La Corte Costituzionale albanese sospende l’accordo Rama-Meloni

Con una decisione lampo, la Corte Costituzionale albanese ha sospeso la ratifica del protocollo sul trasferimento dei migranti stipulato tra il premier Edi Rama e l’omologa italiana Giorgia Meloni del 6 novembre scorso. La procedura di ratifica, prevista per giovedì 14 dicembre, era stata inserita nell’agenda del parlamento con procedura accelerata dalla maggioranza socialista al governo.

Nell’esame preliminare, i tre giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto ammissibile  il ricorso presentato dall’opposizione di centro destra, sottoponendo il caso alla decisione della seduta plenaria prevista per il 18 gennaio prossimo. La Corte dovrà pronunciare la decisione finale entro tre mesi dalla data di presentazione del ricorso, ossia entro il 6 marzo 2024.

Immediate sono state le reazioni dei due schieramenti politici contrapposti. Mentre gli esponenti del Partito Socialista hanno ribadito il rispetto di tutte le procedure vigenti per la stipula dell’accordo, l’opposizione ha esultato per la parziale vittoria. 

Al suo rientro dal summit Ue-Balcani Occidentali, il premier Rama ha tagliato corto sulla questione durante la conferenza stampa  . “È un diritto della Corte Costituzionale […] quello di esaminare un accordo con uno stato estero. Non ho nulla da aggiungere riguardo ai miei compiti”.

Fronte comune contro l’accordo 

28 deputati della frazione “Rifondazione” del Partito Democratico (PD), guidata dall’ex premier Sali Berisha, e due del Partito della Libertà dell’ex presidente Ilir Meta hanno presentato il 6 dicembre scorso un ricorso per incostituzionalità del protocollo bilaterale sul trasferimento dei migranti. 

Il gruppo di deputati sostiene che non sia stata rispettata la procedura per la negoziazione e la stipula dell’accordo, in quanto il suo oggetto rientra nelle categorie di accordi che necessitano dell’autorizzazione preventiva del Presidente della Repubblica. 

Oltre alla questione della cessazione temporanea della sovranità territoriale del Porto di Shëngjin e dell’area di Gjadër all’Italia (dove era previsto che arrivassero i migranti), i ricorrenti evidenziano una violazione di almeno due articoli della Costituzione, rispettivamente l’Art. 16 sul principio di uguaglianza tra i cittadini stranieri presenti in Albania e i cittadini albanesi, e l’Art. 27 sulla limitazione ingiusta delle libertà personali, considerato che i migranti verranno detenuti in un’area confinata per un periodo fino a 18 mesi senza un giusto motivo. 

“Abbiamo intentato la causa per proteggere gli interessi dei cittadini. Non si può decidere il destino del nostro Paese violando i diritti umani. Siamo grati al popolo italiano, ma questo non lo riguarda”, ha dichiarato  per i media Lindita Metaliaj, deputata del PD.

Nel suo comunicato stampa, la Corte Costituzionale ha ribadito che i ricorrenti hanno presentato tre richieste consecutive per la sospensione della procedura di ratifica parlamentare dell’accordo.

Nella mattina del 6 dicembre scorso, oltre al ricorso di Rifondazione, è stato presentato anche un secondo ricorso da parte della frazione moderata che rappresenta ufficialmente il Partito Democratico, guidata da Lulzim Basha. 

In un comunicato stampa, il vicepresidente Kreshnik Çollaku ha dichiarato  che “l’accordo [con l’Italia] è stato annunciato in modo strano, senza preavviso, suscitando una logica reazione di preoccupazione, e diventando oggetto di profondo dibattito pubblico sia in [Albania] che in Italia”, ed ha precisato: “In Albania c’è stata mancanza di trasparenza da parte del primo ministro. Rama è riuscito più volte a nascondersi sfruttando il caos parlamentare, evitando il dibattito pubblico”. 

I moderati del PD chiedono alla Corte Costituzionale la dichiarazione di incostituzionalità dell’accordo Rama-Meloni, la sospensione della procedura di ratifica in parlamento e la sua incompatibilità con gli Art. 3, 4 e 7 della Costituzione albanese.

