Scritto da Lucio Toth
Sulla costa orientale adriatica i primi segni fino ad ora conosciuti di insediamenti umani si registrano già nel paleolitico medio. Ma le prime forme organizzate si hanno nel neolitico antico con la Cultura di Danilo. Essa prende il nome da una località ad est di Sebenico, dove sono stati rinvenuti prodotti di ceramica dipinta a motivi lineari o con decorazioni a meandri e a spirale.
La Cultura di Lèsina viene attribuita invece al neolitico finale e interessa sia l’isola omonima sia altre isole dell’arcipelago dalmato meridionale come Cùrzola e Làgosta, ma con rinvenimenti anche sul continente erzegovese e nel Carso triestino. Nelle caverne di Lèsina (in croato Hvar) è stata individuata una facies culturale caratterizzata da ceramica dipinta in rosso, giallo, grigio e bruno con motivi a spirale, ma anche incisa con reticoli, meandri e triangoli.
Sia nell’un caso che nell’altro sono provati i contatti con insediamenti della costa occidentale adriatica (ad esempio Ripoli nel Teramano). Se le grotte sembrano riservate a scopi rituali la popolazione doveva vivere in capanne ovali o circolari al riparo di ostacoli naturali o fossati, con l’uso di strumenti litici e in osso per l’allevamento, la pesca, l’agricoltura stabile e la caccia tradizionale.
Nell’età del bronzo frequenti sono anche i rapporti con l’hinterland della penisola balcanica, in particolare con la Cultura di Vu?edol, in Slavonia, che interessa una vasta area, dalla Serbia settentrionale alla Slovacchia, alla Boemia meridionale, alla Slovenia, all’Austria e a gran parte della Croazia.
Alla Dalmazia si estese anche, tra il 10° e il 7° secolo, la Cultura del Castellieri, comune al Friuli orientale, al Carso e all’Istria. Essa si sviluppò tra la media età del bronzo e l’età del ferro con centri abitati raccolti su alture naturali o formate da terrapieni artificiali, con cinte fortificate di pietre a secco sovrapposte per diversi metri, interrotte da porte scee e postierle e da torri di avvistamento. Nella fase più antica si avvertono analogie con la cultura padana delle Terremare e con la coeva cultura sub-appenninica, per la produzione di manufatti in ceramica con complessi disegni geometrici. Nell’età del ferro risulta evidente l’influenza della vicina civiltà atestina ad ovest e della civiltà di Hallstatt a nord, con vasi biconici e situle di ceramica e di bronzo. I riti funerari passano dalle tombe a tumulo per l’inumazione alle urne di varie forme per l’incinerazione.
I castellieri si possono già considerare insediamenti urbani fortificati ed economicamente autosufficienti per le risorse agricole e pastorali del piccolo territorio che li circonda. All’interno della cinta muraria tra le costruzioni adibite ad uso familiare si rinviene uno spazio pubblico con un edificio più grande, del tipo “mègaron” delle prime città greche, come luogo dedicato a riti propiziatori e alle adunanze del consiglio degli anziani. Fuori delle mura sono state rinvenute le necropoli.
Molto intense risultano le relazioni commerciali con le popolazioni della costa italica ed anche con le isole ionie e le città dell’Egeo già in epoca micenea. Prodotti di questa civiltà sono frequenti nelle necropoli dalmate e istriane, a dimostrazione del prestigio che essi attribuivano alle famiglie più agiate dell’aristocrazia locale.
Un’altra testimonianza archeologica è la nota Stele di Novilara (IX sec.a.C.), rinvenuta sulle alture costiere tra Pesaro e Fano, che rappresenta con primitiva ma elegante efficacia un combattimento navale. Il suo stile richiama sia le stele daune che quelle di Nesazio, oppidum degli Istri nei pressi di Pola. Essa è certamente picena, ma rappresenta linguisticamente una fase preindoeuropea.
All’età del ferro risalgono le prime notizie storiche sull’arrivo nella regione delle popolazioni illiriche, che si diffondono dall’Istria all’Epiro, sulla costa adriatico-ionica, e nelle Puglie (Dauni a nord, Iapigi e Peucezi al centro, Messapi nella penisola salentina).
