La guerra alla Casa rossa tra carri armati incendiati

Scritto da Franco Femia, «Il Piccolo», 25/06/11
La guerra in casa: era stata definita così 20 anni fa la battaglia del 28 giugno al valico della Casa rossa quando gli sloveni attaccarono i tre panzer serbi che presidiavano il confine. Era un venerdì sera e i goriziani assiepati sui camminamenti del castello osservavano con curiosità ma anche distacco – non fa parte del loro dna appassionarsi a qualcosa – quei bagliori di fiamme che si levavano dai carri armati colpiti dalle bombe e dalle molotov slovene. E dentro i giovani soldati morivano atrocemente. Quei militari di leva, che giungevano da vari parti della Jugoslavia, erano stati ingannati dai loro comandanti: bisogna andare a difendere i confini da una possibile aggressione dell’Italia. Lo avevano confidato i sopravvissuti, che erano stati raccolti in una sorta di prigione ricavata nella scuola di Salcano. Rimasero pochi giorni. Vennero le loro madri, con due corriere partite da Belgrado a riprenderli e a portarseli a casa.
Durò pochi giorni la battaglia dei confini. Il tempo di riprendere il 29 giugno il valico internazionale di Sant’Andrea, ceduto dall’esercito federale senza sparare un colpo dopo un’intera giornata di trattative. Belgrado capì subito che la Slovenia era troppo lontana per poterla difenderla nè poteva scatenare la guerra etnica come avrebbe poi fatto in Croazia e in Bosnia. Prima della resa ci fu il tempo di vedere un Mig serbo passare a bassa quota sulla nostra città, di assistere alla fuga di un soldato serbo riparatosi in una casa alla Casa rossa e subito restituito agli sloveni, provare la paura di una pallottola vagante finita contro la vetrata di una pizzeria a due passi da confine. Gorizia visse giorni di grande intensità: tornava a essere la soglia di chi voleva recarsi a Lubiana, politici in primis. Arrivò anche Bossi per inneggiare alla libera Slovenia.