Dalla colonizzazione greca all’espansione della Repubblica Romana
Scritto da Lucio Toth
Tornando sul solido terreno della storia, per quanto in essa di solido vi possa essere, si può concordare con Giuseppe Praga quando afferma che “in piena luce storica entriamo appena sul finire del secolo IV a.C.”.
Nel 385 infatti Dionisio il Vecchio, “tiranno” di Siracusa – ammirato da Platone che ne era stato ospite – decise di intervenire in Adriatico per assicurarsi le spalle durante le guerre contro Cartagine.
L’Adriatico era allora un mare egemonizzato dagli Etruschi, che dalla loro base di Spina avevano tolto Adria ai Veneti e costituivano la struttura statale, sia pure federata, più potente e avanzata della penisola italica e della valle padana. All’egemonia etrusca si accompagnavano anche le scorrerie dei pirati annidati nelle insenature della costa dalmata e quarnerina, strumento più o meno complice delle città liburniche e illiriche. Per i Dori di Siracusa il controllo mercantile e militare dell’Adriatico diventava così un’esigenza prioritaria.
Vengono dedotte da Dionisio le colonie di Pharos (Lèsina – Hvar), Isso (Lissa – Vis) nelle isole dalmate meridionali e di Ancona sulla costa picena. Anche Adria cade nelle sue mani. Una coalizione di città liburniche e illiriche raduna una flotta che nel 384 sfida i greci di Sicilia nelle acque di Pharos e ne esce battuta.
Anche l’Adriatico diventa un mare greco, una prosecuzione dello Ionio verso settentrione. E alle antiche colonie di Corcira (??????? – Corfù – Kèrkira), Apollonia (Valona – Vlorë), Epidamnum (????????? – Durazzo – Durrës), sorte già nel VI-VII secolo, si aggiungono le colonie secondarie di Corcira Nigra (??????? ??????? – Cùrzola – Kòrcula), Tragurium (????????? – Traù – Trogir), Epidaurum ( ????????? – Ragusa – Dubrovnik), Epetium (??????? – Stobrezio – Stobre?), Risanum (Risano- Risan), Melita (?????? – Méleda – Mljet).
Di questa stagione non è rimasto molto: crateri e vasi corinzi e protocorinzi trovati nelle necropoli, monili e monete siracusane e tarantine. Ma il mare ci ha restituito negli anni scorsi un capolavoro della scuola di Lisippo, l’Atleta di Lussino, una copia in bronzo di ??????????? (che si terge il sudore di una gara sportiva) da un originale dello scultore ateniese del IV secolo, pescato da sommozzatori nelle insenature del Quarnaro. Faceva parte del carico di una nave oneraria romana naufragata durante un viaggio verso Ravenna o le coste dell’Istria, per adornare le eleganti ville del patriziato romano che Cassiodoro descriverà qualche secolo dopo, prima che la cultura classica precipitasse nell’era barbarica. Autentica invece, risalente al III secolo a.C., è la stele del Chairòs (??????) di Traù, che rappresenta un giovinetto inginocchiato pronto a scoccare una freccia da un lungo arco. Rappresenta il tempo che fugge e l’occasione che l’uomo deve saper carpire dal breve fiume dei giorni.
Intorno alla metà del III secolo a.C. il re Agrone e la regina Teuta riescono a costituire un regno illirico che va dall’Epiro alla Narenta, con capitale nelle Bocche di Càttaro.
Di fronte alle tendenze espansionistiche degli Illiri e alle imprese piratesche delle loro navi, il Senato di Roma tra la prima e la seconda guerra punica, non volendo problemi in Adriatico e sollecitato dalle città costiere greche ed italiche, interviene inviando un’ambasceria alla regina Teuta, che sta assediando Lissa. All’attentato contro i due legati, sulla via del ritorno, Roma reagisce con la prima guerra illirica (229-228 a.C.) che si conclude con la sconfitta di Teuta a Lissa e l’imposizione di una dura pace.
