Una sala comunale alla giustificazionista Cernigoi. Insorgono i parenti delle vittime e con loro anche l’amministrazione: il sindaco si schiera con gli esuli giuliano-dalmati.
«Partecipate numerosi!», incitava la locandina diffusa con ogni mezzo, richiamando più pubblico possibile all’Auditorium di Cologno Monzese per la sera del 7 febbraio prossimo “in occasione del Giorno del Ricordo”… Ovvero per la commemorazione istituita con legge dello Stato al fine di diffondere la tragedia delle Foibe e dell’esodo dei 300mila giuliano-dalmati fuggiti dalle loro terre durante e dopo la seconda guerra mondiale per salvarsi dalla pulizia etnica. A perseguitare la popolazione italiana era la feroce caccia all’uomo scatenata dal regime comunista jugoslavo del maresciallo Tito, che aveva dato ordine di eliminare ogni traccia di italianità «con ogni mezzo».
Curioso, dunque, che a diffondere l’invito e a organizzare la celebrazione nella cittadina lombarda fosse una “Rete antifascista Cologno” (non anticomunista), insieme a un “Osservatorio democratico sulle nuove destre” (mica sinistre, destre) e un “Comitato lombardo antifascista”. Abbastanza per andare in confusione, se non si conosce la storia, e magari pensare che quindi le Foibe vanno ascritte alla ferocia nazifascista, anziché a quella comunista. Ma la storia la conoscono bene i sopravvissuti, che hanno fatto un salto sulla sedia e, armati della legge istitutiva del Giorno del Ricordo, si sono rivolti al primo cittadino di Cologno Monzese, il leghista Angelo Rocchi, e al suo assessore alla Cultura Dania Perego: «Giù le mani dal Giorno del Ricordo», hanno intimato, soprattutto quando hanno scoperto che l’evento era affidato a Claudia Cernigoi, per il curriculum della quale rimandiamo alla sua biografia “autorizzata” (“È stata una dei consulenti storici per la difesa di Oskar Piškulic nel cosiddetto “processo per le foibe” di Roma negli anni ’70”, “è stata iscritta al Partito di Unità Proletaria per il comunismo aderendo successivamente al progetto di Democrazia Proletaria” ecc. ecc.).
«Ogni anno la signora si insinua nel Giorno dedicato alla strage dei nostri cari ad opera dei comunisti jugoslavi e prova a portare avanti le sue tesi giustificazioniste e riduzioniste», spiega tra gli altri Piero Tarticchio, scrittore e testimone diretto (il padre, innocente negoziante di generi alimentari vicino a Pola, catturato sotto i suoi occhi di bambino e gettato in una Foiba come altri sei familiari). «Nessun Giorno di nessuna Memoria viene mai affidato a chi, per motivi chiaramente ideologici, non sta certo dalla parte delle vittime e anzi espone proprio i simboli stessi che spiccavano sui berretti e sulle bandiere dei carnefici. Dunque non lo accetteremo neanche noi».
Già lo scorso anno la sindaca di Torino, Chiara Appendino, incorsa nello stesso inconsapevole errore, aveva immediatamente annullato l’evento e negato ai relatori la sede demaniale, unendosi ai parenti delle vittime per la vera cerimonia. Lo stesso ha immediatamente fatto questa mattina il sindaco Rocchi, che dichiara: «In questi anni la mia amministrazione ha fin da subito fatto molto per mantenere viva la memoria di quella che è stata una delle pagine più buie della storia italiana. Una piaga dolorosa e atrocemente violenta, per troppi anni nascosta da un silenzio scioccante». Poi va giù duro: «Condanno fermamente ogni tentativo di negare la storia e di infangare la memoria di chi in quelle cavità perse la vita per la sola colpa di essere italiano, oppure ancora di chi fu obbligato a lasciare le proprie case e le proprie radici. Non accetto in alcun modo che il nome di questa città sia accostato a folli tentativi di ricostruzione becera e deviata della storia di questo Paese. Non accetto che il mio nome sia accostato a qualsiasi evento che non ponga il dovuto ossequio alla morte e alla sofferenza».
Come si spiega allora la concessione dello spazio comunale? «In un’ottica di libertà e democrazia, le richieste di utilizzo delle sale comunali non passano al vaglio della giunta, ogni richiesta, corredata da sintetica illustrazione dell’iniziativa e dal pagamento del canone dovuto, viene valutata dagli uffici comunali preposti ad analizzarne non il contenuto quanto il rispetto delle norme regolamentari». Non c’era alcun patrocinio, dunque, solo l’affitto pagato per la sala. Ma è anche troppo: «Riteniamo che la conferenza in oggetto, tenuta da una relatrice famosa per le sue posizioni negazioniste e revisioniste sulle foibe e l’esodo istriano facilmente rinvenibili in internet, non sia per niente opportuna a ridosso di una ricorrenza come il Giorno del Ricordo, così importante per tutti i cittadini. Pertanto, in accordo con l’intera giunta comunale, si è deciso di non autorizzarne lo svolgimento il 7 febbraio ma in data successiva da concordare con l’amministrazione, facendo salva la libertà di espressione e portando il dovuto rispetto a tante persone vittime delle vicende storiche menzionate». Insomma, non si nega a nessuno il diritto di parola e anche la signora Cernigoi potrà tenere la sua conferenza, ma in data da definirsi, certo non in occasione delle commemorazioni. «Cologno l’anno scorso ha dedicato un monumento alle vittime delle Foibe e dell’esodo», ricorda l’assessore Perego, «nonché uno spazio nel Giardino dei Giusti alla memoria del dottor Geppino Micheletti, i cui due bambini furono tra le decine e decine di uccisi nella strage di Vergarolla a Pola, a guerra finita, nel 1946! Oggi la verità storica è riconosciuta trasversalmente da tutte le parti politiche: ricordiamoci che il Giorno del Ricordo fu istituito dal Parlamento con voto unanime». Ancor più, quindi, «mi impegno a vigilare – chiarisce il sindaco – e a denunciare qualsiasi forma di negazionismo, tanto più se avviene entro gli edifici pubblici di questa città, che per i prossimi giorni ha organizzato mostre, rappresentazioni teatrali, proiezioni cinematografiche e commemorazioni con le associazioni degli esuli”. Porte chiuse, però, il 7 sera: anche questa volta il Giorno del controricordo non si terrà.
Lucia Bellaspiga, Avvenire, 1 febbraio 2019