In una monografia la figura e l’opera di Diego de Castro

Scritto da Pietro Spirito, «Il Piccolo», 28/11/10

Diego de Castro era uno di quegli uomini dall’apparenza immortale. Nato a Pirano nel 1907, morto a Roletto, in provincia di Torino, nel 2003 all’età di 93 anni (ma è sepolto a Pirano), aveva attraversato il Novecento da un capo all’altro come protagonista, testimone e interprete dei grandi eventi di questa marca di confine. Dalla prima guerra mondiale fino alle guerre balcaniche de Castro c’è sempre stato, giovane testimone prima, maturo protagonista e acuto esegeta poi, con un ruolo centrale nelle vicende del secondo dopoguerra. Un navigatore del tempo, come solo il secolo breve sembra aver forgiato, che ha lasciato una traccia profonda nella storia e nella cultura di queste terre. Discendente di una delle più antiche e nobili famiglie di Pirano, studioso e docente di statistica, a Trieste de Castro è ricordato soprattutto per la sua attività rappresentante diplomatico dell’Italia presso il Governo militare alleato e di consigliere politico del comandante della Zona anglo-americana fra il ’52 al ’54. Oltre che per le sue opere, prima fra tutte il monumentale e fondamentale La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, pubblicato nel 1981, lo stesso anno in cui Trieste gli conferì il San Giusto d’oro.

Con l’ironia e l’autoironia che lo caratterizzavano, da esperto di satitistica, in un’intervista a Paolo Rumiz de Castro riassunse così la sua biografia: «Diecimila ore di lezione, quarantamila studenti, milleottocento articoli, più di una trentina di libri, alcuni monumentali. E poi, tre miliardi e rotti di pulsazioni. Un battito al centimetro, l’elettrocardiogramma farebbe il giro del mondo. Non è fantastico?».

In realtà la sua vita e la sua opera furono più complesse di un resconto numerico, e la sua lezione – quanto mai attuale – rimane quella tratteggiata in poche righe da Giampaolo Valdevit: «Colmare i fossati, ridurre le tensioni, saper unire per poter costruire», in una visione del bene comune che andava al di là di ogni partitismo e di ogni ideologia.
Le citazioni di Rumiz e Valdevit sono tratte dalla monografia, Diego de Castro (Daniela Piazza Editore, pagg. 303, euro 17,00), a cura di Rosanna Panelli, volume realizzato con il contributo della Fondazione ”Franca e Diego de Castro”, e che vuole ricordare la figura dell’illustre piranese, spiegano alla Fondazione, «come professore ordinario di Statistica della vecchia Facoltà di Economia e Commercio di Torino, e nella fattispecie le sue attività di pubblicista, tutta volta ad osservare e a commentare la realtà socio-economica italiana e triestina in particolare, di diplomatico e di storico negli anni ’40 e ’50, all’epoca del cosiddetto “problema di Trieste”».

Il libro sarà presentato martedì, alle 17, nell’aula magna dell’Università di Torino nel corso di una cerimonia presieduta dal prorettore dell’ateneo piemontese Sergio Roda. Il volume contiene una breve selezione degli articoli da lui pubblicati nel periodo 1948–2002, sui giornali «La Stampa» di Torino e «Il Piccolo» di Trieste, insieme a venticinque brevi contributi di chi l’aveva conosciuto, da una lettera di Alcide De Gasperi, suo grande maestro, a un ricordo di Claudio Magris […], oltre a familiari, storici, politici, amici, tra i quali Almerigo Apollonio, Corrado Belci, Marino Vocci, Italo Gabrielli, Kristjan Knez, la figlia Silvia, il nipote Alessandro Costanzo, don Domenico Osella.

Il libro, però, non è soltanto dedicatorio. Anzi, al di là dei suoi articoli riprodotti (più di trenta, a coprire un arco temporale che va dagli anni Quaranta al 2002) i diversi contributi permettono di tratteggiare a tutto tondo la figura di de Castro, fra dimensione pubblica e privata, dimostrando fra l’altro quanto pubblico e privato abbiano sempre coinciso nella vita dello studioso, diplomatico e storico. La monografia insiste sulla sua attività scientifica e didattica nel campo della statistica, ma certo è la figura complessiva del De Castro diplomatico e storico quella che esce con maggior vigore.

Anche perché, dotato di una memoria formidabile, fu lo stesso de Castro a fare di se stesso un archivio vivente, un archivio sempre aggiornato grazie alla sua capacità di mettersi in discussione, di riconoscere i limiti interpretativi del tempo, quando il giudizio dei fatti risente delle temperie del momento. Punto focale del suo impegno fu “la questione di Treste”: il destino della città, le relazioni tra italiani e slavi, gli appetiti della politica, i drammi della storia. Istriano che nella sua terra d’origine aveva perduto ogni bene, ricorda Knez, «non aveva rancori per nessuno, e a differenza di molti non accusava i connazionali “rimasti” di connivenza con il comunismo, anzi, in più occasioni aveva manifestato preoccupazione per la sorte degli italiani in Jugoslavia». Dopo aver partecipato come rappresentate del govenro di italiano alla preparazione del trattato di pace, nel 1952 accettò il difficilissimo incarico di rappresentante diplomatico dell’Italia presso il Gma. Lui, istriano che aveva perduto la sua terra, doveva fare da mediatore fra un governo militare insediato dalle Nazioni Unite nella città contesa fra Italia e Jugoslavia e il governo di quella stessa Italia uscita per altro sconfitta dalla guerra. Un ruolo, viene ricordato nel libro, che altri diplomatici rifiutarono consci di rischiare la carriera e forse anche qualcos’altro.

De Castro invece accettò, impegnandosi senza risparmio, guidato sempre non da logiche politiche quanto piuttosto, come nota Apollonio, dalle esigenze culturali ed esistenziali delle genti giuliane e istriane. A muoverlo, da studioso indipendente e al di sopra dei partiti, il bisogno di conoscere le ragioni che muovono la Storia e, oltre, i fondamenti dell’agire umano e del senso di questo agire, analizzando il passato ma guardando sempre al futuro, in un continuo interrogarsi intorno all’uomo. Tanto che, come riporta la figlia Silvia nel suo ricordo, durante i funerali, davanti alla bara di de Castro, il sacerdote Domenica Osella che ben lo conosceva non poté fare a meno di commentare: «Adesso può fare al Signore tutte le domande che vuole».