Scritto da Pietro Spirito, «Il Piccolo», 12/02/14
mercoledì 12 febbraio 2014
«Le foibe rappresentano una storia dimenticata, negata, volutamente rimossa per decenni, di cui solo da qualche anno si è incominciato a parlare». Sin dalle primissime righe della premessa al libro “Una grande tragedia dimenticata – La vera storia delle foibe” (Newton Compton, pagg. 328, euro 9,90) di Giuseppina Mellace, un’insegnante del ’57 nata a Roma che, ci informa la nota editoriale, si diletta in “pièces teatrali, saggi, romanzi e racconti, soprattutto di tema storico”, si può avere un’idea di quanta distanza esista ancora tra la memoria depositata delle terre giuliane e l’immaginario collettivo del resto d’Italia. Delle foibe, naturalmente, fior di storici si sono occupati sin dall’immediato dopoguerra, con un fiorire di nuovi studi e ricerche in grado di scandagliare a fondo il fenomeno, che ha preso l’abbrivio nei primissimi anni Novanta, in contemporanea con la dissoluzione della Repubblica Federativa Jugoslava.
Anche se, come ha sottolineato di recente Raoul Pupo – uno dei massimi esperti riconosciuti sul fenomeno delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata – nel corso della conferenza pubblica al Teatro Verdi di Trieste organizzata nell’ambito del ciclo “I giorni di Trieste”, la questione rimane complessa e dai contorni sfumati, soprattutto per quanto riguarda il numero delle vittime. Dunque nessuna “storia dimenticata”, almeno sul piano della storiografia locale e della memoria non solo privata, anche se sì, è vero, nel resto d’Italia l’oblio – voluto e perseguito da tanti governi e forze politiche – calato sui massacri dell’immediato dopoguerra è un fatto innegabile, e solo dopo la visita dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga alla Foiba di Basovizza nel 1991, diventata monumento nazionale l’anno dopo con Scalfaro, si è aperta la strada verso il riconoscimento ufficiale (Giorno del Ricordo) di quegli eventi. Sono quindi più di vent’anni dal primo riconoscimento ufficiale, e non “qualche anno”. Certo, rimane lo iato enorme fra la percezione del “fenomeno foibe” che si ha nella Venezia Giulia e il resto della nazione.
Il libro di Giuseppina Mellace è esemplare in questo senso: una specie di corposo “bignami”, un regesto che mette insieme molti tasselli di quella realtà e che ha il pregio di funzionare da manuale d’accesso per una prima escursione in un capitolo complesso della storia contemporanea d’Italia, per molti versi materia ancora ribollente. Attingendo a una dichiaratamente corposa bibliografia, l’autrice parte da un breve inquadramento storico del primo Novecento nella “regione giulana” per passare alla repressione fascista antislava e ai campi d’internamento italiani (questa sì, storia dimenticata) e quindi approdare alle foibe del ’43 e del ’45, alla liberazione di Trieste, all’esodo, alle foibe del dopoguerra, il tutto con particolare attenzione al destino delle vittime donne, comprese le slave vittime dei militari italiani (è il taglio più originale del libro).
Non mancano, nel volume, appendici quali l’elenco delle donne infoibate o deportate (e di quelle epurate a Trieste, Gorizia e Pola) nonché documenti quali l’Accordo di Belgrado del 9 giugno ’45, alcuni articoli del Trattato di pace del 10 febbraio ’47 e del Trattato di Osimo. Materia vasta, dunque, forse troppo per chi davvero la considera – dal punto di vista storico – tragedia “dimenticata”, e qua e là l’autrice pasticcia un po’ e ogni tanto inciampa in qualche confusione (per esempio sui giorni di Trieste si leggono frasi del tipo: «I soldati italiani saranno dirottati su altre zone secondarie e dovranno attendere il 20 maggio (1945, ndr) per entrare in città…», oppure «i neozelandesi, arrivati ventiquattro ore dopo, si scontrarono da subito con i titini»), mentre altrove tralascia particolari non secondari come i sondaggi nella Foiba di Basovizza effettuati dall’esercito italiano nell’autunno del ’57. A dimostrazione che quella delle foibe è materia da maneggiare con cura, e solo dopo lunga e meditata frequentazione.
Va dato atto all’autrice dello sforzo compiuto nel tentativo di aprire una finestra in più sulle stragi delle foibe. Quelle che riguardano in particolare gli italiani, perché non va dimenticato – e Giuseppina Mellace ne fa cenno – che migliaia di slavi anticomunisti – domobranci sloveni, ustascia croati e cetnici serbi – fecero la stessa fine. Resta aperta una riflessione su quanto il dramma delle foibe – ma anche dell’esodo e in generale delle complesse e dolorose vicende di queste terre – fatichi ancora a trovare una giusta collocazione nell’immaginario degli italiani, percorso che dovrebbe iniziare – o almeno continuare con più incisività – nelle scuole, e perché no anche nel campo dell’arte, come ha già dimostrato di poter fare Simone Cristicchi con il suo “Magazzino 18”.