Proclamata la repubblica democratica a Venezia, molte cittadine istriane avevano aderito all’invito di nominare a loro volta municipalità democratiche, per legami di fedeltà alla ex Dominante, ma in giugno già si diffondeva la voce che in Istria stavano penetrando truppe austriache. A Capodistria, Isola e Cherso ci furono dei tumulti popolari contro i nobili sospettati di tramare a favore dell’imperatore d’Austria per non perdere le loro prerogative di governo aristocratico. A Capodistria la rivolta fu sedata a fatica da Nicolò de Baseggio che convocò nel Duomo popolo, clero e nobili perché giurassero fedeltà alla Repubblica (visualizza documento – Lettera di Nicolò Baseggio al figlio con la narrazione dei moti del giugno 1797 – da “Pagine Istriane”, Agosto-settembre 1909, pag.187).
A Isola venne ucciso il podestà Nicola Pizzomano e furono saccheggiate le case dei notabili cittadini. A Cherso, dopo l’attentato ad Antonio Bernardin Petris, il conte veneto Ottaviano Bembo riuscì a scongiurare una carneficina, consentendo il trapasso dei poteri al capitano austriaco che era venuto ad occupare l’isola.
Se tradimento ci fu, esso non fu consumato dai patrizi istriani, bensì da Napoleone stesso che già ad aprile, nei Preliminari di Leoben, aveva trattato segretamente col nemico e per ottenere la Lombardia e i Paesi Bassi, aveva barattato la cessione del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia agli austriaci, i quali, pochi giorni dopo i fatti di Capodistria, procedettero ad occupare l’intera Istria, in nome di Sua Maestà Imperiale Apostolica per “preservare la Provincia dai tristi effetti della totale sovversione”, come proclamò solennemente il commissario imperiale Raimondo conte di Thurn, insediandosi a Capodistria, e precisando che “incorrerebbe irremissibilmente i più severi castighi chiunque osasse in qualunque modo opporsi alle misure benefiche di detta Sua Maestà”.
L’occupazione provocò numerose proteste, sia da parte della Municipalità provvisoria di Venezia che la considerava “fatale alla libertà di tutti i popoli di Italia”, sia da parte dell’incaricato d’affari del Re di Sardegna che denunciò più di una volta il “danno rovinoso e fatale“ per Venezia della perdita dell’Istria e della Dalmazia. Anche l’organo della Repubblica Cisalpina, che aveva sede a Milano, nata in seguito alla Campagna d’Italia napoleonica, invitò il “cittadino” generale Bonaparte ad evitare tale cessione (visualizza documento -Lettera del “cittadino” F. Reina della Repubblica Cisalpina a Napoleone).
Gli stessi plenipotenziari francesi (Napoleone e Clarke) protestarono ipocritamente contro la violenta occupazione austriaca, che però di fatto fu suggellata dal Trattato di Campoformido dell’ottobre 1797, con cui la Repubblica francese cedeva, in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina, non solo l’Istria e la Dalmazia, ma parte del Veneto e la stessa città di Venezia.
L’Austria coglieva così il frutto della sua secolare politica di dominio in Adriatico. Con la fine della Serenissima, il porto franco di Trieste era senza rivali e la flotta veneziana con i suoi marinai istriani e dalmati passava all’I. R .Governo asburgico (visualizza documento – Lettera del Comandante della Marina Querini dall’Arsenale di Venezia al Conte Roth, dirigente del Governo Provvisorio dell’Istria a Capodistria, per la leva di 300 marinai – Archivio di Stato di Trieste).
La delusione e l’amarezza provocate nei patrioti italiani che avevano creduto nei principi di libertà proclamati dalla rivoluzione francese sono ben espressi da Ugo Foscolo che fa dire all’infelice protagonista del suo romanzo le Ultime lettere di Jacopo Ortis : “Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppur ne sarà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia”.