Si è trattato di un convegno di studi all’insegna dell’interdisciplinarietà e dell’approccio da prospettive e studi diversificati: «IL LUNGO NOVECENTO La questione adriatica e Fiume tra le due Conferenze di pace di Parigi 1919-1947» si è svolto il 27-28 giugno 2019 a Gorizia a cura dell’Associazione Coordinamento Adriatico APS con il patrocinio del Comune di Gorizia e con il contributo della L. 72/2001 e successive modifiche.
Introducendo i lavori il Prof. Avv. Giuseppe de Vergottini, presidente di CA ed emerito dell’Alma Mater Università degli Studi di Bologna, ha ricordato l’importanza dell’imminente centenario della spedizione di Gabriele d’Annunzio a Fiume, non solamente per le vicende del confine orientale italiano, ma anche per il laboratorio di idee e di passioni che si instaurò nella città liburnica e da cui sarebbe emersa fra l’altro la Carta del Carnaro. Un doveroso inquadramento di Fiume e della sua plurisecolare tradizione autonomistica è stato fornito dal Prof. Giovanni Stelli, presidente della Società di Studi Fiumani: l’autonomia ha preservato l’italianità culturale nel legame con l’Ungheria e nel confronto con le ingerenze dell’entroterra croato, scegliendo l’opzione irredentista nella temperie degli opposti nazionalismi e venendo colpita a morte dall’annessione alla Jugoslavia comunista. È quindi entrato nel vivo della spedizione dannunziana il Prof. Andrea Ungari (Università Marconi di Roma), il quale, citando documenti e biografie dei personaggi politici e militari coevi, ha dimostrato che il colpo di mano del Vate era tutt’altro che imprevedibile e che anzi c’era interesse in ambienti contigui al Re ed al Regio Esercito affinché si uscisse dall’impasse fiumana. Il Prof. Fulvio Salimbeni (Università di Udine) ha invece contestualizzato l’esperienza della Reggenza del Carnaro nel tumultuoso primo dopoguerra, in cui eserciti e formazioni paramilitari si davano nuovamente battaglia per ridefinire sul campo le decisioni della conferenza di pace; si sarebbe consumato anche il catastrofico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia, terribile anteprima degli spostamenti coatti di popolazioni avvenuti dopo la Seconda guerra mondiale nell’Europa orientale, tra i quali l’esodo da Fiume della quasi totalità della comunità italiana.
Nella seconda giornata di lavori il Prof. Francesco Margiotta Broglio (emerito dell’Università di Firenze) ha datola parola per primo all’Arch. Emanuele Bugli, il quale ha colto molte significative peculiarità iconografiche e simboliche nell’esperienza dannunziana a Fiume: dalla bandiera della Reggenza con le stelle dell’orsa e l’ouroboros, al rapporto del Comandante con la massa passando per l’uso di simboli forti come il tricolore imbevuto del sangue dell’irredentista Randaccio caduto alle porte di Trieste durante la Decima battaglia dell’Isonzo. Il Dott. Lorenzo Salimbeni (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) si è soffermato sul pretenzioso progetto della Lega dei popoli oppressi: rivolgendosi agli Stati ed ai popoli che non avevano ricevuto giustizia dalla conferenza di pace parigina i collaboratori di d’Annunzio (Coselschi, Furst, Toeplitz e Kochnitzky soprattutto) auspicavano di creare una rete mondiale fra i movimenti rivoluzionari ed indipendentisti che agitavano il mondo, ma dovettero limitarsi ad azioni destabilizzanti nei confronti del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Altro aspetto poco noto di quell’esperienza fiumana fu il progetto di riforma dell’esercito vergato dal capitano degli Alpini Giuseppe Piffer e perfezionato dalla penna di d’Annunzio: l’Ing. Mauro Runco ha evidenziato come l’irredentista trentino abbia congegnato un esercito strutturato sulla legione e sull’azione di manipoli con una struttura molto elastica ed in cui le tradizionali gerarchie militari saltavano a tutto vantaggio del rapporto diretto della truppa con il Comandante. La Prof.ssa Simonetta Bartolini (Università degli Studi Internazionali di Roma) ha compiuto un’ampia panoramica sui personaggi e le idee più vitalisti e rivoluzionari che trovarono ospitalità alla corte di d’Annunzio, con particolare riferimento a Giovanni Comisso e Guido Keller, fondatori della rivista Yoga con la quale volevano disegnare una nuova Italia fondata sull’antiparlamentarismo, l’antipartitismo, l’anti-industrialismo (in nome della vocazione agricola e marittima dell’Italia), l’antieuropeismo (risultato dell’egemonia anti-italiana emersa della pace di Parigi) e l’antimperialismo (in polemica con la politica espressa dai paesi della Società delle Nazioni). Il panorama culturale fiumano è stato al centro pure dell’intervento della Prof.ssa Donatella Schürzel (Università La Sapienza di Roma), la quale ha effettuato una rassegna di riviste (La Fiumanella, Fiume, Delta, Termini) e intellettuali (Romolo Venucci, Gemma Harasim, Leo Valiani, ecc.) che hanno dato lustro al capoluogo del Carnaro fra le due guerre mondiali.
