Società Storica Istriana
Convegno internazionale
Questa relazione intende mettere a fuoco la figura di Giuseppe de Vergottini (1815-1884), uno dei membri di quella Dieta che a causa del rifiuto di eleggere i propri rappresentanti al parlamento di Vienna è stata conosciuta come “Dieta del Nessuno”.
Ad un tempo vuole trattare della figura di Giuseppe inserendola in un profilo più ampio che investe altri componenti della famiglia che a parere di chi scrive sono fra loro legati da una evidente continuità di impegno politico rispondendo a una logica identitaria nazionale caratteristica di un ben preciso e circoscritto periodo storico che tradizionalmente è qualificato, con una sintesi definitoria, come Risorgimento. Quindi oltre al profilo di Giuseppe, membro della Dieta, si tratta in particolare di tratteggiare il ruolo svolto dal padre Giuseppe, dal fratello Nicolò e dal nipote Tomaso.
Per inquadrare la figura di queste persone credo debba essere fatto un cenno all’affermarsi della famiglia Vergottini nel panorama di Parenzo tra la fine del settecento e la prima metà del secolo successivo. Si trattava di una famiglia di origine borghese che a metà settecento acquista rapidamente visibilità sociale tramite il ruolo svolto da Antonio (1716-1798), teologo della cattedrale e protetto del vescovo Negri, e il prestigio derivante dall’esercizio della professione legale praticata dai suoi componenti abitualmente addottorati in legge presso l’Università di Padova. A questo si aggiunga il progressivo incremento di proprietà terriere nel territorio parentino che hanno inserito la famiglia tra quelle possidenti di maggior rilievo nell’area. Da qui l’ambizione di essere associata al Consiglio cittadino, obiettivo conseguito nel 1801 dopo essere stata ammessa a quello di Pola (1786) e a quello di Castel San Lorenzo (1799). Prima di tale data, secondo l’opinione di Almerigo Apollonio, i Vergottini si affermavano già come appartenenti a una nuova classe di benestanti che pure esclusa dal Consiglio aspirava a entrarvi soppiantando il ceto aristocratico tradizionale[1]. Nel 1829 l’Austria conferma a diverse famiglie associate al Consiglio, tra cui i Vergottini, il titolo nobiliare. Al pari di quanto avvenuto per le altre famiglie il cui tutolo veniva riconosciuto, al cognome si aggiungeva ora il prefisso de e da questo momento il prestigio sociale si abbinava a quello economico.
Per comprendere la personalità di Giuseppe e dei suoi famigliari occorre tenere presente la cornice in cui si muoveva la società istriana del tempo.
La caduta della Repubblica nel 1797 trovava la società locale ancorata al passato e fortemente conservatrice. Pur rimanendo sempre vivo il ricordo di Venezia l’Istria si adattò al dominio asburgico (1797-1805), francese (aggregata al Regno d’Italia dal 1806 al 1809, alle Province Illiriche dal 1809 al 1813) e quindi di nuovo a quello asburgico destinato a durare dalla pace di Parigi del 1814 fino alla fine del primo conflitto mondiale (1918).
Il periodo francese e quindi quello particolarmente lungo sotto l’Austria hanno comportato un susseguirsi di modifiche amministrative (tra l’altro solo nel 1825 le due parti istriane dei vecchi domini veneti e asburgici furono riunite in un’unica entità amministrativa) ma, in particolare, l’emergere della questione nazionale similmente a quanto avveniva nel resto d’Europa con le prime rivoluzioni liberali. Per molti italiani della provincia fu del tutto naturale considerare il moto risorgimentale come accomunante il destino dell’Istria a quello delle province venete cui la penisola istriana era storicamente legata.
