Scritto da Risto Karajkov
A metà giugno si è tenuta a Zagabria l’ottava edizione del “gay pride”, sotto stretto controllo da parte della polizia locale. Complessivamente, si può dire che sia andata bene, anche se un giovane è stato picchiato mentre tornava a casa dopo la manifestazione. Belgrado, al momento, è in subbuglio per il secondo gay pride programmato per il prossimo 20 settembre. Il primo ha avuto luogo ben otto anni fa, nel 2001, e fu segnato allora da gravi atti di violenza. Quest’anno, quindi, si sta preparando l’evento con particolare attenzione alla sicurezza dei partecipanti. Il nuovo sindaco di Belgrado, Dragan Djilas, è stato criticato dalle ONG poiché ha espresso la sua disapprovazione per la manifestazione, dicendo che la gente dovrebbe vivere in modo riservato la propria sessualità, piuttosto che ostentarla pubblicamente. Il primo festival gay tenutosi a Sarajevo, nel settembre dell’anno scorso, è stato anch’esso oggetto di violenti attacchi organizzati dagli islamici radicali. Molte persone sono rimaste ferite, mentre gli organizzatori furono ripetutamente minacciati di morte. A Skopje ancora non si parla di gay pride e, almeno in tempi brevi, non sembra che qualcuno avrà il coraggio di organizzare un tale evento.
In questo contesto, all’improvviso e con una mossa a sorpresa, il primo ministro albanese Sali Berisha ha annunciato a fine luglio l’intenzione di presentare una proposta di legge per legalizzare il matrimonio tra omosessuali. Non si parla di lottare contro le discriminazioni o di azioni volte a promuovere diritti di parità per le minoranze sessuali, ma direttamente di rendere legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Può essere un piccolo passo per un politico anticonformista, ma è un salto gigantesco per la società albanese. Se il primo ministro Berisha sarà veramente capace di realizzare questa proposta, senza provocare seri scossoni in Albania e senza pregiudicare la sua carriera politica, darà senz’altro ai politologi un interessante argomento di studio sulle relazioni tra potere politico e trasformazioni sociali. Se il progetto di legge dovesse veramente essere approvato, il suo testo, però, resterebbe probabilmente solo sulla carta. É piuttosto improbabile che coppie dello stesso sesso, in Albania, troverebbero davvero il coraggio di uscire allo scoperto per legalizzare la loro posizione. Dopo tutto, anche leggi meno controverse, come il divieto di fumo, hanno serie difficoltà ad essere applicate sul campo.
Gli analisti hanno puntualmente messo in relazione la mossa di Berisha con il desiderio di fare qualcosa per impressionare positivamente Bruxelles. Appena qualche settimana prima, l’Albania è stata esclusa dalla lista di paesi (Macedonia, Montenegro, Serbia) verso cui la Commissione europea ha proposto la liberalizzazione dei visti per l’UE. Potrebbe essere questo il motivo che ha spinto il primo ministro albanese a prendere l’eclatante iniziativa. «La proposta di legge fornisce una base legale contro ogni discriminazione, mettendo il paese in linea con lo schema già approvato dall’UE», ha dichiarato il premier Berisha, nel presentare al parlamento di Tirana la proposta legislativa, originariamente preparata da una ONG albanese. Le comunità religiose del paese hanno subito condannato duramente la proposta, ed è probabile che in molti assumeranno presto una posizione critica. Se la proposta di legge passerà, l’Albania farà parte, insieme a Norvegia, Belgio, Olanda e Spagna del ristretto club di nazioni che riconoscono il matrimonio tra individui dello stesso sesso. Inoltre, ed è importante sottolinearlo, sarebbe il primo paese a maggioranza musulmana a intraprendere un tale passo. La cosa sensazionale è che la proposta di legalizzazione dei matrimoni omosessuali parte direttamente dal vertice del potere politico, con un processo che si sviluppa in modo esattamente opposto a quanto succede nelle altre nazioni della regione, e probabilmente a livello mondiale.
