Con l’approvazione del cofinanziamento da parte dell’Unione Europea , si sono riaperte le polemiche sul progetto del grande Ponte di Sabbioncello (Peljeski most) che, per l’occasione, è tornato protagonista dell’ennesimo scontro geopolitico nei Balcani. Dal luglio 2013 con l’entrata della Croazia nell’Unione Europea(UE), l’antico territorio della Repubblica di Ragusa oggi appartenente alla Croazia come parte della regione raguseo-narentana, a causa dei 20 chilometri di costa sotto sovranità bosniaca, si è convertito in un territorio esterno dell’Unione. La stessa situazione di altri territori europei come le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, le isole Canarie, le Azzorre,la Guyana e le altre colonie francesi oltre a quelle olandesi.
Il progetto del ponte ha quindi assunto un valore strategico, non solo per la singola Croazia, ma per tutta l’UE, ridando slancio ad un progetto difficilmente sostenibile dal solo stato croato ripetutamente al centro di scandali finanziari come quello della petrolifera INA-MOL e per ultimo quello del gruppo Agrokor di Ivica Todoric in amministrazione statale dopo il buco di quasi 6 miliardi di euro che ha fatto traballare 60.000 posti di lavoro, un numero non indifferente su una popolazione di 4,2 milioni come quella croata.
Nonostante tutto, dopo anni di tentennamenti e posticipazioni quindi, il 7 giugno a Bruxelles si è tenuta la cerimonia ufficiale per la firma del documento di cofinanziamento: l’Unione Europea parteciperà apportando 357 milioni di euro a fondo perduto. Il primo progetto di un ponte che collegasse la regione di Ragusa aggirando il territorio bosniaco di Neum, fu pensato oltre una decina di anni fa, con un preventivo che si aggirava intorno ai 300 milioni di euro lievitati poi a 320, 350 per superare i 430 del progetto attuale che include anche i lavori per connettere il ponte con la rete autostradale croata a nord e quelli per la realizzazione di una tangenziale che aggirerà la cittadina di Stagno con ulteriori gallerie e viadotti. In un primo momento si pensava infatti di appoggiare una campata del ponte alla punta settentrionale della penisola di Clesto (Klek) per permettere poi alla seconda campata di attraversare il Canale di Stagno Piccolo. Questo idea fu presto abbandonata visto che la parte settentrionale della penisola di Clesto continua ad essere oggetto di rivendicazione territoriale sia da parte della Croazia che della Bosnia Erzegovina (BiH) . Un accordo preliminare sui confini marittimi fu firmato dal presidente croato e da quello bosniaco nel lontano 1999, non incontrando però la ratifica dei rispettivi parlamenti: il possesso della punta settentrionale della penisola di Clesto amplierebbe infatti notevolmente la portata dei confini marittimi della BiH garantendole quasi l’accesso al mare aperto e limiterebbe le acque territoriali croate compromettendo il progetto del ponte.
Questo infatti è stato il punto che ha alimentato vecchie polemiche durante tutta l’estate, arrivando al culmine proprio verso la fine di agosto, quando Dragan Covic, membro croato della presidenza tripartita della BiH in una intervista concessa alla televisione pubblica croata, ha dichiarato che il progetto del ponte non è assolutamente oggetto di contenzioso, anzi è appoggiato dalla presidenza tripartita e dalle istituzioni della BiH. Covic ha poi specificato come il cammino europeo ed atlantico della BiH passa attraverso Zagabria con la quale quindi è necessario costruire rapporti di qualità – sottolineando in conclusione – come la BiH non si può permettere il lusso di perdere tempo ripetendo errori del passato, ma ha l’obbligo di adottare gli standard europei.
Continuando a proporre lo stesso copione degli ultimi quindici anni, alle dichiarazioni di Covic sono seguite quelle del primo ministro croato Andrej Plenkovic che ha definito come “strategica” la costruzione del ponte ricordando che si tratta del più grande progetto unico finanziato dall’Unione Europea. Tutto prescindendo dalle obiezioni bosniache volutamente ignorate come se negli ultimi quindici anni non fossero neanche esistite.