Il periodo 1848-1849, segnato dalle guerre d’indipendenza, vide l’insurrezione veneziana guidata da Manin e Tommaseo cui gli istriani diedero il loro apporto, così come avvenne per successiva guerra del 1859. La terza guerra di indipendenza italiana nel 1866 portò al passaggio del Veneto al Regno d’Italia e al distacco dell’Istria dai collegamenti con Venezia e con l’Università di Padova tradizionalmente frequentata da istriani e dalmati. Il periodo della formazione del Regno d’Italia e della perdita del controllo della Confederazione germanica da parte di Vienna (1861) segnò quindi un forte irrigidimento della politica austriaca verso gli italiani dell’Adriatico orientale e un marcato appoggio alle aspirazioni nazionali dei popoli slavi ormai maggioritari nella regione dopo la perdita del Veneto da parte austriaca. L’elemento italiano, maggioritario sopratutto nelle città e borghi della costa istriana, vide compromesso il suo ruolo dominante da parte dell’emergente borghesia slava che progressivamente fu in grado di formare la coscienza nazionale delle popolazioni slovene e croate già maggioritarie nelle campagne. In questi anni l’elemento italiano si sentì sempre più sottoposto alla minaccia di essere soprafatto da quello slavo. Gli eventi che maturavano in Dalmazia, dove con l’appoggio austriaco i croati prendevano il controllo di tutte le amministrazioni comunali eccetto Zara nel giro di un ventennio, è istruttivo.
Tuttavia il periodo 1860-1880 consentì alla componente italiana di mantenere ancora il controllo politico della provincia istriana nel riformato assetto costituzionale. Infatti, in seguito alle riforme introdotte nell’Impero dal Diploma di ottobre 1860 veniva prevista la elezione di una assemblea rappresentativa, la Dieta, con sede proprio a Parenzo, con al vertice una Giunta provinciale, che tra l’altro avrebbe avuto il compito di eleggere propri rappresentanti alla seconda camera del parlamento di Vienna secondo la Patente del febbraio 1861. Con le elezioni svoltesi nel 1861 la Dieta a maggioranza italiana decise di non collaborare col potere centrale e per due volte votò per “nessuno”rifiutandosi di designare i due delegati di sua competenza. A cavallo del 1880 l’élite italiana si orientò per una linea irredentista: il timore di perdere la propria identità faceva intravedere la salvezza soltanto nella unione politica alla madrepatria italiana. Quest’ultima, però, legata all’Austria e alla Prussia dalla triplice alleanza siglata nel 1882, non assumerà una linea diretta alla annessione del territorio istriano se non coll’avvicinarsi del primo conflitto mondiale nel 1914. E da ciò derivò il difficile equilibrio mantenuto in quegli anni fra aspirazioni separatiste e lealismo formale verso l’impero asburgico.
L’attività politica: in particolare Giuseppe (1760-1833)
L’occasione per fare emergere l’impegno politico dei membri della famiglia matura nel nuovo regime scaturito dalla fine della Repubblica di San Marco e dalla presenza francese in Istria.
Dopo una breve fase di dominio austriaco seguito al trattato di Campoformio, tra il 1797 e il 1805, con l’arrivo dei francesi da una parte l’aristocrazia locale tentava di mantenere i suoi privilegi, dall’altra, anche richiamando le antiche autonomie e tenendo presenti le spinte innovative che avevano circolato anche se in modo del tutto indiretto nel breve periodo della presenza francese a Venezia, si erano affacciate le aspirazioni di un nuovo ceto di proprietari che aspirava alla promozione al patriziato.
Occorre ricordare tra i fatti più significativi del tempo l’emergere della figura dell’avvocato dalmata, di Lesina, Angelo Calafati, che nel 1797 si era distinto a Venezia fra gli agitatori democratici, che assunse un ruolo importante nella prima fase austriaca (1798-1805) in quanto divenuto il dominus di fatto nella capitale provinciale (Capodistria), e che poi passò ai francesi con un ruolo importante che si congiunge al destino dei Vergottini di Parenzo. Nel 1806 con la pace di Presburgo l’Istria passa sotto il controllo francese entrando nel Regno italico, Calafati diviene presidente del governo provvisorio con sede a Capodistria e quindi prefetto del distretto.[2] La ripartizione amministrativa prevedeva distretti e cantoni. Il distretto di Capodistria con quattro cantoni tra cui Parenzo e quello di Rovigno con.tre.