Uno dei primi “effetti” dell’accordo sui migranti è stato quello di placare lo scontro tra le due frazioni del PD, profondamente diviso e frammentato negli ultimi due anni.

La maggioranza compatta 

L’opposizione ha tentato in diversi modi di bloccare i lavori delle commissioni parlamentari nelle quali era prevista l’approvazione in prima lettura dell’accordo con l’Italia. Per contrastare le resistenze, le commissioni parlamentari si sono riunite online approvando l’accordo con i soli voti della maggioranza.

Nel suo intervento il ministro degli Interni Taulant Balla ha sottolineato  che attraverso il protocollo si mette a disposizione del governo italiano una superficie di territorio per la realizzazione delle strutture ospitanti degli immigrati irregolari. “Non si tratta di alcuna forma di cessione dei territori, poiché restano territori della Repubblica d’Albania, ma concediamo il diritto all’uso temporaneo di una superficie precedentemente determinata nell’accordo”.

Dal canto suo il presidente della commissione sicurezza Nasip Naço ha definito le reazioni dell’opposizione come tentativi di protagonismo personale da parte di coloro che hanno perso il senso della politica.

In seguito alla sospensione dell’accordo, il presidente del gruppo parlamentare socialista, Bledar Çuçi, ha dichiarato  che la maggioranza attuerà ogni decisione della Corte Costituzionale, ritenendo che l’accordo sia molto importante “per dimostrare che siamo un paese europeo”.

Nel corso delle ultime settimane, il premier Rama ha affrontato la questione dell’intesa con l’Italia in diverse occasioni, ribadendo la tesi della solidarietà, seppur riconoscendo il  contributo limitato che l’Albania può fornire alla sfida migratoria con cui si sta scontrando l’Ue.  

“L’Albania non può essere la soluzione per risolvere questo problema, ma possiamo dare un aiuto”, ha sottolineato Rama  in una intervista per i media albanesi. “Accettando l’accordo agiamo semplicemente come un paese europeo che condivide questa preoccupazione. Sotto l’aspetto politico, aumenta la reputazione dell’Albania”. 

Le reazioni della società civile

Diversi attivisti della società civile hanno condiviso pubblicamente il proprio scetticismo sull’attuazione pratica dell’accordo, ribadendo la tendenza diffusa tra i paesi Ue di voler esternalizzare le questioni migratorie a scapito del rispetto dei diritti umani. Si teme che la costruzione di due centri nella provincia di Lezha possa avere una ricaduta negativa sul turismo, oltre che un potenziale serio problema per la sicurezza nazionale. 

Un’alleanza di 29 organizzazioni non governative ha rivolto una lettera aperta  al governo domandando il suo ritiro dall’accordo con l’Italia. Le organizzazioni esprimono la loro preoccupazione per la mancanza di trasparenza e di consultazioni con i gruppi di interesse.

Nei primi giorni successivi all’annuncio dell’accordo, hanno avuto luogo alcune sporadiche proteste civiche a bassa partecipazione a Lezha e a Tirana. A favore dell’organizzazione di proteste nazionali si è inizialmente espresso anche il leader di Rifondazione Berisha, obbligato poi a fare dietrofront in seguito alla chiamata del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. 

Voci fuori dal coro

Con un effetto a sorpresa, dei 7 comuni guidati dal centro destra, due sindaci – uno del comune di Fushë Arrëz nel nord e l’altro di Memaliaj nel sud del paese – hanno chiesto pubblicamente al premier di ospitare un determinato numero di migranti negli spazi a messi a disposizione nei rispettivi comuni, come previsto dall’intesa con il governo italiano. 

“È il momento di mostrare la nostra ospitalità, basata sull’esperienza e sull’ospitalità che noi immigrati stessi abbiamo trovato da molti anni nei paesi europei”, ha ribadito Albert Malaj  , sindaco di Memaliaj, nella sua lettera aperta.

Gentiola Madhi
Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 15/12/2023