Scritto da Paolo Valentino, «Il Corriere della Sera», 24/12/14
mercoledì 24 dicembre 2014
C’è Adolf Hitler in maniche di camicia, che sul suo treno personale discetta di strategie e musica di Wagner con un amico di famiglia dell`autore. E c`è Enrico Berlinguer, che ringrazia quest`ultimo per avergli suggerito lo slogan di una campagna elettorale. C`è Bettino Craxi, che l`ha giurata al giornalista del «Messaggero» per un`intervista troppo impertinente, gliela fa anche pagare, ma involontariamente gli fa il favore della vita. E c`è Carlo De Benedetti, che approda a Bruxelles da grande condottiero, ma fallisce l`assalto alla Societé Genérale per un`ingenuità da principiante. Ma soprattutto ci sono la passione per la Storia, il gusto per il dettaglio della memoria, l`ansia di cercare nella biografia di famiglia le ragioni di scelte controverse e non ultimo l`amore per il mestiere di giornalista, lavoro che Romano Dapas ha fatto per quasi mezzo secolo al quotidiano della capitale. E un libro molto intimo e personale Il trenino dì legno, pubblicato da Manni (pagine 184, €16), nel quale Dapas ripercorre il film della sua vita, dall`infanzia alla cassa integrazione, riuscendo però con eleganza e intelligenza a farne una microstoria d`Italia, dagli anni Quaranta al Dopoguerra della Prima Repubblica.
L`autore è uomo di confine, figlio di esuli dall`Istria, che nel vortice che porta all`annessione alla Jugoslavia, vivono le contraddizioni e le dolorose scelte di campo che spaccano il Paese, lacerando amicizie e famiglie. E forse è proprio l`aver vissuto in prima persona quelle che Paul Klee chiamava le harte Wendungen, le svolte brusche del secolo breve, che offre a Dapas non solo un tormento, ma anche il privilegio di un punto di vista originale. L`ossessione di fondo, tanto più urticante per l`uomo di sinistra, simpatizzante del Pci che Dapas non ha mai nascosto di essere, è la scelta del padre, Anco Marzio Dapas, ufficiale dell`esercito regio, comandante di uno squadrone del Piemonte Reale Cavalleria, che l`8 settembre 1943 sceglie di stare dalla parte di Salò. L`autore ricostruisce la decisione paterna senza indulgenze, ma anche senza pregiudizi ideologici o condanne sommarie. Una delle pagine più belle del libro è l`appassionata discussione tra Anco Marzio e i due grandi amici della sua vita, Corrado Corradi e Roberto Risso, anche loro ufficiali di cavalleria.
Il primo, inflessibile nel ripudiare il fascismo fin dall`entrata in guerra, sceglierà Badoglio, la Resistenza e i partigiani. Risso, intriso di cultura tedesca, fu lui a conversare a lungo con Hitler durante l`offensiva in Jugoslavia nel 1941, starà al fianco della Germania, in nome dell`onore, per evitare che l`Italia reciti ancora una volta, unica in Europa, il suo «tradizionale ruolo storico di voltagabbana». Con motivazioni meno nette e, come ammette il figlio, più pragmatiche, Anco Marzio lo imiterà. Ma prima di lasciarsi, i «tre moschettieri» sottoscrivono l`impegno molto solenne, di aiutarsi reciprocamente se uno di loro si fosse trovato in difficoltà per motivi politici. Oltre la guerra civile, oltre l`odio ideologico, restava l`amicizia. Il patto funzionò e, come apprendiamo dal libro, forse salvò la vita all`autore e ai suoi familiari. La seconda parte de Il trenino di legno – il giocattolo d`infanzia che, come lo slittino Rosebud di Orson Welles in Citizen Kane, segna il ricordo del protagonista – è tutta dedicata alla vicenda professionale di Dapas al «Messaggero». Una folla di ritratti quasi impressionistici, da Moro a Berlinguer, che con bravura e forse con qualche comprensibile eccesso di nostalgia, ci fanno rivivere una stagione della politica decisiva per la Storia d`Italia.