Pochi intellettuali come Guido Miglia hanno vissuto il dramma della diaspora istriana in modo così viscerale, con una sofferenza, una forza e una rabbia tali da minare la sua salute. Nato a Pola nel 1919 (e morto a Trieste nel 2009), scrittore, giornalista, insegnante, allievo di Carlo Bo, direttore nella sua città del quotidiano del Cln “L’Arena di Pola”, dalla fondazione, nel luglio del ’45, alla firma del Trattato di Pace nel febbraio del ’47, Miglia lasciò Pola con il grande esodo per stabilirsi a Trieste. Qui svolse un’intensa attività pubblicistica collaborando fra l’altro con “Il Piccolo” e con la Rai, sempre interrogandosi sul «cosa fare, come reggere l’enorme fardello morale, etico, psicologico, umano che gli eventi hanno caricato sulle spalle di un popolo disperso e diviso dalla storia, come parare il tormento dell’angoscia, della nostalgia, dello stordimento provocati dall’esodo, espiare le mille colpe di chi avrebbe dovuto capire la vera natura di questa terra e non ha trovato il modo di scongiurare un disegno poi rivelatosi ineluttabile». Lo scrive Ezio Giuricin in prefazione al libro della storica Silva Bon “Guido Miglia – Rivivere l’Istria” (Irsml-Fvg, pagg. 158, Euro 18,00), saggio che analizza il pensiero politico-sociale di Miglia sulla base della ricca documentazione del suo archivio: articoli, lettere, interviste, pagine e brani da cui emergono figure come Biagio Marin, Claudio Magris, Fulvio Tomizza. Il libro, che ha una premessa di Livio Dorigo, del Circolo di Cultura Istroveneta “Istria”, verrà presentato nell’ambito del festival èStoria domenica 20 maggio, alle 15, nell’aula magna Università di Udine, via Santa Chiara 1 a Gorizia, da Livio Dorigo, e mercoledì 23 maggio a Trieste, all’Istituto regionale per la cultura istriana (Irci), alle 17, da Livio Dorigo ed Ezio Giuricin.
«Guido Miglia è stato – nota Silva Bon -, è, il mediatore di un recupero delle radici, è il responsabile di un passaggio del testimone tra generazioni». Di profonda fede democratica e antifascista, segnato dall’orgoglio di un’appartenenza identitaria «istriana, veneta, italiana», al riparo da ogni ideologia, Miglia spese la sua vita nello sforzo di conciliare la perdita con una possibile idea di salvaguardia della cultura, dell’identità e dell’unità istriane nell’ottica di un’«Europa più tollerante e più intelligente». Strenuo difensore dell’anima e della cultura italiane in terra d’Istria, Miglia non disconobbe mai la pluralità di quelle terre, unendo in un’unica sofferenza gli esuli e i rimasti, vittima di ua Storia che ha tolto agli uni e agli altri. «Io ritorno – scrisse – almeno da quindici anni, quasi ogni settimana nei miei luoghi, ma sempre riaffiora l’amaro che mi tormenterà fino alla morte: cammino per le mie strade, e mi sento un escluso, la casa dei miei padri è abitata forse da bosniaci, forse da montenegrini, ch’io non odio, ma vedo che anche loro sono degli estranei, che non possono impastarsi con la mia terra, con il mio mare. (…)».
Il Piccolo, 12 maggio 2018