Scritto da Marina Cattaruzza
venerdì 14 maggio 2010
Elio Apih, Le foibe giuliane, LEG, Gorizia, 2010
Esce oggi (14 maggio) per i tipi della Libreria Editrice Goriziana (LEG) un importante inedito dello storico triestino Elio Apih, scomparso nel 2005. Il testo, a cui Apih stava lavorando al momento della morte, è probabilmente destinato a far discutere.
Con Le foibe giuliane Apih rompe infatti in modo netto con qualsiasi teoria anche parzialmente giustificazionista degli infoibamenti ed esecuzioni di massa avvenuti a più riprese nella Venezia Giulia ad opera di esponenti del movimento partigiano jugoslavo di ispirazione titoista. Per lo storico triestino il discorso sulle foibe non può essere altro che il discorso sul male nella storia, sul male che, in diverse forme e in diversa misura limita l’agire umano, e vi si annida.
L’argomentazione è complessa e si svolge su più piani. Particolare attenzione è attribuita alle “tecniche della violenza” messe in atto dai partigiani jugoslavi nella Venezia Giulia: da dove viene la liquidazione con colpo alla nuca? Quando si è cominciato a legare i condannati con il filo di ferro? La logistica del trasporto delle vittime corrispondeva ad una prassi già collaudata altrove? Apih spazia sugli orrori del 20. secolo, dalle fosse di Katyn, alle stragi di Pol Pot, all’eliminazione degli oppositori del nazismo nell’operazione Nacht und Nebel, trovandovi corrispondenze con le tecniche utilizzate per le eliminazioni nella Venezia Giulia. Da dove venivano gli “esperti” dello sterminio? Molti avevano partecipato alla guerra civile spagnola o erano esponenti dell’OZNA addestrati a Mosca dal NKGW.
I massacri erano organizzati in modo pianificato dai vertici politici del movimento partigiano jugoslavo a guida comunista, con una posizione di rilievo della polizia politica. Non quindi reazione “spontanea” alle violenze dei fascisti e neppure iniziative periferiche di pochi scalmanati sfuggiti al controllo della guida del movimento, come si è sostenuto per lungo tempo.
Ampio spazio è dedicato nel lavoro alla lunga fase della rimozione e – successivamente – della giustificazione dei crimini. Secondo Apih la volontà di minimizzare la gravità degli avvenimenti risale già alle prime inchieste delle forze occupanti alleate dell’agosto 1945.
Un contributo ricchissimo di spunti quindi, che sposta definitivamente il piano dell’interpretazione del fenomeno “infoibamento”, collocandolo nella logica propria della presa del potere di un movimento comunista avviato a diventare Stato.
Marina Cattaruzza