Le colonie greche della Dalmazia vengono poste sotto la protezione di Roma, che ne riconosce l’autonomia. Parte del regno illirico, tra il continente e le isole, viene affidato all’avventuriero greco Demetrio di Faro, che aveva tradito la regina di cui era al servizio. Ribellatosi anche a Roma e alleatosi con il re di Macedonia Antigono, verrà sconfitto a sua volta nella seconda guerra illirica (219 a.C.).
Il regno illirico finirà soltanto nel 169 a.C., come conseguenza diretta della sconfitta macedone di Pidna del 168. L’ultimo re illirico Genzio si era alleato infatti con Perseo di Macedonia, nella speranza di salvarsi dal predominio romano.
Si conferma così una dinamica tipica degli equilibri politico-militari in area adriatica e balcanica. Gli stati della penisola italica vengono coinvolti in interventi militari oltre-Adriatico nel corso di conflitti con grandi potenze mediterranee, per assicurarsi il controllo di questo mare, la cui stabilità è essenziale per la pace e l’indipendenza della regione italiana.
Si intensificano nel II secolo a.C. i rapporti tra le due sponde e con la Sicilia e il mondo greco. Le città costiere e le isole dalmate si popolano di mercanti, artigiani, armatori provenienti in gran parte dalla costa italica e protetti dal regime di autonomia dei centri urbani. La Pax Romana diventa strumento di sviluppo economico e sociale e di acculturazione alle forme più avanzate di civiltà.
Per difendere questi insediamenti e confermare la sua supremazia politica Roma dovrà intervenire militarmente più volte tra il 156 e il 117 a.C. contro i Dalmati, che si sono ritirati verso l’interno e minacciano le città costiere. Ma neppure la vittoria di Lucio Cecilio Metello e la conquista della capitale Delminium nel 117, che gli meritò il trionfo con il nome di Dalmaticus, risolsero il conflitto. Fu necessaria un’altra spedizione nel 78 a.C. per domare una nuova rivolta nell’entroterra dinarico.
Ma ormai le vicende della regione erano indissolubilmente legate agli sviluppi della storia romana.
Nel 59 infatti Cesare ottiene, con la Lex Vatinia, il governo dell’Illirico insieme a quello della Gallia Cisalpina. Nella guerra civile con Pompeo, mentre le popolazioni tribali dell’interno si schierano dalla parte di Pompeo, le città costiere, con la liburnica Jadera (Zara), prendono partito per Cesare. E’ evidente che la classe dirigente delle città, ormai legata da interessi economici con la penisola e la pianura padana, preferisce la politica innovativa del partito cesariano – che fa leva ovunque sul nuovo ceto degli equites nelle province promettendo la cittadinanza e la partecipazione allo sforzo bellico dell’Urbe – alla tendenza conservatrice del ceto senatorio romano, che difende i suoi privilegi sociali escludendo i provinciali dal governo della Repubblica.
Alla flotta di Cesare Zara, Salona e le altre città offrono le loro navi strette e veloci, a più ordini di remi, le famose liburne, che costituiranno per secoli la forza d’urto delle flotte romane. Assediata dai pompeiani e dai dalmati dell’interno, Salona resisterà ad un lungo assedio (48-47 a.C.). E sarà proprio Giulio Cesare a concedere le prime cittadinanze ai maggiorenti delle città alleate.
Con Augusto Zara viene eretta a municipium di diritto italico e iscritta – come l’Istria – alla Tribù Sergia, mentre Salona, Narona e Scardona diventano colonie italiche e anche i loro cittadini cives optimo iure, in condizioni giuridiche pari a quelle delle dieci regioni dell’Italia augustea. Un’epigrafe rinvenuta nel foro di Jadera (Zara) reca questa iscrizione:
“IMP CAESAR DIVI… F. AUGUSTUS PARENS COLONIAE MURUM TURRIS DEDIT”.
Che Zara fosse una colonia in senso proprio – come certamente lo era Salona – è messo in dubbio da molti storici, non essendovi notizia di deduzione di coloni nella città. Questo non esclude però che a legionari italici o veneti e celti della Cisalpina, che avevano combattuto con Cesare e Ottaviano, fossero stati concessi poderi nell’agro iadertino. Del resto sul piano giuridico la Colonia di jus italicum era equiparata a un Municipium. E ciò spiegherebbe l’inequivoca dizione dell’epigrafe.