Il distretto di Rovigno è affidato al lombardo Rezzonico con sostituto Giuseppe Vergottini (1760-1833).
Giovanni de Vergottini nel suo saggio su “La fine del dominio napoleonico in Istria[3] ricorda Giuseppe come il principale collaboratore di Calafati, Tra l’altro Giuseppe era stato a Venezia al momento dell’affermarsi della presenza francese e aveva seguito Calafati fra i costitutori della loggia massonica di Capodistria, nel 1806. Giuseppe era quindi un “giacobino”, come venivano allora qualificati in Italia i liberali democratici, diremmo oggi progressisti, in contrapposizione ai conservatori. Prosegue Giovanni de Vergottini: “Avvocato e di famiglia solo da pochi anni aggregata ai Consigli nobili di Pola e Parenzo, il Vergottini – già uno degli esponenti più in vista del partito veneziano nel giugno 1797, si da essere designato, in un rapporto al generale Klenau, quale uomo “sedizioso e turbolento” – viene mandato, nel dicembre 1805, a Capodistria quale “ambasciatore ed inviato” della città di Parenzo per questioni inerenti al cambiamento di regime. Nel gennaio 1806 Angelo Calafati, presidente del Governo provvisorio ed a lui legato da vecchia amicizia, lo nomina presidente del Provvisorio tribunale di revisione per l’Istria veneta. Introdotto nella provincia il nuovo ordinamentoamministrativo, egli è, sino al 1809, delegato di prefettura per il cantone di Parenzo, elettore nel Collegio dei dotti a Bologna, membro del Consiglio generale del dipartimento dell’Istria, di cui più volte assume la presidenza, viceprefetto del distretto di Rovigno che comprende tutta l’Istria a sud del Quieto”.
Giuseppe rientrava quindi nella nuova classe dirigente che Calafati intendeva promuovere in alternativa al vecchio patriziato ereditario, includente l’emergente aristocrazia del possesso fondiario e delle professioni. Giuseppe era stato anche inserito in uno dei tre collegi (Possidenti, Dotti, Commercianti) e in particolare in quello dei Dotti, organi consultivi sembra privi di reale peso politico[4].
Nell’agitata gestione amministrativa del periodo di Calafati risulta che Giuseppe si presentò come personalità nuova nella politica amministrativa della regione: “Poco per volta arrivò in primo piano un’altra personalità di chiara origine borghese, Giuseppe Vergottini, appartenente a una di quelle famiglie che i “nobili parentini” avevano rifiutato per decenni nel proprio Consiglio”.
Nel 1809 l’Austria riprende per breve tempo il controllo del territorio e la quasi totalità degli amministratori locali passa agli Asburgo tentando di mantenere le proprie cariche. L’unico che rifiutò di fare atto di sottomissione fu Giuseppe, che esercitava le funzioni di vice-prefetto, in quanto nominato dal Calafati a causa dell’assenza del Rezzonico, e che si ritirò a vita privata a Parenzo. Verso la fine delle ostilità una rivolta contadina ispirata dall’Austria sconvolse per alcune settimane la regione partendo dal sud. I rivoltosi procedettero a saccheggi e violenze. La famiglia del Vergottini fu, sembra, l’obiettivo principale a Parenzo. Per i danni subiti Giuseppe non riuscì ad ottenere indennizzi e perse anche gli arretrati di stipendio per contestazioni al momento del passaggio dalla amministrazione del Regno italico alle Province Illiriche.
Dopo il breve interregno austriaco ritornano i francesi e con la costituzione delle Province Illiriche, con capitale Lubiana, veniva dato un nuovo ordinamento all’Istria, divisa nell’Intendenza di Capodistria affidata al solito Calafati e nella Viceintendenza di Rovigno affidata al Vergottini.
Tra il 1810 e il 1811 Giuseppe, a causa della assenza di Calafati che si era recato a Parigi, resse la intera provincia per un anno in condizioni riconosciute di grande difficoltà a causa di una grave crisi economica. Nel 1811 fu adottato un nuovo statuto delle Province Illiriche e Giuseppe ebbe il titolo di subdelegato a Rovigno.
