Martedì 12 luglio l’aula del Senato ha vissuto un momento di partecipazione bipartisan al momento del voto del ddl sul ripristino della festività nazionale del 4 novembre come Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate. Nessun voto contrario, segno di una coesione che non è mai scontata, ma anche momenti emozionanti durante il dibattito in Aula. Come in occasione del discorso del senatore di FdI Roberto Menia, intervenuto per la dichiarazione di voto a nome del Gruppo e più volte interrotto dagli applausi, anche dai banchi dell’opposizione. Questo il testo integrale.
«Sono orgoglioso di poter fare questa dichiarazione di voto a nome del Gruppo di FdI, nonostante magari qualcuno tema i miei voli pindarici o che ci sia qualche uscita fuori ordinanza. Non sarà così, perché so come funziona il mondo e so cosa è giusto fare. Certamente avrei voluto che finisse in maniera un po’ diversa. Sono uno dei proponenti del disegno di legge al nostro esame e oggi stride un po’ che si scriva “Ripristino della festività nazionale”, quando di ripristino in realtà non si tratta. Facciamo però comunque un passo avanti e dunque guarderò tutta la parte piena del bicchiere.
Non è che non mi renda conto che oggi ricordiamo, ridiamo dignità e comunque facciamo un passo avanti nel ricordo di questa data, che secondo me è una data fondante. Cercherò di illustrare con intelligenza, per quanta ne ho e me ne riserva la sorte, perché il 4 novembre è diverso da qualunque altra data. So anche che, oltre a ridare dignità al 4 novembre, comunque, con questa discussione, con quello che questa legge afferma e proclama, attuiamo un indirizzo che ci viene dal Quirinale, correttamente, che ci diceva che il Parlamento deve prendere atto che, oltre all’Unità nazionale, il 4 novembre va istituito, formalmente e con legge, come giornata delle Forze armate».
«Vi dico queste cose anche con sentimento – perché no? – perché penso sia utile e giusto anche questo, quando si svolge la funzione di parlamentare. Devo dirvi che so anche che qualcuno, magari, non mi capirà, mi troverà molto lontano o mi troverà un po’ strano, perché ci saranno passi in cui magari vi sembrerà di vedere una pagina strappata da un libro di cento anni fa, però è così.
Magari sembrerò ridicolo per alcuni, perché se un uomo di sessanta anni si mette a ricordare suo nonno, può pure essere ridicolo. Vi dirò però queste cose, perché per voi, onorevoli colleghi, alla fine è scontato essere italiani: tanto siete nati in Italia e nessuno mai lo metterà in discussione. Per noi è diverso, per me che sono figlio di un esodo, per me che ricordo il 4 novembre 1968 e mi ricordo bambino, sulle rive di Trieste, con mio nonno che mi portava per mano e mi spiegava come la sua Patria, da irredento, l’aveva conquistata con la Grande guerra (Applausi), mi spiegava come poi la sua Patria l’aveva perduta e come la sua Patria l’aveva riconquistata, scegliendo di essere esule, per essere libero e italiano. Io sono libero e italiano perché sono nato qui.
L’ho imparato così con mio nonno, che era un mazziniano e mi insegnava pensiero e azione, unità e Repubblica, Dio e popolo, e mi portava su quelle trincee, sul San Michele, sul Monte Podgora e sul Monte Calvario. C’erano ancora i vecchi di quel tempo, ce n’era ancora qualcuno con la barba bianca che sul Podgora mi raccontava di Lavezzari, l’ultimo dei garibaldini. Lavezzari è un uomo che a quasi settant’anni va a morire sulle pietraie del Monte Calvario indossando la camicia rossa: era l’ultimo garibaldino. Che storia bellissima! Poi mio nonno mi portava sul Sant’Elia, dove vedevo il cippo del Fante Ignoto che riportava: «Che t’importa il mio nome? è grida al vento: Fante d’Italia! E dormirò contento». Poi mi mostrava le tre croci del Sacrario miliare di Redipuglia. A Redipuglia bisogna andarci di sera, quando cala il crepuscolo, quando il silenzio parla e sembra di sentire le voci dei mille e mille. Sotto quel monte di Redipuglia ci sono 120.000 ragazzi d’Italia, sono una parte di quei 650.000.
