Scritto da Giulio Mellinato, «Il Piccolo», 02/10/10
Dal catalogo della mostra Cavour & Trieste pubblichiamo la parte iniziale del saggio di Giulio Mellinato, per gentile concessione.
Negli anni della Restaurazione postnapoleonica, in tutta Europa si confrontavano un vecchio ordine delle cose, con le sue rassicuranti sicurezze ma anche le sue pesanti povertà ed arretratezze, ed un nuovo modo di vedere il mondo, più dinamico, progressivo e “moderno”, come si diceva all’epoca. Camillo Benso di Cavour completò la propria formazione giovanile proprio negli anni cruciali del confronto tra vecchio e nuovo, quando i ricordi degli eccessi della rivoluzione francese e delle sue conseguenze si stavano dissipando, lentamente sostituiti dall’apprezzamento per gli aspetti positivi delle innovazioni introdotte anche grazie alle occupazioni napoleoniche.
In altre parole, Cavour iniziò a costruirsi una propria visione del mondo quando la fase intellettualmente più rigida della Restaurazione stava perdendo terreno, mentre si stava affermando una mentalità più attenta ai vantaggi del progresso, allo sviluppo economico ed alle nuove opportunità offerte dall’avanzare della tecnologia, con particolare riferimento alle diverse applicazioni dell’energia meccanica.
Inoltre, si era ormai completato quel processo di assestamento che aveva consentito di inserire vantaggiosamente nella Restaurazione anche quegli istituti introdotti da Napoleone che erano sembrati più rivoluzionari (cioè antifeudali) quando vennero importati in Italia: le Camere di commercio, i Codici civile e commerciale, le società per azioni, ed altro ancora. Basti pensare all’effetto unificante che ebbe l’estensione dell’uso del sistema metrico decimale su tutto il continente: in un solo colpo vennero abolite misure, tradizioni e abitudini spesso diverse da un borgo all’altro, che per secoli avevano reso estremamente complicato (e rischioso) qualsiasi scambio commerciale. Questa realtà così ottimisticamente dinamica fece da sfondo alla formazione intellettuale di Camillo Cavour, che nelle prossime pagine verrà analizzata da un punto di vista volutamente parziale e particolare.
Nel 1836 un giovane Cavour visitò brevemente la città di Trieste, allora in pieno fermento economico. Ne trasse evidentemente un’impressione profonda, che fece riaffiorare a tratti nei suoi scritti e nei suoi discorsi successivi. La visita a Trieste mise il curioso piemontese di fronte ad una specie di “laboratorio della modernità”, tanto dal punto di vista economico che tecnologico. In quell’anno venne fondata la Compagnia di navigazione a vapore del Lloyd austriaco, mentre l’intero piccolo mondo assicurativo, finanziario e commerciale triestino stava rapidamente assorbendo schemi organizzativi, pratiche operative e mentalità gestionali tipiche delle piazze economiche più avanzate d’Europa. Cavour aveva già visitato Parigi e Londra, frequentando tanto i circoli esclusivi della nobiltà quanto i ritrovi borghesi degli affari, fino ad interessarsi all’organizzazione delle fabbriche inglesi. Ciò che egli trovò a Trieste, però, non era un sistema economico “moderno” già pienamente formato e funzionante, quanto piuttosto un sistema ancora in trasformazione. Fu probabilmente questo l’elemento che lo fece ritornare (con la mente ed il ricordo) più volte a Trieste, quando si trattava di trovare un esempio applicabile anche al suo Piemonte in campo ferroviario, marittimo, portuale o più generalmente commerciale.
In sostanza, Cavour poté cogliere nell’attività economica triestina alcuni elementi che in quegli anni potevano costituire altrettanti vantaggi competitivi per l’inserimento nei circuiti delle reti commerciali internazionali. Con il tempo, inserì alcuni di quegli elementi all’interno delle sue strategie, e tentò di trapiantarli nei territori governati dai Savoia. Troppo difficile sarebbe stato, infatti, paragonarsi direttamente ai paesi più sviluppati, nei quali la transizione verso la civiltà industriale era ormai avvenuta. Più semplice, e forse anche più convincente, fare riferimento ad una modernizzazione un po’ italiana (se non altro linguisticamente) ed un po’ asburgica, ovvero legata ad un paese all’interno del quale gli interessi agrari rimanevano prevalenti, tanto da non generare eccessivi timori riguardo alla stabilità politica, pur in presenza di trasformazioni economiche così profonde.
Nelle pagine che seguono, chi scrive tenterà di ricostruire il legame che si ipotizza sia esistito tra lo sviluppo del sistema economico triestino e l’evoluzione del pensiero e della pratica politica cavouriana, in particolare riflettendo sul ruolo svolto dai riflessi politici del rapido evolversi delle dinamiche commerciali europee nella prima metà del XIX secolo. Al fine di rendere più visibile un simile rapporto, e per rendere assolutamente evidente l’evoluzione interna di quel mondo, verrà dato ampio spazio alle fonti ed agli studi contemporanei, anche se inevitabilmente datati dal punto di vista scientifico. Secondo l’ottica che abbiamo assunto, infatti, ciò che maggiormente conta è l’evolversi delle prospettive e delle idee all’interno del circuito di persone che le avevano prodotte, piuttosto che l’evoluzione della storiografia in materia, che spesso (e legittimamente) rielabora le fonti inserendole in contesti non sempre simmetrici rispetto alle intenzioni dei protagonisti.
Nel caso presente, l’intento è principalmente illustrativo, quindi il recupero dell’originale prevale sulla rielaborazione successiva, nell’intento di rimanere il più vicini possibile alla visione delle cose che Cavour e gli altri personaggi di questa vicenda avevano dei problemi qui ricordati.
Ovviamente, soltanto il lettore potrà stabilire se questo tentativo sia stato condotto in maniera corretta, e se i risultati raggiunti possano risultare convincenti.