Nel 1813 nuovamente la regione cambiò di mano. Tornarono gli austriaci e Giuseppe mantenne la sua coerenza non rinnegando il regime napoleonico come già nel 1809 e ritirandosi nella sua dimora di Parenzo dalla politica attiva. Nonostante questi precedenti, non certo in favore della causa austriaca, l’imperatore conferma la nobiltà a Giuseppe il 13 aprile 1829.
I figli di Giuseppe
Dobbiamo pensare che l’evidente forte impegno politico e civile di Giuseppe abbia influenzato in modo determinante la formazione culturale e politica dei figli, tutti impegnati nel tener vivo il rapporto con la soppressa Repubblica marciana, attivamente partecipi della causa risorgimentale e quindi orientati politicamente contro il dominio austriaco.
Dei figli di Giuseppe si sono distinti Nicolò (nel governo insurrezionale di Daniele Manin) (1797-1859) e Giuseppe (volontario a Venezia e che poi nel 1861 si pronunziò contro Vienna nel voto della “Dieta del Nessuno”) (1815-1884). Il terzo fratello Bartolomeo (1805-1875) è il padre di Tomaso di cuitratteremo fra poco. Bartolomeo (Bortolo) non ha lasciato tracce significative come i due fratelli ma si distinse anche lui per la sua attività avversa al potere austriaco. Mentre i fratelli erano con la Repubblica di Manin a Venezia Bortolo era attivo come agitatore politico a Parenzo. Quando nel 1848 la flotta piemontese si presentò di fronte alle coste istriane si racconta che Bortolo faceva da contatto tra gli attivisti locali e il comandante della flotta[5] e aiutava una sessantina di giovani coscritti a disertare per raggiungere Venezia. Nicolò e Bortolo risultano inclusi nel registro dei precettati politici, definiti politicamente pericolosi, redatto dal barone Federico Grimschitz, capitano circolare dell’Istria, il 15 giugno 1858. Poco sappiamo del quarto fratello, Gabriele (1809-1862), tranne che fu studente di medicina a Padova (dal 1830 al 1832) mentre Nicolò (dal 1815 al 1818) e Giuseppe (dal 1836 al 1842) fecero studi giuridici[6].
Nicolò (1797 –1859)
Laureato in legge all’Università di Padova nel 1818, Nicolò fece pratica legale a Venezia e quindi svolse la sua carriera come funzionario del fisco austriaco a partire dal 1822, prima a Pinguente, poi a Trieste e quindi a Venezia.
Nicolò era già molto stimato per la sua cultura giuridica, rettitudine e patriottismo[7] e allo scoppio dell’insurrezione di Venezia (1848-1849) Daniele Manin lo nominò di sua iniziativa all’ufficio di Prefetto dell’ordine pubblico, equivalente a ministro dell’interno o di polizia. Si deve anche a lui, alla sua attività e alla sua energia, se l’ordine della città assediata e afflitta da gravissimi problemi di ordine sanitario e alimentare non fu mai seriamente turbato[8]
Nicolò ha dimostrato un particolare impegno civile e risulta aver offerto alla Repubblica tutte le sue disponibilità finanziarie, avendo sottoscritto il prestito pubblico mai rimborsato e avendo fatto cospicui versamenti in argento e contanti al governo insurrezionale. Per questo suo generoso contributo alla causa della insurrezione ha ottenuto un ringraziamento molto caloroso firmato personalmente da Manin (18 aprile 1849).