Le reazioni non si sono fatte attendere : il membro bosgnacco della presidenza tripartita Bakir Izetbegovic ha immediatamente smentito ogni apertura delle istituzioni bosniache verso la costruzione del ponte di Sabbioncello ricordando proprio il documento approvato dalla presidenza tripartita nel 2007 nel quale si esprime l’opposizione alla costruzione del ponte fino a quando non vengano risolte le questioni aperte fra Croazia e Bosnia in materia di confini marittimi e sia garantito per la Bosnia il libero accesso al mare aperto. Rincarando la dose, Izetbegovic ha bollato come inammissibile il comportamento di Covic il quale, invece di rappresentare la BiH, si impegna a favore degli interessi dell’altro stato e cerca di giustificare i comportamenti della Croazia che in questo caso assestano un duro colpo alla sovranità BiH, sono contrari alla convenzione ONU sul diritto marittimo e sugli interessi a lungo termine della BiH. Le reazioni di Izetbegovic sono state minimizzate da parte croata bollandole come manovre ultranazionaliste di un piccolo settore della società bosniaca in vista delle elezioni del prossimo anno, se non addirittura come atto dovuto alla pedissequa adesione di certa parte del mondo bosgnacco verso le nuove politiche panottomane del presidente turco Erdogan. Parte di queste accuse possono forse anche essere fondate, ma procedere alla costruzione di un opera infrastrutturale come un ponte lungo 2 chilometri e 400 metri in aperto contrasto con un paese vicino, non è sicuramente il miglior criterio politico e procedurale che l’ Unione Europea possa intraprendere.
Il Partito di Azione Democratica (SDA) guidato da Izetbegovic, è il maggiore partito della componente musulmana-bosgnacca della BiH, ossia più del 40% della popolazione bosniaca: questi numeri si sono riflettuti infatti nella risoluzione approvata dal parlamento di Sarajevo per chiedere all’UE di mediare nel contenzioso fra BiH e Croazia, ritardando di fatto la costruzione del ponte di Sabbioncello. Alla risoluzione del parlamento è seguito uno scambio di lettere fra il ministro bosniaco dei trasporti Adil Osmanovic ed il suo omologo croato Oleg Butkovic con la minaccia di denunciare l’accordo confinario del 1999 se la Croazia procede unilateralmente alla costruzione del ponte: di tutta risposta Butkovic ha ribadito che il ponte si costruirà in territorio croato e che un ministro bosniaco non ha alcuna autorità negli affari interni della Croazia. I bandi di gara per la costruzione del ponte sono stati già aperti e fra i quattro candidati che hanno dato la propria disponibilità quello a fornire il prezzo migliore è stata la China Road and Bridge Corporation presentando un progetto per 350 milioni di euro dicendosi anche disposta a trasferire in loco maestranze ed operai cinesi. Decisamente più alti i preventivi degli altri candidati come la nostra Astaldi in collaborazione con la turca IC Icasa che hanno presentato un progetto per 427 milioni e la austriaca Strabag con il suo progetto per 439 milioni. In questione di ponti e di infrastrutture croate, la Strabag non è nuova sul mercato croato, avendo celermente realizzato l’ impeccabile rete autostradale che in meno di un decennio ha collegato Zagabria con Fiume e Fiume con tutta la costa dalmata fino quasi a Porto Tolero (Ploce) e Medjugorje. Nel 2005 al prezzo di 1,2 miliardi di euro, la Strabag ha acquisito la Walter Bau di Augusta che insieme alla Konstruktor di Spalato aveva realizzato il ponte sull’Ombla arteria settentrionale di Ragusa con il resto del suo territorio. Il primo progetto del ponte sul fiordo dell’Ombla risale al lontano 1989, bloccato dalla guerra, fu ripreso successivamente fino al 1998 quando iniziarono i lavori per la sua costruzione che venne portata a termine – fra vari ritardi – nel 2002 superando i trenta milioni di euro. Il ponte controversamente dedicato al primo presidente croato, è lungo 518 metri sostenuto da un enorme pilone alto 327 metri dalla cui cuspide ha origine un ventaglio di 38 cavi che sostengono la struttura. Pur contribuendo in maniera indiscutibile ad agevolare il traffico da e verso Ragusa, il ponte ha irrimediabilmente modificato il paesaggio naturale del fiordo dell’Ombla. Secolo dopo secolo, anno dopo anno la millenaria Repubblica di Ragusa creò il formidabile porto di Gravosa dal cui arsenale uscì la potente flotta che nel 1510 quasi emulava quella veneziana, nel 1540 si situava come terza flotta mercantile del mondo per legni oceanici a vela quadra assurgendo al massimo della sua potenza fra il 1750 ed il 1806 quando più di settecento navi, fra oceaniche e mediterranee, battevano il vessillo di San Biagio. Di quel passato tanto glorioso che ha reso semplici marinai ed ammiragli della Repubblica come Marulino Sfrondati, Vincenzo Bune o Giacomo Raguseo, protagonisti della storia di tante parti del mondo, oggi resta un ben vago ricordo fra i palazzoni che opprimono il porto di Gravosa, le mastodontiche navi da crociera che quotidianamente ne oscurano i moli sotto il grande ponte bianco che sovrasta l’estuario dell’Ombla.
