La politica adriatica di De Michelis

Le origini veneziane del recentemente scomparso Gianni De Michelis hanno sicuramente contribuito a costruire la proiezione adriatica della politica italiana nel periodo in cui è stato Ministro degli Affari Esteri (1989-1992). Trovatosi ad affrontare dalla Farnesina la tormentata stagione della dissoluzione della Jugoslavia, mentre in Italia il suo partito veniva travolto dalle inchieste di Tangentopoli, De Michelis ebbe il merito di avere consapevolezza che in quelle terre attraversate da un conflitto che andava delineandosi sempre più cruento esistevano comunità di connazionali, residuo di una presenza italiana plurisecolare.

Avere intrattenuto rapporti assidui con i vertici dell’Unione Italiana in quel periodo gli valsero accuse di neo-irredentismo, laddove la sua intenzione era quella di preservare l’integrità della Jugoslavia di fronte alle pressioni della Germania riunificata e del Vaticano che insistevano per il riconoscimento dell’indipendenza della Slovenia e della Croazia. Il suo impegno fece sì che le due nuove repubbliche indipendenti ammettessero istituzionalmente la presenza dell’autoctonia italiana in Istria, Carnaro e Dalmazia, impegnandosi ad assicurare adeguate forme di rappresentanza e di tutela.

Medesima sensibilità ebbe nei confronti dei contenziosi ancora aperti inerenti i beni abbandonati ed i diritti negati degli esuli istriani, fiumani e dalmati, supportato nella sua azione dalla competenza e dalla autorevolezza del senatore triestino Arduino Agnelli. Parliamo di  esponenti di quel socialismo tricolore craxiano che, al netto degli scandali emersi dalle indagini dei primi anni Novanta, fornì una classe dirigente capace di avere cognizione dell’interesse nazionale in politica estera e di operare con senso dello Stato, anche a beneficio dei giuliano-dalmati.

 

Lorenzo Salimbeni