Al momento della resa di Venezia (agosto 1849) dopo sedici mesi di resistenza, escluso dalla amnistia generale concessa ai rivoltosi, Nicolò seguì la sorte di Manin e Tommaseo, undicesimo fra i quaranta proscritti espulsi dal bando del generale Gorzkowski del 24 agosto 1849. Andò quindiin esilio a Torino insieme alla moglie. A Torino intraprese con insistenza tentativi di rientro a Venezia inoltrando istanze (“suppliche”) alle autorità austriache. Furono tentativi laboriosi e complessi. Il fratello Giuseppe si recò di persona a Graz e a Vienna per perorare la sua causa presso le competenti autorità e, da quello che è dato capire dalla sua corrispondenza con la madre, sia il maresciallo Radezsky che il successore Giulay si mostrarono molto freddi per una sua riabilitazione. Dopo un anno e mezzo di esilio, il 3 gennaio 1851 ricevette la comunicazione dall’ambasciata d’Austria che accordava il permesso di rientrare a Venezia.
Non potè tuttavia riottenere l’ufficio pubblico che aveva in precedenza brillantemente svolto e fu anche interdetto dall’esercitare la professione di libero avvocato. Rivolse diverse suppliche all’imperatore per tentare di riprendere le sue attività, iniziative tutte ovviamente destinate all’insuccesso. Concluse la sua esistenza a Venezia e non a Parenzo.
Negli ultimi anni della sua vita venne associato all’Ateneo Veneto nel 1853. Occupò il suo tempo dedicandosi agli studi giuridici da lui sempre coltivati. Pubblicò, oltre ad articoli su riviste giuridiche, un libro su ”Analisi del Concordato austriaco del 18 agosto 1855”, Venezia, 1856, presso Naratovich, un Commento al Trattato sulle servitù prediali di Bartolomeo Cipolla, Venezia, 1858-1859, e un Commento al trattato degli Statuti imperiali del 1855, lasciando inedita un’ampia monografia sul regime della trascrizione tavolare nella legislazione della Repubblica di Venezia, dimostrando una solida dottrina giuridica.
Per sua volontà testamentaria una parte della sua biblioteca ricca di opere scientifiche e letterarie fu lasciata al Comune di Parenzo andando ad arricchire la Biblioteca cittadina nata dalle donazioni del conte Stefano Carli e del canonico Pietro Radoicovich.
Giuseppe (1815 –1884)
Giuseppe, figlio dell’omonimo Giuseppe sottoprefetto a Rovigno durante il periodo francese e fratello di Nicolò, ha studiato a Graz e quindi si è laureato in legge presso l’Università di Padova (1842)[9]. È stato nominato avvocato a Pinguente e quindi a Parenzo.
La vita di Giuseppe si muove nel solco tracciato dal padre e dal fratello maggiore. Risulta infatti politicamente impegnato fin da giovane, avendo partecipato alla Guardia Civica durante la sollevazione di Venezia nel 1848-1849 insieme al fratello Nicolò, allora Prefetto dell’ordine pubblico. Cessata l’esperienza veneziana della precaria repubblica di Manin e Tommaseo, dopo un decennio viene candidato alle elezioni della nuova Dieta prevista dal ricordato Diploma di riforma costituzionale del 1860 e per la cui sede viene scelta dal governo austriaco proprio Parenzo in quanto sede vescovile e luogo di insediamento della maggioranza della nobiltà e della proprietà fondiaria della penisola, come scriveva a Vienna Federico Burger, Luogotenente del Litorale, il 4 dicembre 1860[10]. Il momento in cui le elezioni si svolgono è denso di tensione. Nella penisola italiana, dopo la conclusione della seconda guerra d’indipendenza del 1859 e della incorporazione della Lombardia strappata all’Austria, la monarchia sabauda sta coronando l’obiettivo della unificazione nazionale facendo proclamare il Regno d’Italia e l’obiettivo più prossimo è ora il Veneto, una realtà regionale cui gli istriani sono storicamente legati.
Giuseppe risulta un candidato naturale per il partito nazionale italiano in quanto figura nota a Parenzo per il suo impegno svolto a Venezia poco più di un decennio prima e per appartenere a una famiglia che, come evidenzia il ruolo avuto dal padre e dal fratello, aveva una sicura vocazione risorgimentale. Non sarà inserito come candidato nella curia dei possidenti, bensì in quella delle città, borgate e luoghi industriali, in rappresentanza di Parenzo, Cittanova e Umago. Viene quindi eletto il 23 marzo 1861, e il 13 aprile, in occasione della quarta seduta della Dieta viene eletto membro della Giunta provinciale[11].
