiamo?’, redatto in tre lingue, valacco, croato e inglese, che viene venduto nel nostro Ecomuseo come souvenir. Il volumetto comprende alcune ricette tipiche delle nostre aree, che io ho raccolto dai racconti di mia nonna, quali ‘Påra de trukinje’ (Pane di mais), ‘Fritåja ku špåruge, panceta ši ålju’ (Omelette con asparagi, pancetta e cipolla novella), ‘Radi? ši kumpir’ (Radicchio e patate), ‘Njoki’ (Gnocchi), ‘Šugo de galjira’ (Sugo di gallina), ‘Maneštra ku krupe’ (Minestra con orzo), ‘Maneštra ku nåpu’ (Minestra di barbabietole), ‘V?rze ku kumpir ši kobasice’ (Verze con salsicce e patate), ‘Šugo de drobu de oje ali de mnje ku pulenta’ (Trippa di agnello o pecora con polenta), ‘Kupuz kise ku kårne de oje’ (Crauti con montone). Uno dei piatti tipici dell’area istro-quarnerina è il radicchio con patate, che mi riporta alla mia infanzia e che una volta si mangiava ogni giorno per cena. Era un’abitudine delle nostre genti in quanto buono, sano, in grado di sfamare e di far stare bene. Come a me fa stare bene lavorare sulla promozione del valacco. Una grande passione, che mi accompagna nel mio cammino di vita”.