Scritto da Gabriella Ziani
Fine giugno, l’organizzazione procede, la diplomazia va in crisi. Il 13 luglio, indifferibile data del concerto, è il 90° anniversario dell’incendio antisloveno all’ex Balkan di via Filzi. La Slovenia esige che Türk vi porti omaggio. Insorge il sottosegretario Roberto Menia (An-Pdl): «Bene il concerto, ma se si tratta di memorie, allora obbligatorio che i presidenti vadano alla Foiba di Basovizza». L’evento rischia di saltare. Mancano pochi giorni all’evento, e dopo complicate negoziazioni diplomatiche la decisione è presa: omaggio congiunto dei presidenti all’ex Balkan e al Monumento all’esodo. Il consiglio è venuto dall’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Menia si dissocia, e non parteciperà a cerimonie e concerto. I tre presidenti siglano intenti d’amicizia, gli omaggi alle memorie avvengono, e il concerto porta in piazza Unità oltre 10mila persone. È l’inizio d’aprile quando trapela la notizia: Riccardo Muti porta a Trieste «Le vie dell’amicizia», l’annuale concerto che chiude il Ravenna Festival con un evento musicale in città del mondo tormentate dalla storia. L’intento è di riunire a Trieste nell’occasione, per la prima volta, tre presidenti: Giorgio Napolitano con Danilo Türk (Slovenia) e Ivo Josipovic (Croazia). Nell’orchestra e nel coro giovani di tre nazioni, 360 elementi.
Esuli, il giorno dopo. Quelli del compromesso e quelli duri e puri. Quelli che sperano nel domani e quelli che ringhiano sui conti in sospeso. Quelli «governativi», quelli meno. La tensione fra le varie anime, non per niente nate per polemiche scissioni, si è acutizzata, anche se pare opportuno parlarne piano. Lo scenario, dopo l’incontro dei presidenti italiano, sloveno e croato a Trieste, e dopo la sosta ai problematici monumenti, è cambiato, sparigliando pensieri e azioni. Ci sono rappresentanti ufficiali dei profughi che dicono: «Il problema vero non è l’esodo». Perché «sono le foibe» come ha detto senza sosta Roberto Menia e come conferma Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli istriani (29.243 iscritti), il corpo staccatosi nel 1954 in polemica conl’atteggiamento più di governo che di lotta dell’Anvgd, per virare a destra, diventando negli anni ’70 e ’80 una forte base elettorale dell’Msi, e «fuorilegge e sovversivo» nel 1975 per le eclatanti manifestazioni antigovernative contro gli accordi di Osimo.
RENDITE. Dall’altra parte risposta dura: «Per qualcuno “più la pende e più la rende”. Questi hanno paura di perdere posizioni di rendita, noi invece abbiamo strappato la vicenda esuli dall’angolo del Friuli Venezia Giulia facendola rientrare nella storia nazionale e internazionale, a Trieste e a Muti ha dato ben quattro pagine anche il “Frankfurter Allgemeine”». Questo pensa Lucio Toth, presidente nazionale dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, nata tra Roma e Milano (e la distanza da Trieste è una variante fondamentale), che ha il suo braccio a Trieste in Renzo Codarin. Toth la sa lunga, è tessitore di intese, perfino dell’altrettanto storico incontro a Trieste Fini-Violante, prima pacificazione, intanto in casa. Con un oculato calcolo circa i partiti da coinvolgere dopo il crollo della Dc di riferimento. Forza Italia? «Inutile». An e Pci-Pds, invece, per diversi motivi potenzialmente interessati. E fu così. Toth ragiona sugli storici da appassionare, sui mass-media da sollecitare. Le beghe triestine gli fanno da intralcio, e lo angustia la Lega: «Anti-italiani»? Un insulto, e dannosi alla causa.
TRENI. In mezzo c’è la meditata, faticata accettazione della realtà: «La storia va avanti con o senza di noi, bisognava decidere se salire su quel treno o no». Per Lorenzo Rovis, presidente dell’Associazione delle comunità istriane che è erede del Cln istriano, primo «patronato speciale» per i fuggiaschi, importa anche l’immagine: «Non possiamo essere sempre i piagnoni che sembrano interessati solo ai soldi, anzi all’elemosina». Disagio però per quei riti frutto di intorcinate acrobazie diplomatiche: «Col Balkan la Slovenia ha imposto una forzatura, e qui si è scelto un frettoloso compromesso».
