Italiani d’Istria e Dalmazia, nostri fratelli

Erano lì da secoli di storia e a un certo punto abbandonarono tutto ciò che possedevano per ritrovarsi nella misera condizione di profughi

Ormai sono solo poche migliaia (anche se i loro figli e i figli dei figli conservano una memoria che non svanisce) ma tanti anni fa, nel 1947 erano la bellezza di 350 mila. 350 mila italiani d’Istria e Dalmazia da generazioni — quindi non trasferitisi a Zara o a Pola o ad Abbazia perché istigati dal duce, che anzi fu la causa prima della loro rovina, ma messi lì da secoli di storia — i quali a un certo punto abbandonarono tutto ciò che possedevano per ritrovarsi nella misera condizione di profughi.

Protagonisti di un esodo che ogni 10 di febbraio finalmente ricordiamo, e destinati poi ad essere ospitati per anni qua e là nella Penisola dalla micragnosa e svogliata carità della loro patria. Nessuno certo li costrinse con la forza. Semplicemente non se la sentirono di vivere sotto il governo del Maresciallo Tito dopo aver assistito alla feroce caccia all’uomo da parte dei suoi partigiani; dopo aver assistito alle orripilanti esecuzioni nelle foibe di molti italiani, fossero pure fascisti; dopo aver saggiato il clima di persecuzione dei nuovi padroni verso qualunque cosa sapesse d’Italia.

Se oggi fosse chiesto a un gruppo di nostri concittadini chi nei loro panni a quel tempo avrebbe fatto una scelta diversa di sicuro non vedremmo alzarsi molte mani. Eppure nel 1947 in tanti, accecati dall’ideologia, accolsero quei profughi con disprezzo e dileggio trattandoli da venduti, da nemici del popolo quelli che invece erano proprio null’altro che un popolo, un popolo di reietti strappati dalla loro cultura. In Italia, dopo l’odio e lo scherno dovettero sopportare anche la simpatia fin troppo interessata di chi li adoperò per assurdi confronti, di chi li voleva vittime di un qualche olocausto. Loro che invece erano solo degli italiani, solo per questo costretti a lasciare la loro terra. Che erano — si sarebbe detto un tempo senza vergogna — solo dei nostri fratelli.

Ernesto Galli della Loggia
Fonte: Corriere della Sera – 07/02/2022