Il 10 novembre 1975 il Trattato di Osimo definiva in maniera internazionalmente riconosciuta il confine italo-jugoslavo: sostanzialmente l’Italia rinunciava alla sovranità che ancora formalmente deteneva sulla Zona B (distretti di Capodistria e di Buie fino al fiume Quieto) del mai costituito Territorio Libero di Trieste.
Nel quarantennale della firma di tale Trattato Coordinamento Adriatico APS ha organizzato un convegno di cui poi sono stati pubblicati gli atti nel volume a cura di Davide Lo Presti e Davide Rossi Quarant’anni da Osimo (Wolters Kluwer, Milano 2018, 268 pp.).
Pubblichiamo alcuni brani del saggio del Prof. Giuseppe Parlato “Dal Memorandum del 1954 a Osimo”.
*
A luglio [1974], per cercare di risolvere la crisi, il governo italiano attivò il canale segreto, A questo punto, l’ambasciatore Milesi Ferretti fu sostituito da Eugenio Carbone, Direttore generale del Ministero dell’industria, che si sarebbe confrontato con Boris Snuderl, presidente del Comitato federale per i rapporti economici. Carbone, personaggio controverso e discusso successivamente per la sua appartenenza alla loggia P2 di Licio Gelli, divenne quindi l’eminenza grigia delle trattative e il vero artefice del Trattato di Osimo. Al di fuori delle luci della ufficialità, Carbone riuscì a portare a conclusione la trattativa, cedendo su tutte, o quasi, le richieste jugoslave: l’irrigidimento di Belgrado aveva sortito i suoi effetti. […]
La novità apportata dal canale segreto era la zona industriale alle spalle di Trieste, allo scopo di realizzare un polmone economico alla città, favorendo il porto giuliano anziché quelli di Capodistria o di Fiume. Si trattava dell’elemento centrale e decisivo per “convincere” buona parte degli ambienti ostili all’accordo con Belgrado: se il problema di Trieste era quello di rischiare lo strangolamento dal punto di vista economico da parte della Jugoslavia, la soluzione di Carbone sembrava risolvere il problema perché la città giuliana avrebbe avuto ugualmente un retroterra utilissimo per il porto. Ma nel corso delle trattative, la proposta fu completamente stravolta e la zona industriale fu individuata nel Carso: essa avrebbe rappresentato un ulteriore vincolo per la città, limitandone ulteriormente l’operatività economica e non avrebbe avuto alcun vantaggio per il porto; essa, inoltre, sarebbe potuta diventare una base per la penetrazione jugoslava nella provincia di Trieste. […]
L’accordo fu firmato segretamente da Carbone e Snuderl solo il 6 agosto 1975. Un mese più tardi, l’11 settembre 1975, il plenipotenziario Camillo Giuriati, che dirigeva la delegazione italiana alla Commissione mista italo-jugoslava per i problemi di confine, sentitosi scavalcato dall’iniziativa riservata di Moro in favore di Carbone, si dimetteva per protesta dall’incarico. Gli accordi, resi noti a Gran Bretagna, Usa e Francia a settembre, furono presentati al Parlamento da Moro e da Rumor il 1° ottobre 1975. Il Movimento sociale italiano – Destra nazionale accese il dibattito sia alla Camera che al Senato, mentre Rumor affermò che era doveroso ratificare il Trattato per adeguare la prassi alla norma: si trattava di rendere formale ciò che già era definitivo. […]
Il 10 novembre 1975, a Osimo, l’accordo fu firmato poco solennemente, in una cittadina blindata e quasi alla chetichella, da Rumor e da Minic, i due ministri degli esteri. Ma per la ratifica si dovette attendere ancora più di un anno. L’iter fu particolarmente lungo: la ratifica alla Camera avvenne il 17 dicembre 1976, mentre quella al Senato fu approvata il 24 febbraio 1977. La ratifica formale dello Stato italiano, con relativa legge (n. 73/77) avvenne il 14 marzo 1977. […]
In effetti, a vederne gli esiti (a cominciare dalla zona industriale di Trieste che, per fortuna, non decollò mai) il bilancio del Trattato di Osimo non può dirsi positivo. Esso non servì a tutelare meglio la comunità italiana oltreconfine, come dimostrò la vicenda di Borme, defenestrato dai comunisti croati poco prima della stipula del Trattato; non servì a migliorare la situazione economica di Trieste, la quale continuò ad essere assistita e a soffrire del confine troppo stretto per i commerci portuali; non servì neppure a definire il contenzioso con Belgrado perché se il confine era già definito con il Memorandum d’Intesa (e lo era solo perché l’Italia non volle o non seppe rivendicare subito i propri diritti e non attendere oltre un ventennio), allora non si comprende perché si sia dovuto formalizzare ciò che era già acquisito. Infine, non servì neppure a puntellare il regime del Maresciallo Tito: la Jugoslavia, infatti, implose subito dopo la sua scomparsa.
Giuseppe Parlato