DISSIDENZE. Compromesso è la parola. Toth: «Noi Anvgd dai tempi di De Gasperi abbiamo avuto ruolo di interlocutore politico col governo, da qui sono nate anche le dissidenze. I nostri presidenti erano legati alle istituzioni, e perfino nell’Assemblea costituente, costretti poi a dimissioni, accusati di aver firmato compromessi». Oggi si vuole che la Slovenia ammetta le barbariche uccisioni in foiba, ma qualcuno accetta che almeno riconosca «che l’esodo è esistito». Codarin, anche presidente della Federazione delle associazioni nata dalla speranza di rimettere tutti assieme: «Il compromesso è un atto di coraggio, massima azione della politica, le foibe non sono contestate dalla Slovenia, l’esodo lo era, adesso è stato ammesso, il dialogo sui “beni” era tra sordi, ora può riprendere, oggi dobbiamo parlare ai giovani, altrimenti anche le nostre associazioni si estingueranno, e infine c’è la strada per riallacciare un discorso coi “rimasti”». Che, dopo i beni, sono l’altro scoglio: ci sono italiani “buoni”, rimasti per necessità, e “cattivi”, rimasti perché titini. Il dialogo coi primi muove appena i primi passi. Con «quegli ingordi, o diciamo opportunisti, che ci hanno preso le case» (parole di Rovis) perdura il silenzio. Lacota ora smarca l’Unione dai partiti (per statuto i soci devono dimettersi se candidati da qualunque parte) ma il cuore batte sempre a centrodestra, nonostante «scontri con An». Anche l’Unione guarda fuori Trieste. Ha dal 2006 una «filiale» a Bruxelles, con altre 11 organizzazioni di esuli ha fondato una «ong» (Unione europea degli esuli e dei profughi) che proprio lo scorso giugno è stata accreditata dalla Commissione europea come organismo ufficiale di tutela.
CONGELATI. Il presidente annuncia imminente un «controsondaggio» sul favore che il «Muti-meeting» ha raccolto in città e fra gli istriani, in polemica col sondaggio risultato favorevole dell’Anvgd: «Chi ha accettato l’omaggio al Balkan sperava che Türk rifiutasse il monumento dell’esodo – dice Lacota -, la cosa poi a Toth e Codarin è sfuggita di mano». Rovis: «Meglio sarebbe stato il concerto e basta. Imbarazzante e fastidiosa la richiesta slovena sul Balkan». Il compromesso ha frenato le polemiche interne, ma anche i passi. Al monumento dell’esodo non c’era nessuno. Rovis: «Fossimo andati, magari si sarebbero avute contestazioni, e saremmo stati di nuovo etichettati come protestatari, se nessuno avesse protestato, avremmo avallato il compromesso subìto». Congelarsi, dunque: terza via ed ennesimo compromesso.
CASE. L’Associazione delle comunità ne raccoglie 16, si richiama a un «centro democratico» che esclude ogni estremismo e, prudentemente, ogni accenno a sinistre. Pubblica «La nuova voce giuliana», dai cui abbonamenti calcola gli aderenti: 4300 (di cui 600 all’estero) più famiglie. L’Anvgd somma 40 sedi in Italia sulle 80 iniziali e 800 iscritti a Trieste, alle spalle gli altri dicono «non conta niente». Fin qui di punta o di lama. Poi ciascuno cura come vedremo il proprio ricco giardino storico-culturale, lavoro che impegna anche i tre Liberi comuni in esilio: Fiume, Pola, Zara. Perché sul resto accordo non c’è. Neanche su beni abbandonati e indennizzi. Le pratiche si sono ridotte (causa estinti) da 30mila a 12mila, 11mila delle quali già liquidate dallo Stato italiano, partendo dai diritti piccoli, soldi utili alle famiglie. Restano 1200 indennizzi «pesanti». Ma poi ci sono le case. Per Lacota i 1411 edifici «liberi» nella ex zona B vanno reintestati ai vecchi proprietari, e solo in subordine vale l’indennizzo. Per Rovis serve l’«equo indennizzo» (con cifre rivalutate) «per chiudere definitivamente la partita». Per l’Anvgd, convinta di aver messo cemento a strade nuove, «tutto si può ridiscutere, basta che non vada tutto in cavalleria».
Fonte: «Il Piccolo», 25/07/10.