Per tentare di immergersi oggi nell’atmosfera più intima di quel microcosmo che era il piccolo stato raguseo, bisogna rifugiarsi nella zona dei Canali o portarsi a settentrione, visitando i piccoli borghi di Malfi, Valdinoce, la meravigliosa villa Gozzi con la sua veranda sulle isole Elafiti, ma soprattutto i graziosissimi borghi di Stagno Piccolo e Stagno Grande.
Situati all’inizio della penisola di Sabbioncello che si estende per 70 chilometri verso il mare Adriatico i due piccoli borghi sono sempre stati di primissimo interesse strategico. Sulla tavola Peutingeriana – la più antica mappa geografica che conosciamo, copia cinquecentesca di una mappa risalente al terzo o addirittura al primo secolo dopo Cristo – “Turris Stagni” è una delle poche località della Dalmazia espressamente menzionate. Come nei tempi antichi, così anche nel medioevo per finire all’età moderna, l’Istmo di Stagno fu al centro delle brame e dei conflitti tra i maggiori attori geopolitici dell’epoca: sede vescovile deal IX secolo, bizantina, appartenente prima allo stato bosniaco dei Cotromani poi allo stato serbo dei Nemagna, fu venduta nel 1333 alla Repubblica di Ragusa. Ben conscia del valore delle sue saline, ma soprattutto della sua rilevanza strategica, avvalendosi dei migliori ingegneri militari come Michelozzo Michelozzi e Giorgio di Matteo, la Repubblica dotò l’istmo di Stagno forse della più poderosa e sicuramente della più lunga cinta muraria di difesa d’Europa: Stagno Grande venne racchiusa in una possente fortificazione pentagonale, mentre intorno a Stagno Piccolo venne innalzata una cinta quadrangolare e i due borghi vennero collegati da una maestosa muraglia inframezzata da 41 torri e 6 bastioni che – valicando i quasi trecento metri di dislivello con una estensione di cinque chilometri e mezzo – li univa garantendo alla Repubblica un formidabile baluardo a difesa dei suoi confini settentrionali.
