Il caso è nato giorni fa da un post sulla pagina Facebook di Ettore Rosato (Pd), vicepresidente della Camera: «Alla disperata ricerca di far quadrare i conti – aveva denunciato – il governo giallo-verde fa sparire dalla manovra i fondi per le associazioni che conservano la memoria dell’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia, e quelli per la minoranza italiana in Slovenia e Croazia». Insomma, un duplice fulmine a ciel sereno, da una parte per i nostri esuli giuliano dalmati qui in Italia, dall’altra per i nostri ‘rimasti’ oltre confine, quella minoranza italiana che, finita la II guerra mondiale, restò a vivere in una terra che divenne Jugoslavia e da allora ha rappresentato un coraggioso baluardo per la nostra millenaria cultura in Istria, a Fiume e in Dalmazia.
Per chiarezza: due sono le leggi del 2001 a tutela di queste realtà, la legge 72 che stanzia i fondi triennali a favore delle associazioni degli esuli e delle loro attività qui in Italia, la legge 73 che dà le stesse garanzie alla minoranza italiana in Slovenia e Croazia, a tutela del patrimonio storico, culturale e linguistico. Fondi importanti, dunque, che per dirla con Rosato «non sono un regalo»: «Se non si ripristinano le scuole italiane oltre confine, queste chiudono. E si dovranno cancellare le tante manifestazioni che finalmente si fanno in tutta Italia per il Giorno del Ricordo… Spero sia un errore, altrimenti sarebbe una decisione veramente grave».
Ne sanno qualcosa gli esuli giuliano dalmati, (che persero ogni bene per sfuggire alle Foibe e alla pulizia etnica del maresciallo Tito, e che solo nel 2004, dopo decenni di censura, con l’istituzione del Giorno del Ricordo videro riconosciuto la loro tragedia): da anni lo Stato è cronicamente moroso nel saldare i fondi dovuti e le associazioni sopravvivono per miracolo… Se davvero nel disegno di legge di Bilancio giunto alla Camera mancano del tutto le risorse fino ad oggi morose ma poi sempre arrivate, «il Pd chiede che in Parlamento si rimedi a questa stupefacente dimenticanza», rincarava ieri Rosato, che ha illustrato l’emendamento depositato assieme ai colleghi Debora Serracchiani, Lia Quartapelle e Piero Fassino «per rifinanziare misure coerenti con gli obblighi della Repubblica verso gli esuli istrodalmati e i connazionali rimasti nelle terre ora Slovenia e Croazia».
Anche nella maggioranza tanti parlamentari si sono impegnati per l’approvazione di vari emendamenti che ripristinassero i finanziamenti incredibilmente spariti, ma «questo è il momento per trasformare le dichiarazioni di principio in fatti concreti – conclude Rosato –, cioè in un corale sostegno alle nostre proposte, che sono in linea con quanto abbiamo fatto negli anni precedenti ». La sua proposta è che sia «autorizzata la spesa di 2,3 milioni di euro annui» a tutela del patrimonio storico culturale degli esuli e «di 3,5 milioni annui» per la minoranza italiana all’estero, oltre a un incremento di 100mila euro dei contributi sia per l’Irci (Istituto regionale per la Cultura istriano fiumano dalmata), sia per la Società di Studi fiumani a Roma.
«Rosato si sbaglia», ha reagito dal Friuli Venezia Giulia il deputato della Lega Massimiliano Panizzut, «a differenza di quanto dice abbiamo già inserito nella legge di Bilancio un emendamento che conferma per un altro triennio gli stanziamenti per la legge 72 e 73». Figlio e nipote di esuli da Pola, il nonno, maestro elementare, sfuggito alla morte in foiba e internato per anni in un gulag titino, Panizzut è da sempre sensibile al tema: «Si tratta di un finanziamento vitale per circa un milione di esuli – ricorda –, il sostegno alla memoria di quanto accadde è fondamentale, ci impegneremo perché quei fondi vengano reinseriti».
Ma come il Pd sul piede di guerra sono scesi anche i parlamentari di Fratelli d’Italia, che dal governo giallo-verde esigono l’approvazione dei loro emendamenti «onde colmare questa inaccettabile lacuna». Ansia e attesa anche oltre confine, dove l’auspicio è che «si tratti solo di una svista della burocrazia italiana e non di una decisione volontaria ». Una svista gravissima, certo, ma che per lo meno pare una volta tanto aver messo tutti d’accordo – da destra a sinistra – sulla necessità che l’Italia inizi a essere madre, e non matrigna, di chi per restare italiano rinunciò a tutto.
L’Avvenire, 25 novembre 2018