Esiste solo una data che noi dovremmo per davvero onorare come figli di questa Nazione, la sola che ha unito questa Nazione, tutti gli italiani, ed è quella del 4 novembre, consacrato alla vittoria della Grande guerra (Applausi), che in realtà fu la quarta e ultima guerra del nostro Risorgimento, l’ultima guerra d’indipendenza italiana. Non solo, in quella guerra l’Italia si fece per davvero perché, quando vi dico che a Redipuglia si possono ascoltare le voci dei fanti, intendo dire che si può sentire il calabrese parlare con il veneto, il piemontese parlare con il napoletano, il siciliano parlare con il romano ed era la prima volta che questi italiani si conoscevano per davvero, perché l’Italia si è fatta là dentro, si è fatta nel fango di quelle trincee, si è fatta nel sangue rosso dell’Isonzo, si è fatta sul Piave. L’Italia è quella e questa è la data fondante dell’Italia moderna come la conosciamo.
Vi sembra tutta retorica ridicola? Ditemi allora perché gli americani si commuovono di fronte al 4 luglio 1776 (Applausi) e perché i francesi celebrano la presa della Bastiglia del 1789, perché quella è la radice. Non è roba vecchia. Io vi chiedo perché questo viene considerato retorica e non ci troviamo. Forse siamo figli della morte della Patria. Qualcuno si era interrogato su questo. Il primo fu Salvatore Satta, un grande giurista e scrittore cattolico sardo, che parlava di morte della Patria, perché diceva di vedere la sua Patria morire. Galli della Loggia, cinquant’anni dopo, ripercorreva quello stesso interrogativo in modo meno intimistico e si interrogava sulle ragioni della morte della Patria e del sentimento nazionale; tra l’altro lo chiedeva facendo riferimento alla Resistenza, dicendo che forse non era riuscita a ricreare uno spirito sano e forte di Patria.
«È vero che all’Italia manca questo senso di Patria e, io lo sento drammaticamente ogni giorno. Pensateci: quali sono le giornate che noi celebriamo? Sono giornate relativamente recenti e giustissime. Io sono repubblicano e il 2 giugno festeggio la Repubblica. Avrei votato per la Repubblica nel referendum tra Repubblica e monarchia, ma non posso dimenticare che l’Italia unita l’hanno fatta i Savoia, l’ha fatta la monarchia, né posso dimenticare che mezza Italia votò per la monarchia. Il 25 aprile, che celebra i valori della libertà e della democrazia in cui tutti in questo Parlamento ci troviamo, è una giornata che ricorda comunque una guerra civile tra italiani. È vero o meno? Allora la data fondante che pone le radici della nostra identità nazionale, la data della indipendenza nazionale, dell’unità territoriale, dell’integrità territoriale della Patria è quella del 4 novembre.
Per questo avrei voluto che il provvedimento non fosse soltanto una legge sostanzialmente ricognitiva, che stabilisce quello che sappiamo, cioè che il 4 novembre celebra l’Unità nazionale e anche le Forze Armate, verso le quali va il mio applauso.
Ricordo sempre e lo ricordo a voi, lo faccio ancora una volta, quegli 8.000 ragazzi che portano la nostra divisa in ogni angolo del mondo (Applausi), tengono alta la nostra bandiera e combattono per la libertà, per la giustizia e per la pace.
Vorrei però che questa Italia tornasse ad amarsi un po’ di più. Vorrei che questo Italia amasse un po’ di più, avesse un po’ più di orgoglio della sua arte meravigliosa, dei suoi panorami straordinari, della sua gloria, del suo eroismo, della sua storia, dei suoi borghi bellissimi, delle sue strade, delle sue città, delle sue chiese, delle sue cattedrali, della sua aria, del suo profumo, dei suoi riti, dei suoi dialetti. Ecco, è questo che vorrei.
Mi augurerei, in conclusione, che questo voto vedesse cancellare quei voti bianchi che ho visto prima e fosse un voto di tutto il Parlamento, tutti insieme, per sentirmi orgoglioso insieme a voi di tutto questo. Io mi sento orgoglioso ogni giorno che entro in quest’Aula perché ne sento profondamente il valore. Io so che come parlamentare rappresento tutta la Nazione e la Nazione è unità di destino, è quello che siamo stati ed è quello che saremo; la Nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno.
Lasciatemi concludere con questo senso di italianità e di orgoglio, che sento come un giuramento antico, quello che ho imparato a casa, come si imparava nelle nostre famiglie istriane che ci hanno insegnato fin da piccoli, che io passerò a mio figlio e mio figlio lo dovrà trasmettere ai figli dei suoi figli. Mi riferisco a quello che ci ha insegnato Nazario Sauro nel suo giuramento, quando prima di essere impiccato, il 10 agosto 1916 (vedete quanti anni fa?), scrisse a suo figlio «Su questa Patria giura (…) e farai giurare ai tuoi fratelli (…), che sarete sempre, ovunque e prima di tutto, italiani».
Fonte: Secolo d’Italia – 13/07/2023