La sensibilità a questo tipo di tematiche normalmente cresce in settori della società civile, acquisisce gradualmente visibilità e “coltiva” l’opinione pubblica, fino a quando, dopo aver conquistato comprensione sociale e consenso, viene allo scoperto. Solo in seguito, in una fase più matura, inizia a cercare «legittimità politica». Il processo è piuttosto lungo: il sostegno di un politico forte e popolare, come Zapatero in Spagna, può certamente accelerarlo. Nel caso albanese, però, sembra che Berisha abbia deciso di bruciare i tempi. Non ci sono dubbi che il primo ministro albanese desidera essere gradito all’Europa e, forse, dimostrare che l’Albania possa essere una nazione guida. In ogni caso, la vicenda è un eccellente esempio del processo di trasformazione culturale che la UE sta imponendo all’intera regione balcanica. É molto improbabile che, nei Balcani, un politico della vecchia generazione, per di più leader di un partito conservatore, decida di sostenere seriamente e “sinceramente” le rivendicazioni della comunità LGBT. In Macedonia, ad esempio, i “giovani leoni” del VMRO, oggi al governo, si dimostrano orgogliosi di essere omofobici.
Comunque, tutti i politici della regione comprendono l’importanza di recepire (a volte con interesse simulato) ciò che viene richiesto da Bruxelles, e molti di loro ricordano le polemiche a proposito della respinta candidatura dell’italiano Rocco Buttiglione alla Commissione europea qualche anno fa, per le sue posizioni sull’omosessualità (da lui definita «un peccato»). Tutto ciò crea un interessante triangolo di comunicazione politica e sociale tra Bruxelles, le politiche nazionali e l’elettorato dei paesi balcanici. Essendo l’accesso alla comunità europea l’indiscusso sogno politico da realizzare, i politici balcanici sottoscrivono (almeno formalmente ) i valori promossi da Bruxelles. Naturalmente l’UE non appoggia esplicitamente i matrimoni omosessuali, ma il caso Buttiglione è stato una chiara dimostrazione della posizione europea sul tema dell’accettazione dei diversi orientamenti sessuali. Istintivamente, i politici dei Balcani comprendono che avere una posizione contraria all’UE può danneggiare le loro prospettive politiche. Allo stesso tempo sono però consapevoli dei sentimenti del loro elettorato che, con molta probabilità, sono più conservatori. Molti di loro vorrebbero appoggiare solo formalmente le spinte che arrivano dall’Unione europea, provando a mantenere una posizione prudente, che è, in fondo, la strada di compromesso che tenta molti politici europei, non solo nei Balcani.
Quello che è comunque importante è che, grazie all’influenza di Bruxelles, le classe politiche balcaniche sono state sensibilizzate al problema, fatto che di per sé rappresenta un enorme passo in avanti. Abbiamo a che fare con una forma forte e persuasiva di «crescita della consapevolezza». Una cosa è quando un’idea si fa strada nella società civile e i politici scelgono di ignorarla, altra quando è promossa dagli stessi leader, che sono consapevoli di doverla inserire nella propria agenda. Ciò può provocare a volte una situazione paradossale: l’establishment politico di una nazione (e non solo la sinistra liberale ) è costretto cioè ad avere una posizione più avanzata dell’elettore medio. Naturalmente molti politici si limiteranno a fingere un reale interesse verso temi scottanti come quello del matrimonio omosessuale, e secondo alcuni, questo vale anche per la proposta Berisha. Questa situazione crea anche uno strano rapporto tra società civile e governo, per cui quest’ultimo, anticipando il reale processo di evoluzione dell’opinione pubblica, rischia di svuotare di contenuto le spinte al cambiamento. Allo stesso tempo, c’è il rischio di dover trasformare in modo indotto l’ordine delle priorità politiche. La questione più seria ruota intorno alla velocità dei cambiamenti: a che ritmo può cambiare una società, senza mettere a rischio la propria stabilità sociale e politica? La proposta di legge di Berisha potrebbe fornire interessanti spunti a riguardo.
Fonte: Osservatorio Balcani, 13/08/09.