Sulla costa orientale gli Illiri sono conosciuti come Giapodi tra il Quarnaro e le Alpi Bebie, come Dalmati o Delmati nella Dalmazia centrale, Dardani a sud, tra l’attuale Albania e il Kossovo. Non per niente kossovari e albanesi di oggi si reputano gli unici discendenti legittimi degli Illiri di allora, rivendicando il carattere illirico della loro lingua.
Non del tutto accertata è l’origine dei Liburni, che occupavano la costa da Tarsatica (Fiume) a Jadera (Zara). I più li ritengono illiri, ma la loro condotta storica, spesso in urto con i vicini Giapodi, Istri e Dalmati, potrebbero suggerire origini più lontane, forse pre-indoeuropee. Gli stessi Istri del resto presentano caratteristiche culturali, linguistiche e di organizzazione politica prossime ai paleo-veneti, la cui eventuale illiricità non è mai stata esclusa.
Alle migrazioni illiriche si può riferire la stessa civiltà dei castellieri, di cui si è parlato, per lo meno nella sua ultima fase.. Ma non sempre ai reperti archeologici corrispondono le fonti linguistiche.
Osserva ad esempio Giacomo Devoto che sul piano archeologico una prima fase della civiltà italica si rinviene a Teramo e ad Atri. Ma “ai fini linguistici e storico-culturali essa deve essere stata preceduta da una fase dinamica, nella quale tribù sbarcate sulle coste adriatiche si sono inoltrate, spontaneamente o sospinte verso l’interno, raggiungendo il cuore dell’Appennino…”(“Gli antichi italici” – Vallecchi, Firenze 1967, pagg. 90-91) –
Da alcuni studiosi si attribuiscono così origini illiriche anche ai Piceni sulla costa occidentale adriatica (tra il Foglia e il Pescara), che avrebbero abbandonato la loro lingua originale per adottare un idioma italico ed essere quindi ricompresi tra gli Italici in epoca storica.
E’ singolare che le tavole eugubine (III secolo a.C. ma risalenti a molto prima) nominano tra i nemici degli Umbri, sicuramente italici, gli Etruschi e i Giapodi. Erano questi ultimi i pirati di oltremare o addirittura gli insediamenti illirici sulla costa occidentale della penisola?
Gli Illiri erano una popolazione di lingua indo-europea divisa in vari gruppi. La vasta estensione geografica, dalla penisola italica alle pianure danubiane, e la conseguente indeterminatezza dei suoi caratteri identitari hanno creato intorno a questo termine un alone non privo di connotati mitici, con inevitabili pretese di interpretazioni antropologiche ed etniche spesso arbitrarie sul piano scientifico, più adatte a strumentalizzazioni politiche, tipiche delle ideologie ottocentesche e del primo Novecento, che a ricostruzioni linguistiche e culturali ancorate alla realtà dei dati empirici.
Già il nome, Illirio, nasce nella mitologia greca, come figlio di Cadmo e Armonia, che avrebbero trovato rifugio nel Sinus Rhizonicus, attuali Bocche di Cattaro (Boka Kotorska). Fondatore di una dinastia regale, avrebbe sottomesso le popolazioni barbariche della costa dalmata meridionale.
Alcune ipotesi del mito degli Argonauti collocano il Chersoneso d’Oro anziché in Crimea, sulle rive del Mar Nero, nell’isola di Cherso nell’arcipelago dalmato settentrionale, data l’assonanza dei nomi e la quasi certa origine greca del toponimo (?????? = arido, asciutto). Absirtidi del resto erano chiamate le isole del Golfo del Quarnaro. Secondo questa versione Medea, figlia del re della Còlchide (Mar Nero) fuggendo con Giasone lungo l’Istro – antico nome del Danubio – e risalendo quindi la Sava, avrebbe raggiunto l’Adriatico nei pressi del Quarnaro trascinando le navi per i valichi alpini. Qui lo sorpresero – secondo il mito – i guerrieri del fratello Absirto mandati dal re ad inseguirlo. Aiutato da Medea, Giasone lo uccise a tradimento disperdendone le membra nel mare che bagna le isole del golfo quarnerino, che perciò avrebbero preso il nome storico di Absirtidi (?????????).