La Dieta provinciale si rese nota per aver rifiutato per due volte (il 10 e il 16 aprile) di inviare i propri rappresentanti al parlamento imperiale a Vienna (anticipando analoghe decisioni astensioniste in Veneto, Dalmazia, Trentino e Fiume): venti su ventinove membri scrissero sulle schede “Nessuno”. Non siamo a conoscenza di un particolare ruolo di Giuseppe in questa circostanza. È probabile che la puntuale conoscenza dei verbali della Dieta che meritoriamente saranno messi a disposizione dei ricercatori consentirà prossimamente di conoscere in modo soddisfacente quale sia stato il suo effettivo contributo ai lavori dietali. Secondo quanto riportato da Giovanni Quarantotti la decisione di rifiutare l’invio dei rappresentanti a Vienna sarebbe stata presa in due sedute tenute nelle sere precedenti nella casa di Giuseppe che propose ai partecipanti un solenne giuramento sul voto[12]. Come è ben noto la decisione di non collaborare con l’indirizzo dato da Vienna rifiutando la elezione dei due delegati ebbe una forte ripercussione sull’opinione pubblica. Il Governo austriaco sciolse la Dieta 14 luglio1861 considerando l’atto come espressione di una volontà separatista, mentre negli ambienti italiani istriani e triestini e in quelli del Regno d’Italia il voto nessunista fu considerato come una chiara manifestazione di favore per l’annessione al Regno.
La attività di Giuseppe di contrasto all’indirizzo centralista del governo imperiale continuò in quegli anni. In vista delle elezioni per la seconda Dieta era definito come l’esponente politico del partito nazionale italiano considerato il nemico da battere al fine di fare ottenere successo a un candidato favorevole alla politica governativa. Questo emerge dalla comunicazione del 5 settembre 1861 del pretore (capo del distretto) di Parenzo, Cossovel, alla luogotenenza (“…ho deciso di offrire battaglia per vincere il Dr. Vergottini e far spuntare Nicolò Dr. De Volpi unico individuo con cui potrei riuscire…”[13]). L’impegno politico di Giuseppe sicuramente era destinato a continuare e l’autorità di polizia lo considerava tra le persone pericolose per gli interessi dello stato. Di conseguenza, proprio in quanto esponente di spicco del partito italiano, all’inizio della guerra fra Italia e Austria del 1866, il 20 giugno di quell’anno gli viene notificato l’ordine di abbandonare il territorio degli stati austriaci e fino alla fine della guerra va in esilio nel Regno d’Italia per sei mesi, prima a Firenze poi a Padova.
A Firenze entra a far parte del comitato formato da Luciani, Combi, De Rin, Madonizza e Hermet, che perorava con i suoi messaggi al re e ai ministri le aspirazioni irredentiste degli istriani e triestini[14].
Dopo il trattato di Praga torna in Istria e riprende l’avvocatura ed è nel gruppo dei costitutori della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria promossa nel 1884 da Andrea Amoroso[15].
Da quello che risulta nelle cronache locali probabilmente il ruolo più significativo svolto da Giuseppe per il resto della sua vita fu quello di amministratore cittadino. Dal 1872 alla morte nel 1884 per dodici anni è stato Podestà di Parenzo e pare che sia stato particolarmente amato dai suoi concittadini ricordandosi il suo impegno nell’abbellire la città[16]. Ha donato alla città reperti archeologici provenienti dal castelliere di Pizzughi che era stato rinvenuto ed esplorato in terreno di un’azienda agricola di sua proprietà[17]. A lui venne dedicata la piazza e quindi un tratto della via che costeggia la Basilica e su cui si affacciava il palazzo di proprietà della famiglia (via Vergottini poi denominata Ljublijanska dopo il passaggio della città alla Jugoslavia al termine del secondo conflitto mondiale).
