M. Dassovich, Il Quarnero fra geografia e storia. Il golfo, le riviere, la città capoluogo (1896-2008), Udine, Del Bianco editore, 2009, pp. 365.
Facendo per Fiume quello che il governo austriaco faceva per Trieste, Budapest non risparmiò generosi aiuti al suo porto adriatico, attrezzandolo modernamente, migliorando le vie di comunicazione con il retroterra danubiano intervenendo per le correnti di traffico, sostenendo la formazione di una società di navigazione. In questa situazione è comprensibile che la città, «tutta impegnata, nel ventennio anteriore al 1870, dalla rivendicazione della propria autonomia municipale e dalla lotta per la riannessione all’Ungheria quale unica difesa contro l’assorbimento da parte della vicina Croazia, non sia sorta, o almeno non si sia diffusa, come invece a Trieste e nell’Istria, una coscienza irredentistica italiana». Scrive così Giorgio Radetti nel suo Profilo della storia di Fiume (1952), ripreso da Mario Dassovich nel libro Quarnero fra geografia e storia (Del Bianco editore, 2009), un Profilo che illustra in maniera accurata uno dei periodi più significativi della storia della città considerata “il cuore” del Quarnero, ossia gli anni successivi al “provvisorio” che a sua volta poneva fine a due decenni di presenza croata, nei cui confronti la città, in singolare concordia fra reggitori e amministrati, non si era curata di nascondere la sua profonda insofferenza.
Alcuni fiumani combatterono nelle battaglie del Risorgimento, ma tuttavia non c’è nella storia di Fiume di questo periodo, «che pure vede il conscio sacrificio di Oberdan», alcun segno che «nelle teste di quei giovani fiumani – i quali avevano insospettito la polizia nei primi giorni dell’occupazione croata del 1848, manifestando con cappelli all’Emani – si fossero in genere sviluppate idee che andassero oltre l’ideale della prosperità ed autonomia cittadina e della difesa dell’italianità culturale contro la minaccia dei nazionalismi croati». Radetti è stato scelto da Dassovich a illustrare uno dei periodi più significativi e all’apparenza “più dialettici” nella storia della città nel secolo scorso, quello in cui essa si legò strettamente agli estraniati “padroni più lontani” per non concedersi agli avanzanti “fratelli” che, oltre ad essere contigui, erano tanto più da temere, in quanto molto più numerosi e non del tutto privi di qualche brandello di legittimità. Fu un abbraccio come tanti in politica, dapprima all’insegna di un notevole calore e poi via via più freddo, fino a che non si venne alla separazione definitiva causata peraltro dal “fattore esterno” chiamato guerra.
Radetti è solo uno degli autori a cui Dassovich ricorre per arricchire le proprie articolate riflessioni su questo spezzone di mare/costa/monti/retroterra alto adriatico chiamato Quarnero dai primordi della storia fino – per essere pedanti – alla contrastata emissione da parte delle Poste italiane del francobollo dedicato a Fiume e riportante la scritta «terra orientale già italiana». Fra gli altri nomi vanno citati Kobler, Guido e Attilio Depoli, Egon Schwartzenberg, ma anche altri che hanno scritto in tempi a noi più vicini come Rossi Sabatini, Semi, Giuricin, o giornalisti quali Saftich, Marsanich e Rocchi. Chi voglia affrontare anche solo l’inizio dei meandri entro cui si dispiegarono i rapporti interquarnerini nella fase successiva, sarà opportuno si soffermi sul capitolo «Il regno d’Italia ed il regno di Jugoslavia 1924-1941», che illustra gli attriti fra i due stati nel periodo successivo agli accordi di Roma e alle convenzioni di Nettuno o il problema delle minoranze etniche, ossia degli “allogeni” che, come disse il deputato fiumano Iti Baccich, «erano insidiati dalla continua, pervicace, subdola propaganda straniera», che poi voleva dire jugoslava.
Un capitolo particolarmente significativo anche quando tratta le risposte che si tentarono per ridurre gli effetti negativi di un difficile quadro economico, fra cui spicca la zona franca. Interessante notare che se sulle varie decisioni pesarono cause strettamente connesse agli andamenti economici presenti su scala mondiale, non minore fu però anche l’effetto del tortuoso rapporto intercorrente fra i due stati. La stessa zona fu asseritamente interpretata «come uno strumento di difesa» di Fiume contro «il boicottaggio e la persecuzione avversaria» e nel contempo «come un avvertimento e un monito». Parole che, al di là della prosopopea dell’epoca, indicano comunque con chiarezza quale fosse lo stato reale delle cose. Non meno interessante l’analisi del periodo successivo, ossia della Jugoslavia di Tito e della sua disgregazione con la nascita degli attuali stati nazionali, ultimi modelli di stato, portavoce del concetto dello stato-nazione, con l’inevitabile riprofilarsi del problema delle minoranze,che nell’area quarnerina mostra, non meno che altrove, elementi di rilievo collegando gli elementi che più hanno caratterizzato il passato dell’area e della città in particolare. In sintesi, un libro che assolve egregiamente al compito di fornire tutti i dati essenziali per ogni possibile ricerca particolareggiata, che ancora una vola rende merito all’indefesso ottuagenario ricercatore. (M. S.)
Fonte: «Panorama», 15/04/09.