Scritto da Pietro Spirito, «Il Piccolo», 15/11/14
sabato 15 novembre 2014
«Gli italiani hanno reso effettive le loro rivendicazioni sulla sovranità della Zona A tramite l’esercizio dei poteri amministrativi sella medesima. Al contrario, i loro reclami sulla sovranità della Zona B non sono stati sostanziati dalla diretta amministrazione stessa. Il governo jugoslavo desiderava che l’Italia abbandonasse le sue pretese e riconoscesse la sovranità jugoslava sulla Zona B (…)». Così, nel dicembre del 1970, l’ambasciatore britannico a Belgrado, Sir Terence Garvey, scrive in un telegramma al Foreign Secretary, Sir Alec Douglas-Home. Da tre anni, per la precisione dall’autunno del 1968, sono in corso tra Italia e Jugoslavia trattative segrete per cercare di risolvere definitivamente la “questione di Trieste”, e cioè la sovranità sulle Zone A e B dopo l’applicazione del Memorandum di Londra. Trattative segrete che andranno avanti fino alla frettolosa stipula del Trattato di Osimo, il 10 novembre del 1975, e che saranno monitorate con grande attenzione dagli 007 britannici. Le spie di sua maestà, per altro, non mollano un istante il Maresciallo Tito da quando è finita la guerra e, più tardi, quando Tito sarà sul punto di morire, seguiranno l’evolversi della malattia istante per istante con informative segrete che assomigliano a bollettini medici. Fino alla morte di Tito, il 4 maggio 1980.
Ed è grazie a queste informative dell’intelligence britannica che oggi possiamo vedere, come in un’immagine ai raggi x, le dinamiche che dagli anni della guerra fredda avrebbero portato al tracollo della Jugoslavia negli anni Novanta con gli inevitabili riflessi sulle nostre terre. Con lungo e certosino lavoro Fabio Amodeo e Mario José Cereghino hanno raccolto, studiato e scelto documenti, fra le migliaia conservati negli archivi britanni di Kew Gardens, fino a ricomporre un quadro inedito della Jugoslavia a cavallo degli anni Settanta. Il risultato è il libro “Tito spiato dagli inglesi – I rapporti segreti sulla Jugoslavia 1968-1980” (Mgs Press, pagg. 133, euro 18,00), da oggi nelle librerie. Come scrive Paolo Rumiz in prefazione, il saggio, che contiene «una delle migliori sintesi che abbia mai letto sul male interno che ha distrutto la Jugoslavia», rappresenta in modo esemplare «con quanta lentezza la diplomazia internazionale, inchiodata alle logiche della guerra fredda, si sia arresa a questa constatazione “culturale” assai più che geopolitica», vale a dire lo sgretolamento della Jugoslava dopo la morte di Tito, «un dato di fatto che a tantissimi, sulla frontiera orientale d’Italia, era drammaticamente evidente».
Del resto José e Cereghino nel puntellare il loro racconto con i “report” degli 007 britannici, dimostrano molto bene come Tito fosse un politico e un leader assolutamente unico e atipico, capace di acrobazie economiche, diplomatiche e politiche – dallo strappo dal Cominfrom alla realizzazione dell’autogestione, dal basare l’economia sul debito estero ai rapporti con l’Occidente e gli Stati Uniti -, e in grado di spiazzare analisti, diplomatici e spie non solo del Regno Unito. Alla fine, «nessuna tra le creazioni del Maresciallo è sopravvissuta più di un decennio alla sua scomparsa. Non la Jugoslavia come Federazione di popoli, non l’autogestione, tantomeno il Movimento dei Paesi non allineati». Perché? Amodeo e Cereghino rispondono a questa e altre domande in un libro dove si svelano tante ragioni di quella realtà che – dalle tensioni di confine al fenomeno dei jeansinari fino ai primi colpi di cannone in Slovenia che annunciarono l’inizio delle guerre balcaniche – ha avuto tanta parte nella vita di Trieste e dei triestini.