Osservando quelle vetuste mura con l’occhio di oggi, forse possiamo farci una vaga idea di quello che potesse essere il valore strategico dell’Istmo di Stagno: la Repubblica di Ragusa era un piccolo stato mercantile, dal 1526 tributario dell’impero ottomano: quella possente opera difensiva eretta durante il quindicesimo secolo e dichiarata nel 2005 dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, potrebbe un domani rischiare di venire snaturata ed irrimediabilmente modificata da una tangenziale di raccordo con il ponte di Sabbioncello. Dopo cinque secoli dalla costruzione delle possenti mura rinascimentali, l’area dell’Istmo di Stagno è tornato ad essere il cardine cigolante, un’ area di frizione, il centro di un potenziale conflitto della moderna geopolitica. Con l’occupazione austroungarica del 1878, la città di Neum smise di rappresentare l’unico sbocco ottomano al mare Adriatico. L’Austria-Ungheria dal 1814 sovrana sul regno di Dalmazia, annesse la Bosnia eliminando di fatto quel confine che scomparve definitivamente, sia sotto il regno SHS, poi di Jugoslavia, sotto lo Stato della Libera Croazia di Pavelic che inglobò la Bosnia, l’Erzegovina con tutta la Dalmazia meridionale da Almissa ai Canali. Quando Tito ridisegnò i confini delle repubbliche federative, pur sapendo bene che il mosaico jugoslavo non sarebbe sopravvissuto a lungo dopo la sua morte, ripristinò i vecchi confini fra i quali quello lungo venti chilometri che permetteva uno sbocco al mare per la Bosnia Erzegovina. Fra i vari confini delle ex repubbliche federative quello di Neum era uno dei più antichi: la demarcazione meridionale fu approssimativamente tracciata dopo la conquista turca dell’Erzegovina nel 1482 e prima del trattato tributario fra la Repubblica di Ragusa e l’Impero Ottomano del 1526, proprio in occasione della costruzione delle mura di Stagno. La demarcazione settentrionale risale invece al 1699 quando la pace di Carlowitz mise fine ad anni di conflitti fra la Serenissima e la Sublime Porta, conferendo a quest’ultima uno stabile accesso al mare Adriatico con il controllo e tassazione dei traffici commerciali da e per la Bosnia e l’Erzegovina. Prima di allora, i traffici commerciali con la Bosnia avvenivano precipuamente via Spalato, la cui Scala – una specie di porto franco- venne istituita nel XVI secolo dalla Serenissima che – per gestirne i traffici- chiamò gli ebrei espulsi dalla Spagna: per questo dopo la pace di Carlowitz sulla foce della Narenta vennero fortificati i piccoli villaggi di Fort’Opus (Opuszen) o Metcovich o Porto Tolero (Ploce) a presidio del nuovo confine.
Poco più di cento anni dopo la sua sparizione, il confine di Neum è tornato ad apparire nel tristemente noto 1992, quando il conflitto fra Jugoslavia e Croazia si estese anche alla Bosnia Erzegovina. Nel 1996 il trattato di Dayton fermò la guerra e istituì la BiH indipendente che – con le sue traballanti strutture amministrative – ha trascinato fino ai nostri giorni pure il suo “rinascimentale “ sbocco al mare. Durante la plurisecolare storia, il territorio della Bosnia mutò spesso i confini espandendoli e contraendoli: oltre a Neum, di sbocchi al mare ne ebbe anche altri, come quello della Sutorina, un corridoio che per pochi decenni – senza la minima proiezione commerciale o militare – si affacciava sulla parte settentrionale delle Bocche di Cattaro . Zone prontamente rivendicate da alcuni settori radicali bosgnacchi, nel più puro stile balcanico .
Lo stesso stile con il quale si sta portando avanti la costruzione del ponte di Sabbioncello: una modalità molto simile a quella che Ivo Andric ha descritto nel suo capolavoro Na Drini Cupria (Il ponte sullla Drina), nobel per la letteratura nel 1962. Nella sua opera maestra, Andric delineava senza pudore qualità e demeriti del carattere bosniaco e balcanico incentrando la narrazione proprio sulla costruzione di un ponte, quello voluto dal pascià Sokollu, costretto da piccolo ad abbandonare la sua famiglia secondo la pratica del devscirme. Educato ad Istambul, dopo una rapida ascesa alla corte imperiale, volle tornare nella sua terra e costruire un ponte che collegasse la sua città al resto dell’impero ottomano. Solo seguendo l’asciutta narrazione si comprendono allegrie, ma anche le crude sofferenze che nascoste dietro la costruzione del ponte. Sokollu ed i suoi fedeli cercano di lasciare la loro testimonianza scolpita sulla pietra ed eretta sulle onde di un fiume placido ma a volte irruento. Nessuna pietà per chi cerca di ostacolarne il progetto.
Come nessuna pietà si sta usando oggi verso lo splendido ed unico Istmo di Stagno che da isolata fortezza sulle saline rischia – nel migliore dei casi – di convertirsi in un cadente orpello circondato da ponti, viadotti, gallerie e raccordi autostradali .
Piero Cordignano