Al suo solenne funerale giungono condoglianze da tutte le autorità religiose e civili. Interessante la partecipazione alle esequie di numerosi comuni anche del versante orientale dell’Istria (Cherso, Lussino, Veglia) che risulta ben documentata dalla stampa del tempo.
Tomaso (1857 – 1942).
Giuseppe era celibe e non ha avuto figli. Il suo impegno politico è stato tuttavia continuato dal nipote Tomaso.
Tomaso aveva fatto gli studi giuridici a Vienna e Graz, con dottorato nel 1879. Nel 1899 aveva sposato a Lubiana Rosa Hrovath. Ha esercitato l’avvocatura a Trieste alcuni anni. Lì è stato Presidente dell’irredentista Circolo canottieri Saturnia.
Il suo impegno politico si è svolto dapprima come deputato a Vienna (1889-1891). Nel Reichsrats-Almanch für die Session 1891-1892 (Vienna 1891) si legge fra l’altro che è entrato al Reichsrat nel 1888 subentrando al defunto Millevoi. Il 4 marzo 1891 viene ricordata la sua competizione, in quanto esponente del partito liberale-nazionale italiano, con il candidato del partito croato Matko Laginja nella circoscrizione di Parenzo che rappresentava dal 1889 alla Dieta Istriana. Aveva avuto successo e quindi era entrato al parlamento come esponente della proprietà terriera (Wählerclasse: Grossgrundbesitz in Istrien). Apparteneva al “Klub des linken Zentrums” (club del centro sinistra) conosciuto come Coronini Club, gruppo parlamentare in cui confluivano i rappresentanti delle diverse nazionalità dell’impero, istituito dal Conte Franz Coronini di Gorizia che dal 1871 rappresentava la città nell’Abgeordnetenhaus (Camera dei deputati – la prima camera del Reichsrat). Questo gruppo ha avuto significativa importanza negli anni ottanta dell’Ottocento, operando come “l’ago della bilancia” in alcune importanti deliberazioni. E’ ricordata una polemica di Tomaso col deputato croato di Veglia Vitezic. In una nota anonima si legge che “per aver voluto rivendicare alla sua patria la lingua ufficiale mise sottosopra il parlamento viennese”.
Dal 1892 al 1904 fa parte di nuovo della Dieta provinciale.
Nel 1912 è processato a Rovigno per offese allo Stato (ma non c’è documentazione sul punto).
Tomaso è soprattutto ricordato per essere stato Presidente del Comitato di salute pubblica che ha per pochi giorni retto la città di Parenzo nel trapasso dal governo austriaco a quello italiano. In tale veste nel momento in cui si scioglie la amministrazione austriaca, con l’insurrezione popolare del 30 ottobre, manda una missione con un motoscafo con un appello al Sindaco di Venezia perché solleciti un rapido arrivo della amministrazione militare italiana. Il Sindaco risponde solo il 4 novembre assicurando che insisterà presso il governo per mandare rapidamente militari italiani. Nel frattempo però, la sera del 3 novembre 1918 Tomaso ha consegnato la città al Capitano di vascello Luigi Portaluppi comandante del cacciatorpediniere Alba[18]. Il 7 novembre 1918 ha accolto il generale Petitti di Roreto, governatore della Venezia Giulia. Quindi il 28 novembre cessava la sua reggenza facendo le consegne al podestà Tullio Sbisà.
