Scritto da Coordinamento Adriatico, 30/09/09
Segnalato più volte all’Accademia di Svezia come candidato al Nobel per la letteratura, vincitore di diversi premi (tra gli altri quello internazionale Viareggio-Versilia nel 2008), Boris Pahor ha concesso un’intervista – pubblicata mercoledì 30 settembre a pagina 38 del «Corriere della Sera» – a Isabella Bossi-Fedrigotti. L’occasione coincide almeno parzialmente con la prossima uscita, il 7 ottobre di quest’anno, di due nuove opere di Pahor: Tre volte no per Rizzoli e Una primavera difficile, per i tipi di Zandonai. La prima è una lunga memoria, stesa in forma di intervista a Mila Orlic, relativa alla sua opposizione a fascismo, nazismo e comunismo. Con Una primavera difficile, invece, l’autore ci conduce nelle pagine di un romanzo dove si narra di un suo alter ego sopravvissuto al lager e alle prese con il ritorno a una quotidianità fisica e sentimentale.
Pahor, nato nel 1913 a Trieste, allora importante scalo portuale dell’Austria-Ungheria, è stato partigiano durante la Seconda guerra mondiale e ha subito la deportazione nei lager nazisti. Quando Isabella Bossi-Fedrigotti gli ha personalmente domandato le ragioni della tardiva scoperta da parte italiana della sua opera di scrittore, Pahor ne ha rintracciato le motivazioni all’interno delle questioni stesse legate ai temi oggetto dei suoi libri: «A causa delle cose che scrivo, naturalmente, che ancora oggi non si vogliono conoscere e riconoscere realmente» – Ha commentato. «Di come, per esempio, il nazionalismo italiano abbia vessato e oppresso la minoranza slovena, non solo durante il fascismo ma anche negli anni che lo hanno preceduto, subito dopo la Grande Guerra. […] Arresti, botte e condanne a morte erano all’ordine del giorno, eppure il mito degli italiani brava gente è sempre vivo e caso mai si parla delle foibe, mai di quello che è toccato a noi.»
I racconti e i romanzi di Pahor, in larga misura autobiografici, si rapportano in un complesso gioco di specchi e rimandi con le sue esperienze di vita. In seguito alla pubblicazione de Il Petalo giallo, da parte di Nicolodi nel 2004 – pur dopo circa quarant’anni dalla sua stesura – sono stati tradotti nel nostro paese Il rogo nel porto, Necropoli – grandissimo successo di critica e di pubblico e Qui è proibito parlare. Di quest’ultimo apparirà anche la recensione di Marta Moretti per la prossima uscita trimestrale di «Coordinamento Adriatico».