La sessione pomeridiana, presieduta dal Prof. Alberto Sciumè (Università di Brescia), era incentrata sulla Carta del Carnaro, della cui originalità nel campo sociale e dei diritti ha parlato in primis il Prof. de Vergottini, che ha altresì colto le connessioni di questa carta costituzionale con il costituzionalismo contemporaneo, specialmente pensando alla ridefinizione del potere politico che l’esperienza di guerra e le pulsioni sovietiche avevano suscitato nel dibattito giuridico. Proprio alla rappresentanza politica era dedicato l’intervento del Prof. Davide Rossi (Università di Trieste): la Carta del Carnaro pone al centro il lavoratore e fronteggia in nome del corporativismo di origine medievale lo Stato liberale figlio della rivoluzione francese e la polemica antiparlamentare viene risolta adottando un originalissimo modello tricamerale politico-corporativo. Il coinvolgimento dei cittadini nella cosa pubblica emergeva invece nel contributo del Dott. Giovanni Zucchini (TAR Lombardia) e dell’Avv. Davide Lo Presti, i quali, rilevando le suggestioni provenienti dagli statuti dell’Italia medioevale presenti nella Carta del Carnaro, hanno colto comunque spunti di grande attualità, dalla previsione di un demanio necessario (porto e ferrovia), al progetto di una Banca nazionale, passando per l’eleggibilità non solo dei sindaci ma anche della magistratura di primo grado. L’Arch. Elisabeth Foroni ha altresì ripercorso gli studi e gli interessi dannunziani nel campo dell’architettura che condussero il Vate ad elaborare all’interno della Carta del Carnaro l’articolo LXIII Dell’edilità, in cui si riscontrano principi urbanistici che anticipano in una sintesi di funzionalità e armonia i parametri della pianificazione odierna. Davvero originale l’intervento del Prof. Budislav Vukas (Università di Fiume), che ha presentato la Carta del Carnaro dal punto di vista del giurista croato Ferdo Culinovic, il quale, di formazione marxista e attivo nella Jugoslavia titoista, denunciò il carattere di rottura nel diritto internazionale che assunse la spedizione del Vate e contestò soprattutto la rivendicazione dell’italianità fiumana come una lesione della statualità croata. Della dialettica Mussolini-d’Annunzio (su cui scrisse ampiamente Renzo De Felice), delle influenze della Carta del Carnaro sul fascismo (più di facciata che di sostanza) e l’antifascismo (riparò in Francia negli anni del regime il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, estensore della Carta poi rivista da d’Annunzio) e del ruolo che la sinistra fascista soprattutto in ambito sindacale avrebbe voluto compiere in continuità con il “fiumanesimo” ha argomentato il Prof. Giuseppe Parlato (Università degli Studi Internazionali di Roma), che ha ricordato come la vocazione totalitaria mussoliniana stridesse con i caratteri maggiormente libertari dell’esperienza quarnerina. E ancora di suggestioni dannunziane in successive esperienze politiche e sindacali ha parlato il PhD Alessandro Agrì (Università di Modena e Reggio Emilia), che ha fatto ampi riferimenti alla Federazione Nazionale Legionari Fiumani ed al recupero dei corpi intermedi operato dalla Carta del Carnaro in contrapposizione con la legge Le Chapelier, che nel fervore rivoluzionario francese del 1791 li aveva messi da parte al fine di creare un rapporto diretto tra Stato e cittadino.