Si può concludere questa rassegna sottolineando come i diversi personaggi ricordati fossero tutti accomunati dall’ideale risorgimentale. Per loro era evidente la permanenza del legame con Venezia e di riflesso, al momento della scomparsa della Repubblica di San Marco e dell’affermarsi del disegno unitario portato avanti dal Cavour e dai Savoia, col costituendo stato italiano. L’adesione a questo programma nazionale ha comportato spesso un impegno personale diretto non privo di rischi come mostrano le pagine che precedono. Sanzione della coerenza politica dimostrata sono i due episodi di allontanamento forzato dalla patria parentina sia di Nicolò nel 1849 che di Giuseppe nel 1866. L’impegno politico avverso alla monarchia asburgica non risulta tuttavia aver compromesso le fortune economiche della famiglia, la cui azienda agricola ha mantenuto e incrementato la sua consistenza nel tempo. Nonostante l’orientamento sostanzialmente separatista manifestatosi clamorosamente col voto nessunista del 1861 il comportamento formale adottato nel corso del tempo appare improntato al lealismo verso l’impero. L’atteggiamento tenuto soprattutto dopo la fiammata risorgimentale dell’episodio veneziano, in cui Nicolò partecipava attivamente ad una azione sediziosa e ne pagava le conseguenze con l’espulsione dagli stati austriaci, era un atteggiamento improntato a cautela come pare quello tenuto da Giuseppe dopo il voto della Dieta. E, del resto, poco spazio di manovra poteva rimanere agli irredentisti soprattutto dopo il varo della Triplice alleanza che vedeva un temporaneo legame di amicizia fra Italia e Austria e che provocava un evidente indebolimento delle loro aspettative.
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[1] Almerigo. Apollonio, L’Istria veneta, dal 1797 al 1813, Libreria editrice goriziana, Gorizia, 1998, 35,75, 173.
[2] In merito all’opera di Angelo Calafati e alla sua figura, cfr. Sergio Cella, Calafati Angelo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’enciclopedia italiana, Roma, 1973, xvi, 400-402; Ranieri Mario Cossar, L’avvocato Angelo Calafati, in «Archeografo triestino», iv, xviii-xix, 1952-1953, 39-80 e Giovanni Quarantotti, Trieste e l’Istria nell’età napoleonica, Le Monnier, Firenze, 1954, 102-09. In generale sull’istituto prefettizio nel periodo considerato, vedi Livio Antonielli, I prefetti dell’età napoleonica. Repubblica e Regno d’Italia, Il Mulino, Bologna, 1983.
[3] AMSI, XXVIII, 1926, 95 ss., ora in Scritti di storia del diritto italiano, III, Milano, 1977, .1355 ss.
[4] Almerigo Apollonio, op. cit., 208
[5] Cfr. Giovanni Quarantotti, La Venezia Giulia e la Dalmazia nella rivoluzione nazionale del 1848-1849, II, Del Bianco, Udine, 1949, 370 ss.
[6] Cfr. Centro per la storia della Università di Padova, Studenti istriani e fiumani all’Università di Padova dal 1601 al 1974, a cura i Luciana Sitran Rea – Giuliano Piccoli, Antilia, Treviso, MMIV, 832, 912, 1035.
[7] Cfr. Giovanni Quarantotti, La Venezia Giulia, cit., 408
[8] Idem, 409.
[9] Cfr. Centro per la storia della Università di Padova, Studenti istriani e fiumani all’Università di Padova dal 1601 al 1974, a cura i Luciana Sitran Rea – Giuliano Piccoli, Antilia, Treviso, MMIV, 1035.
[10] Giovanni Quarantotti, Storia della Dieta del Nessuno, AMSI, 1936 e quindi Coana, Parenzo, 1938, 15 ss..
[11] Giovanni Quarantotti, ivi, 50, 66, 90,
[12] Giovanni Quarantotti, Echi della Dieta istriana del Nessuno, in AMSI, IX, N.S., 1949, 151 ss.
[13] Vedi Giuseppe Stefani, Cavour e la Venezia Giulia. Contributo alla storia del problema adriatico durante il Risorgimento, Le Monnier, Firenze, 1955, 363.
[14] Vedi Giuseppe Cuscito – Lina Galli, Parenzo, Liviana editrice, Padova, 1976, 193. Traggo riferimenti dall’Appello degli Istriani all’Italia presentato in Firenze l’11 agosto 1866 al barone Bettino Ricasoli presidente del Consiglio dei ministri, citato in Marina Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale 1866-2006, Il Mulino, Bologna, 2007, 51.
[15] Giuseppe Cuscito – Lina Galli, op. cit., 202.
[16] Ivi, 204.
[17] AMSI, 1889, 225 ss..
[18] Giuseppe Cuscito – Lina Galli, op.cit., 225-230.